Covid-19, cambiamenti climatici e migrazioni

Crisi congiunte in un pianeta sempre più caldo

“L’equilibrio ecologico del Pianeta si è rotto”…l’umanità ormai “sta facendo la guerra alla natura”. È quanto affermato da António Guterres nel suo discorso “Lo stato del Pianeta”, pronunciato a cinque anni dalla stipula dell’Accordo di Parigi sul clima. Le parole dal segretario generale delle Nazioni Unite mettono chiaramente in luce la responsabilità dell’uomo sulla crisi climatica in corso e trovano conferma nei dati illustrati in due importanti report pubblicati a dicembre: “Lo stato del clima globale nel 2020” dell’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) e il Production Gap Report, del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), sulla produzione dei combustibili fossili. Quest’ultimo evidenzia che contrariamente alla necessità di puntare sulla riduzione della produzione di carbone, gas e petrolio alcuni Paesi del G20 e multinazionali la aumenteranno con forti conseguenze sul clima. Un chiaro segnale che ai proclami in occasione dei summit mondiali seguono azioni che portano invece a disattendere gli impegni presi.

Nonostante l’entusiasmo per i benefici sull’ambiente nel periodo di lockdown, imposto dall’emergenza covid-19, il cambiamento climatico nel 2020 ha continuato la sua inarrestabile corsa. Gli effetti dei cambiamenti climatici: ondate di calore, inondazioni, incendi e uragani sempre più violenti hanno colpito già milioni di persone. Guardando al continente asiatico, in Bangladesh, Cina, India, Giappone, Pakistan, Nepal, Corea del Sud, Turchia e Vietnam quest’anno le piogge monsoniche hanno provocato inondazioni massicce, crolli di dighe, smottamenti e lo sfollamento di milioni di persone. Le inondazioni e le frane in Cina sono state particolarmente intense, 29.000 case sono state distrutte e oltre 2.2. milioni di persone sono state evacuate a luglio.

Benché non sia ancora noto a tutti, il numero dei rifugiati climatici è di gran lunga superiore a quello dei rifugiati per persecuzioni e guerre. Secondo i dati del Global Report on Internal Displacement 2020 (Grid) dell’Internal Displacement Monitoring Center (Idmc), nel 2019 su 33,4 milioni di nuovi spostamenti interni 24,9 milioni sono stati sfollati a causa di tempeste, cicloni, uragani e alluvioni. Si tratta del numero più alto dal 2012 e tre volte superiore agli sfollati per conflitti e violenze (8,5 milioni).

A questi dati va aggiunto che quasi ogni Paese conosce ulteriori delocalizzazioni dovute a contaminazioni e disastri, o trasferimenti forzati per scelte urbanistiche e produttive. Tutto ciò va ad ingrossare le fila dei migranti climatici. Va però precisato che ancora una volta sono le comunità più vulnerabili, principalmente nel sud del mondo, che hanno fatto meno per causare il problema a pagarne maggiormente le conseguenze.

Se la pandemia da covid-19 ha bloccato i negoziati sul clima (la COP26 è stata rimandata a novembre 2021) non ha di certo fermato gli eventi climatici estremi e la conseguente fuga delle persone che, purtroppo, ne sono colpite.

È inoltre evidente che in piena pandemia vivere in realtà con sistemi sanitari già deboli, con economie locali fragili, con scarsa accessibilità alle fonti di approvvigionamento (per le persone e per il bestiame) significa stressare fortemente problemi già esistenti e ampliare ancora di più la forbice della disuguaglianza. Il rischio è di contrarre più facilmente il virus, vivendo in contesti sovraffollati, con scarse condizioni igienico-sanitarie, dove le misure per spezzare la catena del contagio come il distanziamento sociale e l’igiene risultano alquanto complicati da mettere in pratica.

Alla luce di quanto detto, in occasione della Giornata mondiale del migrante – celebrata ogni anno il 18 dicembre – è importante ricordare che la crisi climatica e il degrado dell’ambiente spingono oggi milioni di persone a spostarsi forzatamente. Solo analizzando le cause si possono trovare delle soluzioni. Non possiamo infatti fermarci agli ultimi chilometri del viaggio, guardare solo ai costi dell’accoglienza e generalizzare sulle ragioni che spingono milioni di persone a muoversi come spesso accade nel dibattito politico e pubblico.

In conclusione, l’uomo dichiarando guerra alla natura sta praticando un suicidio per tutta l’umanità. La stessa pandemia da covid-19 è il sintomo acuto della più ampia crisi ecologica che sta attraversando il nostro Pianeta. Negli ultimi anni infatti i cambiamenti climatici, l’urbanizzazione selvaggia, la deforestazione, gli allevamenti intensivi hanno determinato e facilitato la diffusione di virus. Tali condizioni stanno aumentando le probabilità del salto di specie (il cosiddetto effetto spillover), l’uomo è difatti sempre più esposto al contatto con virus patogeni e con le specie selvatiche che li ospitano.

In un mondo fortemente interconnesso non è possibile affrontare le crisi in corso separatamente. Covid-19 e cambiamenti climatici sono difatti crisi convergenti, il rapporto 2020 “The Lancet Countdown on health and climate change: responding to converging crises” sottolinea proprio l’importanza di allineare la risposta globale al virus con la risposta ai cambiamenti climatici per proteggere la salute, promuovere un’economia sostenibile, preservare il nostro Pianeta e garantire il diritto di tutti di poter scegliere se restare o partire. E per fare questo è necessario eliminare i finanziamenti ai combustibili fossili e tagliare i sussidi a questo settore, integrare l’obiettivo della carbon neutrality nelle politiche economiche, potenziare il sistema sanitario e aiutare chi è già colpito dai cambiamenti climatici ed è costretto a lasciare la propria casa

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