I guai del Movimento 5 Stelle su ambiente ed energia

“Il Movimento Cinque stelle era ed è no Tap”. Era il 9 settembre, erano passati appena tre giorni dal quel pasticciaccio brutto dell’Ilva, dalla delusione delle associazioni tarantine e dalle feroci contestazioni alla deputata Barbara Lezzi, salentina, eletta nelle fila del M5S proprio per le nette posizioni NoTap. Erano passati tre giorni e Luigi di Maio provava a mettere in salvo la reputazione ambientalista del Movimento, le cui basi elettorali erano in rivolta a causa del cambiamento di posizione su uno dei temi cardine della campagna elettorale, soprattutto in Puglia.
L’Ilva non avrebbe chiuso, ma la Tap no, non si sarebbe fatta. Così dichiarava il frontman di un partito che perde consensi come d’autunno gli alberi le foglie ma, anche questa volta, le dichiarazioni erano ben più ambiziose della capacità di tenervi fede. E così, dopo poco più di un mese, una nuova giravolta: la Tap s’ha da fare, perché l’accordo è blindato, perché stoppare l’opera ci costerebbe troppo, perché così ha sancito il precedente governo.

Peccato che nessuno sappia spiegare l’origine di una sanzione pecuniaria che non si capisce da dove provenga, visto che non esiste alcun accordo tra governo italiano e Tap tale da obbligarci a pagare sanzioni e che peraltro la società Tap non ha rispettato – come denunciano i comitati – le prescrizioni ambientali legate alla legislazione italiana.

Si parla di sospensione, ma la sospensione, è necessario sottolinearlo, riguarderebbe un’opera la cui costruzione, almeno in Italia, non è mai cominciata. Tante le irregolarità, alcune delle quali costituirebbero valide ragioni di blocco, e tanti, troppi i dubbi circa la fattibilità dell’opera.

Innanzitutto perché un’analisi costi benefici che si rispetti dovrebbe tener conto dei costi ambientali della realizzazione del gasdotto, e non parliamo soltanto dello straordinario patrimonio paesaggistico della Marina di San Foca. Lo sanno bene i comitati NoTap, lo sa bene l’avvocato Carducci che li sostiene in quella che sembra, a tutti gli effetti, la fase precedente al lancio di un’azione legale inedita nella storia d’Italia, in cui l’opposizione contro la Tap si sostanzierebbe dal punto di vista giuridico con la palese incoerenza dell’opera rispetto agli impegni assunti dal nostro paese in sede internazionale in materia il contrasto ai cambiamenti climatici.

Nel 2015 a Parigi l’Italia, assieme a gran parte dei paesi del mondo, ha sottoscritto un accordo, affermando di voler fermare le emissioni climalteranti e costruire un diverso modello economico, basato sulla dismissione delle politiche energetiche basate su fonti di origine fossile: la costruzione del gasdotto va in netta controtendenza con questi impegni, e il costo in termini ambientali e climatici che comporterebbe va conteggiato all’interno dell’analisi costi-benefici.

Di fronte a queste motivazioni la maggioranza si spacca, ma soltanto a parole: la Tap, a quanto pare, si farà, e poco importa se la Lega continua a difenderne la legittimità mentre i grillini affermano di avere le mani legate; quello che conta, quello che i salentini denunciano, è che al netto di dichiarazioni e intenzioni, il governo sembra intenzionato a realizzare quell’opera.

Come per l’affaire Ilva, anche in questo caso il Movimento 5 Stelle declina ogni responsabilità e presenta le proprie decisioni in materia ambientale ed energetica come ineluttabili conseguenze della mala amministrazione passata. Una dopo l’altra stanno venendo meno tutte le ragioni del consenso quasi plebiscitario che ha portato i 5 stelle a occupare gli scranni parlamentari, e contemporaneamente tutte queste ineluttabili decisioni stanno confermando invece la linea dell’altro partito di governo, la Lega, che non ha mai avuto intenzione di aprire quel ragionamento sulle Grandi Opere che la base pentastellata pretende, che non ha mai avuto intenzione di bloccare la costruzione della Tap (definita anzi a più riprese “opera strategica”) e che non vuol sentire parlare di un blocco del TAV Torino-Lione.

È di questi giorni la pubblica presa di posizione, da un lato del Comune di Torino che proprio ieri ha visto la maggioranza grillina imporre la votazione di un ordine del giorno che, per la prima volta, sancisce il parere contrario dell’amministrazione della città al completamento dell’opera, dall’altro dei vertici 5 Stelle, che rivendicano la volontà di bloccare l’opera già all’interno del Contratto di Governo stipulato con la Lega, nel punto dedicato alla tratta alta velocità, che recitava «Con riguardo alla Linea Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia».

Peccato che carta canti, e non ci sia scritto da nessuna parte che l’opera verrà arrestata, né che l’esito della ridiscussione, alla luce dello studio dell’analisi costi-benefici, sarà quello di non completarne la costruzione, direzione verso la quale la Lega è già orientata e rispetto alla quale è solo momentanea l’imposizione del silenzio di Salvini ai suoi: dopo gli scivoloni su nazionalizzazione autostrade, Ilva, condoni e Tap, l’alleato leghista è cosi magnanimo da lasciare ai grilli tempo per riprendere fiato. Resta da capire quanto.

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