Al via il People’s Summit e il processo alle Nazioni Unite

Partono i tre giorni del controvertice degli attivisti

Attivisti da tutto il mondo hanno raggiunto Glasgow per il primo giorno del People’s Summit, il controvertice dal 7 al 10 novembre a cui hanno aderito associazioni, movimenti e organizzazioni della società civile che si battono per il cambiamento climatico.

La tre giorni ospita oltre 50 eventi che si svolgeranno in diversi punti della città: dal Glasgow Film Theatre, al Center of Contemporary Arts CCA, al Garnethill Multicultural Centre. Gli spazi cittadini sono stati messi a disposizione di comunità, movimenti e rappresentanti del popolo indigeno che in occasione della COP26 hanno deciso di incontrarsi per raccontare gli impatti dei cambiamenti climatici e le false soluzioni dei leader di governo.

La prima giornata si è aperta con il processo all’UNFCCC, la convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nata nel 1992, i cui paesi firmatari ogni anno si riuniscono in occasione della COP per discutere delle politiche climatiche da portare avanti. Come in un vero e proprio tribunale 5 giudici hanno ascoltato le testimonianze delle “vittime del cambiamento climatico” e le voci di attivisti e organizzazioni che si battono per la giustizia climatica. L’intero processo si è protratto per oltre 4 ore fino alla decisione da parte del giudice di dichiarare la “condanna” formale del UNFCCC.

Il Tribunale è stato istituito per la prima volta nel 2014 con il nome di Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura per volontà dell’Alleanza globale per i diritti della natura, una rete globale di movimenti nata per individuare i responsabili delle violazioni dei diritti della Natura e delle comunità che la difendono. Il Tribunale mette in scena un “mondo ideale” in cui la legge e le autorità agiscono dalla parte della Natura.

A Glasgow il Tribunale si riunisce per la quinta volta dalla sua nascita prendendo in esame due questioni fondamentali: le false soluzioni dei governi nel contrasto al cambiamento climatico e la difesa dell’Amazzonia che in questo processo svolge il ruolo di “vittima climatica”. A svolgere il ruolo di pubblico ministero Pablo Solón, Direttore della Fundacion Solon e in passato rappresentante della Bolivia presso le Nazioni Unite.

“Vogliamo che l’Amazzonia sia riconosciuta come soggetto di diritti. L’Amazzonia vivente è sull’orlo del collasso. Se non facciamo nulla ora, non sarà lì tra 10 anni”, ha dichiarato Solon. L’accusa ha portato a suo sostegno moltissime testimonianze che hanno descritto in 5 punti i fallimenti dell’UNFCCC nella difesa del nostro pianeta. “L’obiettivo è utilizzare il carbonio come una merce di scambio di tipo finanziario – ha denunciato Ivonne Yáñez, attivista ecuadoriana di Accion Ecologica – trasformare la Natura in una cloaca continuando a sfruttarla così come vengono sfruttate le donne e le popolazioni del Sud del mondo. Le false soluzioni sono un business che non tiene in considerazione le persone e il clima”.

Anzitutto i Paesi aderenti alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite avrebbero fallito nell’individuare le cause del cambiamento climatico e il ruolo del sistema economico e dell’industria fossile nella distruzione del nostro pianeta. Si è poi passati a indicare i fallimenti legati al riconoscimento delle ingiustizie sociali ed economiche causate dai cambiamenti climatici, con un focus sul mancato rispetto dei target di emissione e sul forte attacco alla giustizia intergenerazionale che dovrebbe tutelare i più giovani.

“Sappiamo che il cambiamento non verrà mai dai meeting dell’Unfccc. Sono cresciuta sentendomi ripetere di continuo che noi giovani siamo il futuro, ma di quale futuro stiamo parlando se i capi di Stato non ascoltano le nostre parole e ci chiedono di scendere a compromessi sulla nostra vita?”, ha dichiarato Mitzi Jonelle Tan di Fridays For Future Filippine. La terza accusa si è invece concentrata sul mancato avvio da parte delle Nazioni unite di una strategia di finanza sostenibile per evitare il crescente indebitamento dei paesi del Sud nei confronti dei Paesi del Nord responsabili dell’inquinamento del pianeta.

“È necessario prevedere un finanziamento di chi inquina di più per i paesi del sud globale che sono i più colpiti dalle emissioni dei paesi più ricchi”, ha tuonato Lidy Nacpil di Apmdd, rete di associazioni di tutta l’Asia impegnate sul tema del debito dei popoli. L’ultima parte delle accuse ha messo in luce l’assenza di strategie per arrivare alla transizione ecologica e la mancata capacità dell’Unfccc di regolare il comportamento delle grandi aziende inquinanti.

“Di fatto l’Unfccc ha permesso che le imprese continuassero a portare avanti false soluzioni, permettendo anche agli stati di avere degli obiettivi di riduzione evidentemente insufficienti”, ha concluso l’economista Patrick Bond. Al termine dell’accusa il rappresentante della giuria di giudici ha espresso il verdetto dichiarando l’Unfccc colpevole di aver violato le dichiarazioni delle Nazioni Unite sui Diritti Umani favorendo le partnership con i soggetti che hanno causato la crisi climatica e fallendo nell’ascolto delle richieste dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico.

