Cop27, i giovani cambiano la lotta ai cambiamenti climatici

Il 10 novembre alla Cop27 è stato celebrato il Youth & future day, la giornata tematica dedicata alle nuove generazioni. Si è organizzato un forum cui hanno partecipato politici, giovani attivisti e “champions” di alto livello riconosciuti dalle Nazioni Unite. Ma le ombre in questa Cop non mancano.

Tra le giornate tematiche della Cop27 in corso in Egitto, quella di ieri – giovedì 10 novembre – è stata dedicata ai giovani. Celebrare il Youth & future day, stando alle dichiarazioni degli organizzatori, serve a garantire che le prospettive delle giovani generazioni siano ascoltate e i loro diritti presi in considerazioni in tutte le aree dell’agenda climatica. Con questo ambizioso obiettivo è stato organizzato un forum intergenerazionale, mirato a facilitare l’interazione diretta tra responsabili politici, giovani attivisti e “champions” di alto livello riconosciuti dalle Nazioni Unite. Sebbene la giornata dedicata ai giovani esista già da alcuni anni, la COP27 è la prima che presenta, ai sensi del Glaslow Climate Pact, uno spazio appositamente dedicato a ragazzi e bambini, affinché le istanze dei più giovani possano esprimersi all’interno della Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite.

 

Lotta ai cambiamenti climatici e giustizia intergenerazionale

Le motivazioni che hanno portato all’inserimento di un Youth & future day all’interno della Conferenza delle Parti possono essere molteplici. Da un lato va tenuto in conto il desiderio dei leader mondiali di mostrare un’inclusività “di facciata” nei confronti della voce delle giovani generazioni, pur senza che ciò corrisponda a una reale volontà di tradurre in pratica le loro richieste.

Dall’altro lato tale strategia si inserisce all’interno di un contesto in cui la società civile, entro cui l’apporto dei giovani è particolarmente rilevante, svolge un ruolo attivo nella spinta per decisioni ambiziose in ambito climatico. Nel caso del nord globale le mobilitazioni, soprattutto giovanili, per la giustizia climatica hanno contribuito a imporre il tema dei cambiamenti climatici nel dibattito pubblico e, di conseguenza, nelle agende politiche dei diversi Paesi. Si tratta di mobilitazioni innegabilmente caratterizzate dal punto di vista generazionale: dagli scioperi globali per il clima dei Friday for Future che hanno portato in piazza milioni di studenti, ai blocchi del traffico urbano e delle merci, alle occupazioni di scuole, fino ai sabotaggi delle infrastrutture per il trasporto di combustibili fossili e alle campagne contro multinazionali e beni di lusso, il ruolo delle giovani generazioni è stato centrale.

Recenti studi di riviste di settore hanno approfondito dal punto di vista scientifico il senso di frustrazione, ansia ed ingiustizia che ha alimentato l’ondata di attivismo climatico guidato dalle giovani generazioni. Queste ultime sopportano (e sempre più dovranno sopportare) un costo sproporzionato per le crisi ambientali che il mondo affronta oggi; basti pensare che i bambini nati nel 2020 sperimenteranno un aumento da due a sette volte degli eventi climatici estremi, in particolare delle ondate di calore, rispetto alle persone nate nel 1960. Ed è proprio all’interno di questa prospettiva che si è andata sviluppando una consapevolezza crescente sul “diritto al futuro”, che significa tutelare i diritti non solo dei giovani ma anche delle generazioni che verranno, il cui godimento è indissolubilmente legato alla protezione della biosfera.

