Voci dalla scuola

I racconti di chi la scuola la vive da dentro: la storia di Fausta

 

Chiedersi per una insegnante, come me, cos’è stato l’anno scolastico appena terminato, è una domanda che non trova risposte. O meglio, ne trova, ma non sempre piacevoli.

 

Un anno segnato da avvenimenti importati, alcuni dei quali meritano di essere citati perché rappresentano la cornice che racchiude qualsiasi riflessione intorno alla domanda iniziale.

Nel 2023 si festeggiano i 140 anni dalla prima pubblicazione del Pinocchio di Collodi. Ma prima ancora abbiamo omaggiato Mario Lodi, Gianni Rodari, Italo Calvino.

Nello stesso momento, in ambito scolastico, i temi più cari all’Istituzione (MIM, oramai lo chiamiamo) parlano di merito, Pnrr per la scuola 4.0, tutor, voto di condotta e in ultimo, in questi giorni, di rispristino del voto numerico alla scuola primaria.

Per me la scuola ha due anime: un’anima egemonica, che tenta di tradurre in prassi parole e concetti chiave del paradigma culturale di riferimento in cui siamo immersi, e un’anima contro- egemonica, che intende la scuola, ancora oggi, come luogo di emancipazione.

 

Le due anime di cui parlo sono rappresentate prepotentemente dalla cornice di cui sopra.
In realtà nella scuola tutto è dicotomico e l’ho compreso per bene e ancora meglio nel corso di quest’anno.
Le due anime della scuola si distinguono per la lettera iniziale: c’è la Scuola, che rafforza il dominio, e c’è anche la scuola, che spariglia gli schemi.

Noi insegnant* apparteniamo alla scuola con la minuscola. Tentiamo di resistere alle aggressioni quotidiane di chi siede negli uffici ministeriali e liquida la scuola semplicemente come un fatto di merito. O di competizione, ma guai a dirlo!
La scuola però è il luogo per eccellenza in cui convivono miriadi di soggettività diverse.

Ci sono le/gli insegnant* che ogni giorno trasformano il sapere depositario (legato a valutazioni e voti numerici) in sapere critico. Insegnant* che “guidano” i gruppi classe fino a farli diventare comunità, in cui le unicità lasciano il posto alla collettività.
Insegnant* che dietro la montagna di burocrazia che sono costrette ad espletare riescono a cogliere lo sguardo di chi c’è dietro, delle alunne e degli alunni. Ed è così che il lavoro dell’insegnant* diventa plurale.

Una pluralità che si sostanzia di molteplici sensibilità, che hanno bisogno di essere incontrate.

Nell’ultimo anno le emotività con cui mi sono confrontata sono state diverse e disparate, a volte fragili, a volte compresse o addirittura disregolate. Un lungo lavoro quotidiano, a tratti faticoso, di costruzione di fiducia reciproca. Ho compreso ancor di più quanto fosse necessario conoscere le vite delle mie alunne e dei miei alunni, le loro abitudini, le loro gioie e i loro dolori, i loro rifiuti e le loro braccia tese.

Solo la conoscenza profonda di tutti questi aspetti rende la scuola capace di educare alla libertà, di vivere, immaginare e realizzare chi poter essere.

 

 

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