Elezioni in Brasile

Brasil acima de tudo, deus acima de todos

Impeachement, lava-jato, chiesa evangelica e fake news. Quattro ingredienti e un governo autoritario o di come fare politica nell’epoca della post-verità.

Il Brasile prima di tutto, Dio al di sopra di tutti: all’eco di questo slogan Jair Bolsonaro, ex militare dell’esercito (PSL partito social liberale) ha vinto le ultime elezioni presidenziali in Brasile lo scorso 28 ottobre 2018 con il 54% dei voti contro il 45 % dell’avversario Fernando Haddad, professore e già sindaco di San Paolo, del Partito dei Lavoratori, lo stesso di Lula.

Nell’anniversario della proclamazione della repubblica (15 ottobre 1889), il Brasile ha poco da festeggiare. Si trova infatti di fronte ad un rischio democratico molto serio per le proprie istituzioni, al di là del danno sociale, politico e storico già inferto al paese intero durante la campagna elettorale, in breve capiremo perché. Prima però sarà necessaria una breve retrospettiva storica e un breve resoconto degli ultimi mesi.

Il binomio militari e politica in Brasile fa rima con dittatura, facendo riecheggiare fantasmi di anni per nulla rosei del gigante verde-oro latino americano. Già in piena guerra fredda, ed evidentemente con l’appoggio di altri colossi del capitalismo mondiale nell’intento di arginare possibili derive comuniste, dal 1964 al 1985 il Brasile ha subìto uno dei più grandi colpi di stato di natura militare, con i generali al potere, lo scioglimento delle camere, la soppressione delle libertà di stampa e dei partiti, delle libertà e dei diritti civili, e nonché dei diritti politici di molti, con persecuzioni, torture, assassinii di chiunque fosse contrario, sospetto di contrarietà o si posizionasse apertamente contro il regime. Insomma il Brasile ha avuto a tutti gli effetti quella che si definirebbe un’efferata dittatura militare di estrema destra.

Dal 1985 ad oggi sono passati pochi anni, ma fondamentali per il ripristino della costituzione (1988) e il processo di ridemocratizzazione, grazie anche e soprattutto ai movimenti sociali e politici che lo hanno animato. Anni importanti che hanno visto l’affermarsi del Partito dei Lavoratori (PT- partido dos trabalhadores) al governo e di un presidente operaio che, nel bene o nel male, con tutti i limiti e le critiche applicabili, ha fatto uscire intere fette della popolazione dalla soglia di estrema povertà, garantendogli un piatto in tavola e un tetto, facendo spazio per la prima volta tra i banchi delle università a giovani neri che fino a quel momento mai avrebbero sognato l’ingresso nelle università federali.

Impeachement e lava-jato.

Lula, Dilma Roussef, che lo ha succeduto, e l’intero progetto del PT non potevano avere vita lunga e semplice in un paese che ha la divisione di classe e forme più o meno velate di schiavitù ancora molto radicate, basti pensare al fenomeno ancora in vigore dell’ascensore di servizio e alle “empregadas domésticas” praticamente presenti ancora in tutte le famiglie. La paura per l’ascesa dei poveri e la perdita dei privilegi da parte delle classi ricche e medio alte ha costituito la base fertile perché l’impeachment contro Dilma, architettato a livelli alti dai grandi monopoli e gruppi di interesse economici e in connivenza con alcuni settori istituzionali, passasse col plauso popolare.

La deposizione della Presidentessa Dilma, democraticamente eletta, e la successiva operazione Lava Jato, operazione auto lavaggio, che ha portato all’arresto e alla prigione per Lula a pochi mesi dalle elezioni in cui sarebbe stato nuovamente candidato, sono tasselli che completano il quadro di un disegno complesso, ma piuttosto chiaro.

Al grido di un generico movimento anticorruzione è stata costruita una campagna di odio contro il Partito dei lavoratori, condita da rivelazioni pubbliche di prove ancora oggetto di verifica del processo in corso contro leader del PT e di altri partiti da parte del giudice Moro, che seguiva il caso.