 

Differenze intra-generazionali: l’esempio dei MAPA

Il tema della giustizia climatica e della protezione di persone, comunità e Stati dagli impatti climatici ha tuttavia due dimensioni. Accanto a quella temporale e al diritto al futuro (che è la giustizia intergenerazionale), c’è la dimensione “spaziale”, la giustizia intragenerazionale. Di fatto, il concetto di generazione non basta per comprendere né i diversi gradi di responsabilità né l’iniquità degli impatti dei cambiamenti climatici. In entrambi i casi è necessario considerare che esistono profonde differenze geografiche, di classe e di genere anche all’interno della stessa fascia generazionale. Il caso dei MAPA (Most Affected People and Areas) è esplicativo: non solo i giovani che fanno parte di quelle popolazioni e aree geografiche subiscono impatti maggiori nonostante la responsabilità dei Paesi da cui provengono siano assai minori di quelle dei paesi industrializzati, ma sono portatori di prospettive, culture e pratiche differenti rispetto ai loro coetanei europei e nordamericani. Al Climate Social Camp che si è celebrato quest’estate a Torino hanno tenuto banco numerose critiche, mosse dagli attivisti del Sud, all’approccio dell’attivismo occidentale, concentrato su obiettivi definiti “eurocentrici”, quali la limitazione delle emissioni e delle temperature globali, che danno minore importanza alle cause sistemiche all’origine della crisi socio-climatica e alla necessità di ragionare in termini di equità anche della riparazione dei danni subiti dai paesi più vulnerabili.

 

I giovani, l’attivismo e la Cop27 in Egitto

Scelta altrettanto criticabile sembra quella di inserire per la prima volta una giornata dove i giovani possono prendere parola all’interno di questa Cop27, che si svolte in un contesto come quello egiziano. In Egitto infatti l’espressione del dissenso, comprese le mobilitazioni giovanili su ambiente e clima, sono fortemente represse dal regime di Al-Sisi. Per questo la Cop si è configurata, per citare un popolare articolo di Noemi Klein, come una “gigantesca operazione di greenwashing di uno stato di polizia”. L’Egitto è considerato dalle organizzazioni dei diritti umani uno dei regimi più brutali e repressivi al mondo. Se non dovesse bastare il caso dell’attivista Abd El-Fattah, ora in sciopero della fame e sete, ne sono un piccolo assaggio gli almeno 67 arresti, ma le stime potrebbero essere al ribasso, causati dalle annunciate mobilitazioni proprio in occasione del vertice sul clima.

Per tutta la durata della Cop27 la città di Sharm el-Sheikh è fortemente militarizzata e le norme anti-manifestazioni adottate sono particolarmente rigide. Ciò nonostante attivisti e attiviste non hanno rinunciato a mettere in campo azioni di denuncia sia all’interno sia al di fuori degli spazi ufficiali del summit. Ne sono la riprova le mani degli attivisti di Friday For Future pitturate con slogan contro le lobby del fossile, alzate durante varie interviste, e la protesta in cui un centinaio di manifestanti vestiti di bianco hanno gridato il nome degli attivisti uccisi per difendere i propri territori, chiedendo la liberazione dei prigionieri dissidenti del regime di Al-sis.

 

Lo Youth & Future day

Il contesto descritto si è inevitabilmente riflettuto all’interno del forum organizzato per il Youth & Future Day. Uno dei temi ricorrenti è stato il ruolo delle comunità locali nella tutela ecosistemica e climatica. È quanto ribadito ad esempio da Yaily Castillo-Panama, attivista dell’ong indigena CENDAH (Center of Environmental and Human Development), che ha denunciato come la devastazione ambientale non solo causa la perdita di biodiversità, ma anche quella di identità culturale a danno di migliaia di comunità locali, soprattutto nei paesi del Sud del mondo. Altri attivisti hanno sottolineato che è necessario ripensare l’educazione come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici. Infine, tema centrale posto da più parti alla discussione è stata l’urgenza di rendere operativo il meccanismo per i loss and demage, mettendoli a disposizione direttamente nei territori che subiscono gli impatti climatici.

Il rischio tuttavia, già concretizzatosi nelle scorse Cop, è che le istanze presentate restino lettera morta. Anche per questo, le mobilitazioni giovanili continueranno ad essere elemento di pressione destinato a fare la differenza: la richiesta di cambiamento e di misure radicali da parte di una generazione che vive sulla propria pelle i disastri ambientali non si fermerà di fronte all’immobilismo delle Cop.

 

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