Le risposte di Eni alle domande di A Sud
Abbiamo presentato le nostre domande a Eni, partecipando all’assemblea annuale degli azionisti. Ecco cosa (non) ci hanno detto.
Anche quest’anno, attraverso Fondazione Finanza Etica, A Sud ha partecipato all’assemblea degli azionisti di Eni. Lo abbiamo fatto, per il quarto anno consecutivo, in maniera virtuale: sì, perché mentre nei giorni scorsi l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’emergenza internazionale per la pandemia di Covid-19, il cane a sei zampe si è appigliato a un regalo del governo Meloni e ha chiuso nuovamente le porte agli azionisti critici, scegliendo di deliberare sul bilancio a porte chiuse. Impedita persino la possibilità di partecipare in streaming, abbiamo solamente potuto presentare le nostre domande sull’operato dell’azienda. Ecco cosa (non) ci hanno detto.
Passano gli anni ma Eni resta sempre la stessa: una multinazionale che fa dell’annuncio il perno delle politiche aziendali. Convinta com’è di irretire in questo modo le azioniste e gli azionisti nonché l’opinione pubblica, Eni si rifugia in quello che l’anno scorso abbiamo definito “un linguaggio formale, pieno di tecnicismi e risposte dilatorie”. È l’analoga sensazione che ne abbiamo ricavato tra ieri e oggi, quando abbiamo esaminato le risposte che l’azienda ha fornito alle domande che abbiamo posto prima dell’assemblea degli azionisti, che per il quarto anno consecutivo si terrà a porte chiuse, impedendo la partecipazione, sia fisica che virtuale, degli azionisti. Come A Sud, abbiamo inoltrato una serie di quesiti specifici dai luoghi in cui Eni opera, per verificare tra ciò che Eni dice di fare e ciò che Eni fa realmente. Ancora una volta spiace constatare che perfino la trasparenza, tanto decantata nei discorsi del cane a sei zampe, è un’utopia. Di più: per Eni le domande che arrivano dalla carne viva dei territori sono solamente l’ennesima occasione per ribadire che va tutto bene, che tutto è stato condotto nel migliore dei modi, che gli impatti ambientali, sociali ed economici di un’azienda fortemente ancorata alle fonti fossili sono quasi nulli.
Riportiamo qui alcune delle risposte che meno ci hanno convinto (seguirà una seconda parte).
GELA
Partiamo da uno dei territori più emblematici di come Eni intende la propria attività industriale. Sono passati quasi 10 anni dalla chiusura dell’ex raffineria, l’ultimo residuo degli impianti voluti da Enrico Mattei in persona. A fronte dei lasciti rimasti irrisolti – le bonifiche non attuate, i drammatici dati sulla salute della popolazione (con picchi di tumori e malformazioni), la mancata riconversione dei lavoratori – gli interessi economici dell’azienda sono sulla bioraffineria, attiva dal 2019, e sul gasdotto Argo-Cassiopea. Eni ci ha confermato che la produzione di gas sarà attiva dalla prima metà del 2024. E pazienza se, dalle prime autorizzazioni risalenti al 2014, si sono susseguiti gli appelli dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia a bloccare nuovi impianti di petrolio e gas. Nello specifico, poi, sul golfo di Gela uno studio del 2018 ha rilevato “perturbazioni nell’ambito degli ecosistemi marini da parte delle attività industriali presenti a Gela” e concentrazioni preoccupanti di uranio 238 e di torio 234. Per Eni quel che conta è che le varie autorizzazioni di questi anni “confermano la piena compatibilità ambientale del progetto”. La crisi climatica e le preoccupazioni della popolazione possono attendere.
Nessuna fretta, invece, per le prescrizioni ambientali sancite dal Comune di Gela a seguito del rilascio delle autorizzazioni su Argo-Cassiopea. Queste, infatti, “vanno avanti in parallelo ai lavori di realizzazione dell’impianto”, mentre sarebbe stato auspicabile, e logico, che venissero realizzate prima della posa della prima pietra del gasdotto.
Nessuna fretta pure sulle mille promesse di Eni in questi anni. Anzi, è colpa di qualcun altro! L’impianto di terapia intensiva promesso a marzo 2020 e ancora non realizzato? Colpa della lentezza delle autorizzazioni. Il banco alimentare promesso a maggio 2021? Colpa dei permessi non rilasciati. Una sede adeguata per il master universitario (e oneroso) fatto partire da Eni e dalla Kore di Enna? Colpa del Comune che non sa decidersi.