“La Cop ha avuto il tempo necessario per studiare una strategia di phase out dai fossil fuels. Invece i governi continuano a difendere gasdotti e difendono gli interessi delle grandi corporations. L’inquinamento di queste industrie mette a rischio la vita delle persone sulla terra. Solo l’ultimo anno ci sono state 1300 sversamenti di petrolio, quasi 5 al giorno Un record. Tuttavia la Cop continua il suo business as usual”, attivista nigeriano e membro del comitato direttivo di Oilwatch International. Lisa Mead, giurata del Tribunale, insieme a Nnimmo Bassey ha infine così commentato e riassunto il verdetto: “La nostra giurisprudenza deve essere profondamente rivista perché possano finalmente essere riconosciuti i diritti della natura e la sicurezza dei popoli che la abitano.”

Il tribunale rappresenta una sperimentazione di nuovi concetti giuridici, come il riconoscimento dei Diritti della Natura all’interno del diritto pubblico internazionale e locale, sulla base della “Dichiarazione Universale dei Diritti della Natura”, che prevede il diritto degli ecosistemi a esistere e il dovere dell’umanità a rispettare l’integrità dei cicli vitali. Con un processo alle Nazioni Unite gli attivisti e i popoli in assenza di una giustizia climatica riconosciuta, hanno creato uno strumento di denuncia e di analisi che ogni anno si svolge in concomitanza della COP. Mentre i grandi della Terra continuano a rimandare le loro decisioni, nell’aula del Teatro di Glasgow si celebra il processo dei popoli oppressi, che hanno deciso di “farsi giustizia da soli”.

Nel pomeriggio si è poi tenuto l’incontro dei ministri dell’Istruzione, al quale hanno partecipato anche il ministro italiano, Patrizio Bianchi, e il collega della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

E proprio Cingolani, dopo avere ribadito ancora una volta la sua posizione che i giovani devono passare “dalla protesta alla proposta”, ha lanciato l’iniziativa italiana di istituzionalizzare l’evento Youth4Climate.

L’idea del ministro italiano è quella di trasformare il Youth Climate 2021 che si è svolto a Milano a settembre in “un forum annuale” riservato alle giovani generazioni che vogliono “sentirsi rappresentate” e potersi esprimere.

“È stata un’esperienza straordinaria per molti dei giovani coinvolti in questo processo e un’importante esperienza di apprendimento per tutti noi. Dopo l’evento milanese, il Manifesto finale è stato sottoscritto da tutti i 400 giovani delegati e contiene idee e proposte concrete su molte sfide urgenti. L’Italia è orgogliosa di annunciare che il viaggio di Youth4Climate non finirà qui. Vogliamo trasformare questa esperienza in una piattaforma permanente e stabile per facilitare il coinvolgimento dei giovani di tutto il mondo con i rappresentanti del governo e i principali stakeholder per discutere le sfide e le soluzioni per far progredire l’azione per il clima. Dalla protesta alla proposta, insomma. Noi lo chiamiamo Youth4Climate Forever”, ha detto Cingolani alla Cop26.

A ridimensionare i facili entusiasmi sono i giovani rimasti fuori dal centro congressi della Cop26. Nella stessa giornata, infatti, durante lo sciopero del clima di Fridays for Future, 100mila giovani attivisti hanno marciato da Kelvingrove Park fino alla centrale George Street dove è stato allestito il palco degli oratori, vicinissimo al centro del potere.

“È chiaro a tutti che la Cop26 è un fallimento, un festival del greenwashing occidentale per i Paesi ricchi”, ha detto la 18enne Greta Thunberg dal palco, accusando i leader di usare “cavilli e statistiche incomplete” per salvaguardare “il business e lo status quo”, il tutto mascherato dal solito “bla, bla, bla”.

Anche l’attivista Vanessa Nakate, parlando al Cop26 di Glasgow, è stata critica: “Quanto dovrà passare prima che i leader delle nazioni capiranno che la loro inazione distrugge l’ambiente? Siamo in una crisi, un disastro che avviene ogni giorno. L’Africa è responsabile del 3% delle emissioni storiche, ma soffre il peso maggiore della crisi climatica. Ma come può esserci giustizia climatica se non ascoltano i paesi più colpiti? Noi continueremo a lottare”.

In Scozia c’è anche Martina Comparelli, una delle portavoci italiane di Fridays for Future: “Siamo arrivati anche noi a Glasgow dall’Italia per dire ai leader che devono trattare l’emergenza climatica come un’emergenza, devono smettere di tergiversare, di usare le nostre parole e poi non prendere decisioni. Basta dare priorità agli interessi delle aziende delle fonti fossili. Bisogna mettere al centro la salute dell’ambiente e dei cittadini, prendere impegni e metterli in atto. Ma subito, non nel 2050. Ai leader diciamo ‘agite subito, altrimenti ci prendete in giro’”.

Insomma, se da una parte un gruppo di giovani è riuscito a farsi ascoltare dai grandi leader con un documento di proposte tutto sommato molto edulcorate, dall’altra migliaia di giovani attivisti hanno bocciano tout court i risultati del summit sul clima, decisi a non farsi illudere dalle “promesse vuote” dei potenti.

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