Nel suo viaggio in Italia, la leader indigena del popolo di Sarayaku, un territorio e un villaggio dell’Amazzonia ecuadoriana, ha raccontato le minacce (e le violazioni dei trattati internazionali) che subiscono i Kichwa.

In un incontro al quartiere romano della Garbatella, sono venute alla luce le ben note pratiche illegali, violente e prepotenti che caratterizzano il modello estrattivista e le multinazionali del petrolio, a cominciare dall’italiana Eni. L’associazione A Sud, che ha promosso l’incontro, annuncia l’apertura di un Focus Eni sul suo sito, ci manterrà informati sull’azione del gigante energetico in Italia (in Val D’Agri), in Nigeria e in Ecuador

La scorsa settimana, a Le CaSette, a Garbatella, diverse realtà associative hanno conosciuto e ascoltato Patricia Gualinga. Attivista, luchadora e difensora dell’ambiente e della cultura dei popoli indigeni, Patricia è una delle leader del popolo Kichwa di Sarayaku (una comunità indigena dell’Amazzonia ecuadoriana). Per essersi sempre opposta all’appropriazione indebita da parte di imprese estrattive (prima argentine ora cinesi) nel territorio Sarayaku, per essere stata sempre dalla stessa parte e per aver sempre detto, senza peli sulla lingua, qual era la sua posizione e quella della sua comunità, il 5 gennaio di quest’anno è stata minacciata di morte dopo un’aggressione alla sua abitazione nel Puyo.

Il popolo Kichwa di Sarayaku, però, non è conosciuto solo per aver difeso le proprie terre e il proprio stile di vita dall’appropriazione illecita dei territori ancestrali per la realizzazione di progetti estrattivi, ma anche per una vittoria storica legata alla loro lotta e alla loro persistenza. Nel 2012, a causa dell’ingresso di una compagnia argentina sul loro territorio, senza che ci fosse stata una preventiva consultazione degli abitanti, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha stabilito che l’Ecuador ha violato il diritto della comunità sarayaku ad essere consultata, all’identità culturale e alla proprietà comune dei terreni in questione. Una sentenza, storica che ha creato un precedente fondamentale per tutte le comunità indigene. Nonostante ciò, come sottolineato dalla stessa Patricia, questa è stato solo un tassello della lotta che continuamente sono costrette a combattere le popolazioni locali. Una vittoria importante nella miriade di concessioni concesse in barba alla volontà delle comunità.

La storia di Patricia e della sua comunità è rappresentativa di quanto sta succedendo in Ecuador in questo momento. In un territorio prossimo a quello di Patricia, a 4 minuti di avioneta (un piccolo aereo da 3 – 4 persone) o a 1 giorno a piedi (non ci sono strade per arrivarci), c’è il cosiddetto Blocco 10. Per collocare territorialmente le zona di sfruttamento petrolifero infatti si è deciso di dividere le aree in blocchi senza considerare le comunità, senza nessun riferimento ai territori delle varie nazionalità, senza tener conto della popolazione che quotidianamente vive quel territorio. Il blocco 10 è l’unico blocco petrolifero nella regione ecuadoriana in mano a ENI (conosciuto in Ecuador come Agip- Oil).

Nel 2010 è stato rinegoziato il contratto tra il governo ecuadoriano e l’ENI prevedendo una modifica dei confini dell’area, che adesso include anche i giacimenti di Onglan, Moretecocha e Jimpikit. Tutto ciò senza che il governo abbia avviato la consultazione preventiva delle popolazioni coinvolte come stabilito dall’articolo 57 della Costituzione Ecuadoriana. Tale modifica farà sì che verranno investite dall’espansione estrattivista altre 5 Nazionalità indigene tra cui anche il popolo Sarayaku, su cui vige ancora la sentenza della Corte interamericana dei diritti umani secondo cui bisognerebbe seguire delle procedure specifiche in termine di consultazione. Anche in questo caso, un’altra attivista, Salome Aranda, è stata minacciata insieme alla sua famiglia per aver ampiamente criticato ENI per le attività estrattive operate per più di 20 anni dall’azienda e per la volontà della stessa di allargare la sua attività in nuovi territori.

Sembra ci sia quasi una prassi consolidata sul modo di procedere delle aziende sul territorio ecuadoriano, pare che il fatto di ignorare la volontà popolare sia pratica comune nonostante la violazione fissata dalla Costituzione. Stesse sono anche le conseguenze sul territorio e sugli abitanti: la criminalizzazione degli attivisti, in prevalenza donne, e gli impatti ambientali e sanitari sulla cittadinanza.

Per tale ragione, per provare a raccontare al meglio in che modo l’ENI sta lavorando sui vari territori, nazionali e internazionali, come A Sud, da una parte stiamo provando a seguire i vari conflitti territoriali, e dall’altra stiamo provando a creare delle connessioni tra queste. Per diffondere tutto quanto sta accadendo, abbiamo deciso di aprire un Focus Eni nel nostro sito che ci manterrà informati sull’azione di Eni in Italia (in Val D’Agri), in Nigeria e in Ecuador.

 

L’evento Facebook

Patricia Gualinga

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