L’accordo UE - USA sul gas naturale liquefatto fa acqua da tutte le parti
Dall’inizio della crisi energetica, l’Europa invoca il GNL, gas naturale liquefatto, come alternativa al gas russo.
Tanto che il 25 marzo il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen hanno annunciato la costituzione di una task force per la riduzione della dipendenza europea dalle fonti fossili russe e il rafforzamento della sicurezza energetica europea.
La Task Force per la Sicurezza Energetica si focalizzerà su due obiettivi: 1) diversificare l’offerta di GNL in linea con gli obiettivi climatici 2) ridurre la domanda di gas naturale.
La fattibilità dell’accordo rimane però dubbia, se non simbolica, sia in termini economici che di tutela ambientale.
In primo luogo la capacità di esportazione del paese è satura e non riuscirà a crescere in maniera significativa prima di diversi anni. In secondo luogo non è detto che le società energetiche americane abbiano interesse a vendere il loro GNL in Europa. Di norma le metaniere statunitensi si dirigono verso l’Asia nord-orientale (Giappone e Corea del Sud) perché la domanda è elevata e i prezzi alti. Nell’ultimo anno la crisi energetica europea ha fatto crescere enormemente il costo del gas naturale e ha indotto le società energetiche americane a inviare il loro GNL in Europa ma la tendenza potrebbe invertirsi in qualsiasi momento dato che le aziende rispondono al mercato e non alla Casa Bianca. Inoltre, il grande problema del gas naturale è il trasporto: il gas deve essere prima raffreddato attraverso un processo dispendioso da un punto di vista energetico, poi versato in speciali navi cisterna e, una volta raggiunta la destinazione, riconvertito in gas attraverso rigassificatori. Secondo gli esperti, la costruzione delle infrastrutture necessarie sulle due sponde dell’Atlantico richiederebbe da 2 a 5 anni.
Nel patto con l’Europa, Washington si è impegnata a fornire 15 miliardi di metri cubi entro la fine del 2022 con l’obiettivo di 50 miliardi di metri cubi entro il 2030. L’accordo potrebbe minare gli sforzi degli Usa e dell’Europa per combattere il cambiamento climatico. Una volta che i nuovi terminali di esportazione e importazione saranno costruiti, probabilmente continueranno a funzionare per diversi decenni, perpetuando l’uso di un combustibile fossile molto più a lungo di quanto il pianeta possa sostenere.
Il gas naturale liquefatto è infatti considerato una risorsa non convenzionale per la difficoltà a raggiungere i giacimenti. Per l’estrazione si ricorre a trivellazioni orizzontali tramite l’hydrofracking, cioè fratturazione idraulica. La tecnica consiste nell’iniezione di una soluzione di acqua e sabbia ad alta compressione negli stati rocciosi per spaccarli: la frattura libera il metano che viene raccolto e immagazzinato. Il fracking aumenta il rischio idrogeologico e può provocare eventi sismici nei pressi dei siti di trivellazione. Inoltre comporta problemi di contaminazione delle falde acquifere e un grande dispendio di risorse idriche nel processo di fratturazione.
Sebbene l’Europa lo consideri un combustibile di transizione, il GNL è una fonte fossile altamente inquinante che danneggia il pianeta e l’accordo con gli Stati Uniti rischia di mantenerci ancora una volta ancorati alla volatilità del mercato.