Il livello di confusione istituzionale tra giudici che si comportavano come politici e politici che si comportavano come giudici, con la stampa che si comportava da supremo tribunale, ha raggiunto negli scorsi mesi livelli altissimi. La Rede Globo infatti, tv privata brasiliana e da sempre paladina degli interessi forti, ha un ruolo importante in questa vicenda di collasso democratico del paese. Moro, nel frattempo, una volta arrestato Lula senza evidenze di fatto e, avendone impedito la candidatura, nonché il normale svolgimento democratico del processo elettorale, aveva affermato che non sarebbe mai entrato in politica. Sordo anche al monito dell’ONU che con una nota “suggeriva” la giustezza della candidatura di Lula, ha attualmente accettato l’incarico di ministro della giustizia nel governo Bolsonaro. A questo punto l’attuazione imparziale del giudice Moro nel processo Lula sembra realmente essere una barzelletta o una favola per bambini.

Bolsonaro

Ritorniamo dunque a Bolsonaro. Essendo impedita la candidatura di Lula, l’unico politico con la più alta probabilità di vittoria al primo turno, il PT ha candidato in extremis Fernando Haddad come Presidente e Manuela D’Avila (ex segretaria dell’unione degli studenti brasiliana) alla vicepresidenza in coalizione col Partito comunista del Brasile (PCdoB Partido comunista do Brasil).

La campagna elettorale è stata portata avanti a colpi di fake news da parte di Bolsonaro, dei suoi candidati e dei suoi consiglieri di comunicazione, tra cui risulta lo stesso uomo chiave di Donald Trump, che pare abbia anche fatto una capatina anche in Italia da Salvini. Una dialettica violenta e viscerale che prova a parlare agli istinti più bassi della gente. Lo storico di dichiarazioni di Bolsonaro, che già figurava nel parlamento brasiliano da ben 27 anni senza aver dato rilevanti contributi, serve a delineare il suo profilo autoritario, fascista, omofobico, xenofobo, razzista e misogino. Proviamo a capire uno a uno il perché di questi aggettivi.

Autoritario e fascista

Bolsonaro sia prima che durante la campagna elettorale ha sempre lasciato chiaro il suo elogio per il periodo della dittatura militare, evitando addirittura il termine dittatura per riferirsi a quella fase politica; non ha mai tenuto nascosta la sua venerazione per il colonnello Ustra, uno dei più efferati torturatori del ventennio buio, di cui sostiene avere la biografia sul comodino. Ha altresì affermato senza vergogna in interviste pubbliche di accettare e sostenere la tortura come pratica e che alcune dittature, tra cui la cilena, hanno avuto la pecca di non aver ammazzato tutti i dissidenti.

A marcare in via definitiva il suo lato fascista è arrivata poi una dichiarazione a fine campagna elettorale fatta per una diretta sui social network nell’Avenida Paulista la domenica prima del voto definitivo. In quell’occasione ha dichiarato con forza che una volta preso il potere, per chiunque non la pensasse come lui, i rossi in particolare, ci sarebbero state solo due opzioni: esilio o prigione. Il figlio, Eduardo, anche lui candidato, a conferma di precedenti dichiarazioni del padre, ha affermato in una conferenza nella stessa settimana che per chiudere il Supremo Tribunale Federale, una sorta di nostra corte Costituzionale, sarebbe bastato un militare e un cavo. Una minaccia chiara. Questo perché il STF avrebbe potuto impugnare, su richiesta del partito dei lavoratori, la candidatura di Bolsonaro a seguito di uno scandalo noto come Caixa2.

Circa quindici giorni prima delle votazioni finali, infatti, è stato pubblicato dalla Folha de São Paulo un reportage secondo il quale Bolsonaro sarebbe riuscito ad ottenere un numero così elevato di proseliti, uno scarto strano per un partito piccolissimo fino a pochi anni prima, attraverso uno schema di corruzione di compravendita di messaggi via Whatsapp con regalie di imprese “amiche”, che avrebbero ovviamente ricevuto benefici in un secondo momento. Fondi che non sarebbero stati registrati tra le spese elettorali, quindi illegali, insieme all’utilizzo illecito di dati di terzi posseduti dalle imprese e non direttamente dalle liste del partito.