Va tutto così bene a Gela, almeno per l’azienda, che perfino sul rinvio a giudizio a dicembre 2022 di dodici dirigenti e responsabili appartenenti a Eni Rewind – con l’accusa di mancata bonifica per l’impianto di trattamento dell’acqua di falda (un progetto che risale al 2004!) – “la società ritiene che in relazione al procedimento richiamato non vi sia alcuna necessità di operare modifiche nella struttura ovvero nel management”.
RAVENNA
Quello della città romagnola è un mistero che avremmo voluto risolvere ma Eni continua a tenerci sulle spine. Abbiamo chiesto all’azienda di indicarci come intende finanziare il progetto di cattura, uso stoccaggio di carbonio che prevede, dopo l’avvio della fase pilota, l’iniezione di 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno a partire dal 2027. Se da una parte Eni continua a magnificare le sorti della tecnologia CCUS (nonostante i molti studi contrari che si susseguono da anni), dall’altra spiega che servono “politiche di sostegno per promuovere la decarbonizzazione che nel caso della cattura e stoccaggio della CO2 risulta imprescindibile per i settori industriali hard to abate”. Vale a dire che senza soldi pubblici l’impianto non regge. E allora proprio per questo Eni dovrebbe indicarci dove vuole prendere i soldi. E invece, dopo il mancato finanziamento attraverso l’Innovation Found e la prima versione del PNRR, il cane a sei zampe si mantiene vago. Negli scorsi mesi Eni ha partecipato a una cabina di regia, convocata dal governo Meloni, sul nuovo capitolo REPower EU del PNRR. Insieme ad altre aziende partecipate, Eni ha presentato alcune “proposte progettuali concrete e di realizzazione nei tempi previsti dal Piano”. Quali sono queste opere? C’è anche l’impianto di Ravenna? Di fronte a due domande che ci sembravano persino banali nella loro semplicità, dato che riguardano la transizione ecologica, Eni rimbalza la palla al governo, scrivendo che dovrà essere lui “a rendere note le proprie decisioni non appena avrà vagliato e selezionato, fra le diverse proposte ricevute, quelle che intenderà accogliere”. Capito? Parlate col governo, non con noi. Come se il socio di maggioranza relativa di Eni non fosse lo Stato italiano, come se la conferma di Claudio Descalzi ad amministratore delegato non fosse stata decisa dal governo Meloni.
VIVA IL MERCATO!
Di italiano, a Eni, è rimasto solo il cuore (nero), qualunque cosa significhi. Nel senso che le scelte della multinazionale energetica più potente d’Italia vanno sempre verso gli azionisti, e i loro interessi, sacrificando quelli delle persone impattate dalle attività dell’azienda. Ne è prova la vicenda del gas a prezzo calmierato. Ricordate la vicenda? Nella scorsa legislatura il governo Draghi, visti i prezzi del gas alle stelle, aveva annunciato di voler sostenere le imprese in difficoltà. Era stato lo stesso premier, tra l’altro, a parlare per primo di extraprofitti l’anno scorso. L’obiettivo era di tassare le entrate più alte riportate dalle aziende energetiche nel 2022, che avevano approfittato appunto dell’aumento del prezzo del gas sul mercato internazionale di Amsterdam. Inoltre col decreto Aiuti Quater il governo Draghi aveva, scrive la stessa Eni, “modificato e integrato la disciplina sull’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale, da destinare a prezzi calmierati, ai clienti finali industriali energivori”. In pratica le aziende come Eni, che in Italia è uno dei principali fornitori di gas, avrebbe dovuto venderlo alle aziende in difficoltà a prezzi ridotti rispetto a quelli, insostenibili, sanciti dal mercato. Sarebbe stata una scelta auspicabile, seppur insufficiente, che almeno però avrebbe potuto far leva sulla parte pubblica dell’azienda. E invece è la stessa Eni a informarci che, in attesa dei decreti attuativi che il governo Meloni non ha ancora emanato, Eni deve ancora valutare l’adesione all’iniziativa. Ciò perché “Eni opera sul mercato secondo le regole definite dalle autorità preposte e secondo i consolidati principi del mercato stesso e della concorrenza trasparente”. Come a dire: pagherete il gas, lo pagherete caro e lo pagherete tutto. Senza sconti.
Per approfondire, le domande e le risposte sono disponibili qui.