Record di sfollati interni nel mondo
Record di sfollati interni nel mondo: sono 75,9 milioni nel 2023. Come valutare il rischio di sfollamento per cause climatiche?
L’Organizzazione non governativa Internal Displacement Monitoring Centre ha stimato nel suo ultimo rapporto annuale 75,9 milioni di persone sfollate interne, vale a dire il 51% in più rispetto agli ultimi 5 anni.
Conflitti, violenze e disastri naturali aggravati dalla crisi climatica continuano ad ingrossare le file degli sfollati interni, meglio noti in ambito internazionale come internally displaced persons (IDP), che a fine 2023 hanno raggiunto a livello mondiale la soglia record di 75,9 milioni, rispetto ai 71,1 milioni del 2022. I dati arrivano puntuali come ogni anno dal rapporto Global Report on Internal Displacement (GRID) 2024 dell’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), pubblicato lo scorso 14 maggio.
Nell’ultimo anno 46,9 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per trovare rifugio altrove, rimanendo però confinate entro i territori nazionali e costrette a spostarsi anche più volte. Conflitti e violenze hanno spostato forzatamente 20,5 milioni di persone in 45 Paesi. Quasi due terzi del totale si trovano in Sudan, nella Striscia di Gaza e nella Repubblica Democratica del Congo. Resta, purtroppo, massiccio anche il numero degli sfollati a causa dei disastri naturali e di eventi climatici estremi, pari a 26,4 milioni in 148 Paesi. Si tratta del terzo numero di sfollamenti più alto degli ultimi dieci anni. Un terzo dei quali ha avuto luogo in Cina e Turchia a causa di devastanti eventi meteorologici e terremoti ad elevato magnitudo.
Conflitti, disastri naturali ed eventi climatici spesso si sovrappongono, moltiplicando le vulnerabilità. Al riguardo, gli autori del GRID 2024 hanno evidenziato che dei 45 Paesi e territori che hanno registrato sfollamenti a causa dei conflitti, tranne tre, hanno censito anche spostamenti per cause ambientali. Tra gli esempi citati nel rapporto, i terremoti in Siria e Afghanistan hanno colpito zone abitate da persone già sfollate a causa di anni di guerre, così in Somalia e Nigeria, teatro di duri conflitti, le inondazioni hanno portato a nuovi esodi. Non è insolito, inoltre, che violenze da parte di gruppi armati non statali possano seguire ai disastri per saccheggiare i convogli di aiuti, così come i conflitti possono aumentare la vulnerabilità delle popolazioni colpite per danni ad esempio alle infrastrutture. In Libia lo scorso anno il crollo delle dighe a Derna ha causato devastanti inondazioni che hanno provocato più di 11 mila vittime e sfollato quasi un quarto della popolazione della città.
Una panoramica a scala regionale
La portata e gli impatti degli sfollamenti interni variano in base al contesto di riferimento. L’analisi dell’IDMC sui trend regionali a scala globale è riassunta nel GRID 2024, come segue:
- L’Africa sub-sahariana, che ospita il 46% degli sfollati interni a livello mondiale, è stata ancora una volta la regione con più sfollamenti interni. Conflitti e disastri si sono sovrapposti in molti Paesi, costringendo le persone a fuggire nuovamente e/o a prolungare il loro sfollamento.
- Il conflitto in Palestina ha contribuito all’aumento di ben otto volte gli sfollamenti dovuti ai conflitti in Medio Oriente e nel Nord Africa. Anche i dati sugli sfollati interni dovuti a calamità, principalmente terremoti e inondazioni, sono i più alti di sempre nella regione.
- L’Asia orientale e il Pacifico hanno registrato il numero più alto di sfollamenti dovuti a catastrofi a livello globale, sebbene le stime siano le più basse dal 2017. Sono aumentati invece per il terzo anno consecutivo gli sfollamenti dovuti ai conflitti principalmente a causa della situazione in Myanmar.