La campagna elettorale brasiliana di Bolsonaro è stata l’incarnazione del gioco delle finte verità nell’epoca della post-verità. False verità che non sono mai state riconosciute come bugie e verità che hanno preservato la loro mistificazione come falsità. Tra i messaggi di Whatsapp circolavano notizie diffamatorie per gli avversari come foto della candidata alla vicepresidenza Manuela D’Avila con una maglietta con la scritta “Gesù è un travestito”, oppure video dello stesso Bolsonaro, in cui affermava l’esistenza di un kit gay diffuso nelle scuole di San Paolo a opera di Fernando Haddad quando ne era governatore, o ancora notizie di distribuzione di biberon erotici da parte del PT negli asili nido, con un pene al posto del ciuccio di lattice. Sembrano storie da teatro dell’assurdo in un quadro di Dalí eppure sono vere. E sono successe durante queste elezioni in Brasile.

Già era evidente, con la denuncia da parte della Folha di São Paulo di questo schema di compravendita elettorale, che il cavallo di battaglia cavalcato da Bolsonaro contro la corruzione fosse solo cipria per abbellire un partito che di etico non ha nulla. A complementare la scelta degli aggettivi “autoritario e fascista” vi è il progetto di Bolsonaro sulla liberalizzazione del porto d’armi, esattamente come negli USA. L’idea di una giustizia fai da te in un paese dove il tasso di violenza è altissimo, soprattutto nelle grandi città come Rio e San Paolo, è un mito che risponde a un desiderio di sicurezza e ordine della popolazione, senza renderla cosciente dei reali rischi e pericoli correlati a questo tipo di politica e senza prendere minimamente in considerazione politiche di base più importanti e necessarie per costruire una società più giusta, che non dia terreno fertile alla criminalità. Un progetto che fomenta l’odio verso i poveri, che sono anche i primi ad essere coinvolti nella criminalità organizzata e non.

Omofobico

Il neopresidente eletto ha apertamente dimostrato disprezzo e rifiuto per gli omossessuali e qualsiasi orientamento sessuale fuori dall’eteronormativo, affermando a più riprese che è importante educare i bambini anche attraverso le botte perché si possano correggere scelte sessuali sbagliate. È nota la sua dichiarazione sul fatto che preferirebbe vedere il figlio morto in un incidente piuttosto che saperlo omosessuale. Infine, sempre secondo il presidente neoeletto del Brasile, il sangue degli omosessuali non sarebbe “buono” quanto quello degli etero, e non lo sceglierebbe mai per effettuare una trasfusione; oltre a ciò, non vorrebbe vedere per strada persone dello stesso sesso che si baciano, in tal caso non esiterebbe a prenderli a botte. Tali affermazioni hanno già istigato altri personaggi a pensare a progetti di legge che vietino ai gay di baciarsi per strada.

Durante questa campagna elettorale numerosissime persone LgbtQ hanno subìto vari attacchi fisici e piscologici, minacce fisiche e verbali da parte di elettori di Bolsonaro che, per il clima d’odio generato dai sermoni del loro candidato, sono arrivati ad uccidere due travestiti. Per la paura di una retrocessione sui diritti civili di matrimonio tra persone dello stesso sesso, prima che Bolsonaro prenda il potere definitivamente (il primo gennaio 2019), centinaia di coppie gay stanno correndo ai ripari sposandosi. Tra le altre cose il neopresidente predica l’eliminazione dell’educazione sessuale dalle scuole, come se questo fosse un elemento deviante della sessualità, forse per tenersi buoni i potenti alleati evangelici.

Razzista

Parlando dei neri si è riferito a loro con la misura di peso con cui erano venduti durante la schiavitù, affermando che non servono nemmeno a riprodursi. In un recente comizio elettorale ha detto di voler mettere fine al vittimismo dei neri, incentivato dalle politiche di inserimento universitarie e lavorative del PT; come se queste fossero inutili in un paese che ha avuto la schiavitù legittimata per secoli ufficialmente e riprodotta implicitamente in consolidati schemi di assoggettamento e manipolazione delle classi povere da parte della classe dominante.

Un aneddoto a tal proposito sono le misure lavorative del governo Dilma a favore delle collaboratrici domestiche, tenute in molti casi ancora in regime di semi-schiavitù, contro le quali ha votato Bolsonaro. Infine ha precisato in più situazioni che non lascerà un palmo di riserva agli indios, giacché costituiscono un serio problema di sviluppo dell’agrobusiness.

Ancora una volta il clima di odio contro fette della popolazione che lottano per il riconoscimento dei diritti, della loro esistenza e della loro partecipazione massiccia e attiva a tutti i livelli della società ha portato in campagna elettorale, dopo il primo turno, all’uccisione del maestro di capoeira bahiano Moa do Katendê durante una discussione politica. Ancora una volta è stato ucciso un simbolo quella della cultura afro che prova a mostrare il suo essere anche e soprattutto parte della cultura brasiliana.