- In Asia meridionale conflitti e disastri hanno provocato il 47% in meno di sfollamenti rispetto alla media degli ultimi dieci anni, sebbene i disastri abbiano comunque sradicato milioni di persone dalle loro case.
- Nelle Americhe le tempeste hanno provocato meno della metà degli sfollati registrati nel 2022. Conflitti e violenza hanno invece innescato il maggior numero di movimenti nella regione, con la Colombia e Haiti che rappresentano l’85% del totale.
- Europa e Asia centrale hanno registrato il numero più elevato di sfollamenti dovuti a catastrofi. I terremoti in Turchia ne hanno causato la maggior parte, mentre incendi, tempeste e inondazioni sono aumentati anche intorno al bacino del Mediterraneo. Quasi tutti gli sfollamenti registrati nella regione sono legati al conflitto tra Russia e Ucraina.
Ad essere colpiti sono anche Paesi ad alto reddito, come il Canada e la Nuova Zelanda, che hanno registrato numeri di sfollati interni tra i più alti di sempre. Come dichiarato da Alexander Bilak, Direttore dell’IDMC, “Nessun Paese è immune dallo sfollamento dovuto a catastrofi, ma possiamo vedere una differenza nel modo in cui lo sfollamento colpisce le persone nei Paesi che si preparano e pianificano per far fronte ai suoi impatti e in quelli che non lo fanno”.
Valutare il rischio di sfollamenti legati al clima
Un nuovo paradigma per la valutazione del rischio di sfollamento in caso di disastri naturali, associati alla crisi climatica.
In generale, va tenuto conto che la capacità di stimare il numero di sfollati a causa dei disastri aggravati dalla crisi climatica può avere significative implicazioni politiche in diversi settori, che vanno dalle misure di adattamento e mitigazione, agli aiuti umanitari e alle operazioni di soccorso, alla protezione dei diritti umani, nonché alle allocazioni finanziarie e all’entità delle perdite e dei danni. Così come una migliore conoscenza delle dinamiche che portano agli sfollamenti e le probabilità con cui questi si verificano può contribuire certamente a mettere in campo risposte di intervento più efficaci per la tutela degli sfollati interni, che restano ad oggi tra le categorie di persone più vulnerabili.
È proprio in quest’ottica che l’IDMC ha collaborato con la Fondazione CIMA – Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale – alla ricerca “Una nuova metodologia per la valutazione probabilistica del rischio di alluvione” (pubblicata ad aprile 2024 su Frontiers in Climate). Il lavoro si focalizza sui modelli di valutazione del rischio di sfollamento in caso di disastro. Come si legge nello studio, la valutazione del rischio è stata basata su una catena modellistica che comprende: il pericolo, l’esposizione e la vulnerabilità in diversi scenari climatici. In sintesi e in termini applicativi, la metodologia prevede, come descritto dalla Fondazione CIMA, la selezione di un determinato scenario climatico, mentre a seguire il modello idrologico Continuum – sviluppato dalla stessa Fondazione – consente di simulare le portate dei fiumi. In seguito un secondo modello simula le alluvioni, utilizzate per creare delle mappe di pericolosità, che a loro volta consentono di stimare i dati sull’esposizione delle persone, delle aree agricole, dei servizi e delle industrie esposte al rischio e di valutare il fattore vulnerabilità. Tali dati infine permettono di calcolare il rischio di sfollamento.
Questa nuova metodologia per la valutazione del rischio – applicata per la prima volta alle isole Figi e Vanuatu – tiene conto contemporaneamente non solo dei danni alle strutture abitative ma anche – come elemento che affina e amplia la letteratura in materia – ai mezzi di sostentamento (direttamente inclusi nel calcolo) e all’accesso ai servizi (come sanità e istruzione), che rendono probabile lo spostamento delle persone. Tale metodologia costituisce un nuovo tassello per allargare il raggio di comprensione delle motivazioni che portano allo sfollamento. È importante sottolineare, come fatto dagli stessi ricercatori, che, sebbene focalizzata sul fenomeno delle alluvioni, la metodologia sviluppata può essere estesa ad altri rischi climatici.