Misogino

Bolsonaro non nasconde il suo ripudio per le donne, considerate esseri inferiori. Ha dichiarato che dopo quattro figli maschi, ha commesso un unico errore: una quinta figlia femmina. Secondo lui le donne dovrebbero, a corrispondenza di mansioni lavorative con gli uomini, ricevere un salario più basso visti gli inconvenienti rappresentati dalle gravidanze. Infine in una storica discussione con una deputata che provava a sostenere che un minore aveva commesso un grave atto di stupro a causa di un contesto sociale fatto di crimine, povertà, violenza e mancanza di possibilità, ha affermato che lui non era uno stupratore, ma se anche lo fosse stato avrebbe stuprata la sua interlocutrice perché non se lo meritava, come a far intendere che non fosse attraente a sufficienza “per meritarsi uno stupro”.

Xenofobo

La criminalizzazione della povertà non si è scagliata solo contro i poveri del suo paese, ma anche contro i rifugiati, i richiedenti asilo e i soprattutto i venezuelani che, provando a fuggire una complicata situazione di miseria, stanno avanzando numerosi verso le frontiere del Brasile. Ha più volte usato parole violente contro gli emigrati di paesi arabi e dei paesi considerati, fuori da ogni logica, come comunisti, un po’ scimmiottando lo stile “calderone” della politica estera di Trump.

Sul Venezuela ha giocato un’intera campagna elettorale, propagandando la paura di un eventuale regime comunista unificato tra Brasile e altri paesi del Sud America nel caso vincesse il partito dei lavoratori, mostrando alla classe media che un certo tipo di politica di sinistra avrebbe solo portato alla fame, come già avveniva nel paese limitrofo.

Una delle ultime dichiarazioni prevede la fuoriuscita immediata di tutti i medici cubani presenti in Brasile per un programma di mutuo scambio e soccorso con Cuba. Tale programma prevedeva l’inserimento di medici cubani in ospedali brasiliani, soprattutto dell’entroterra, dove nessun medico della classe alta, gli unici che alla fine riescono a studiare medicina, vuole andare. Tale programma dava ai brasiliani dell’entroterra la possibilità di essere curati e a questi professionisti di guadagnare un salario di cui una parte andava al governo cubano.

La chiesa evangelica

Oggi quest’uomo si trova al potere, molti dicono eletto democraticamente. Tuttavia, il processo che ha portato milioni di persone a votarlo non è secondario, ed è un processo sporco basato sulla manipolazione. Un altro elemento fondamentale, oltre ai già citati, è stata l’alleanza con le chiese evangeliche, oramai potentissimi dispositivi galvanizzatori di grandi masse. Durante le cerimonie i pastori hanno dato indicazione di voto, ci sono foto di masse in preda al delirio scimmiottando con le mani una pistola, simbolo della campagna di Bolsonaro. Nelle periferie latino americane le chiese evangeliche hanno occupato tutti gli spazi possibili provando a colmare i vuoti istituzionali, degli enti educativi e culturali creando una vera e propria egemonia di manipolazione.

Tempi bui

Insomma la ricetta vincente è stata a base di impeachment architettato di una presidentessa eletta democraticamente, dell’incarcerazione del più grande candidato del paese, Lula, attraverso l’operazione lava-jato, della diffusione di fake news a tappeto via Whatsapp. Il presidente non ha ancora pieni poteri che acquisirà soltanto a gennaio. Ma già si prevedono tempi ben complicati: tra i primi progetti di legge depositati, spicca sin da subito quello della scuola senza partito, ovvero di una legge per il controllo dei docenti volta a intimidire la libera circolazione delle idee nei luoghi della formazione e della cultura, il cui accesso oggi non è nemmeno ancora orizzontale e trasversale. La cultura il pensiero critico continuano a fare paura, sono il primo antidoto per combattere la manipolazione e discernere il vero dal falso. Se questo è l’inizio, considerando anche l’invito già fatto e raccolto ad alcuni militari di ricoprire la carica di ministri, e idee bizzarre come la soppressione del ministero del lavoro, davvero non si sa cosa aspettarsi a partire da gennaio.

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