In Europa il vero vincitore della guerra è il gas

Il tentativo di Ursula Von der Leyen di intessere rapporti diplomatici con una serie di Paesi per diversificare l’approvvigionamento energetico europeo.

“Dobbiamo liberarci dalla dipendenza dal gas russo. Stiamo lavorando a un approccio strategico per accelerare gli investimenti sulle rinnovabili e diversificare le forniture europee attraverso accordi coi nostri alleati negli Stati Uniti per il gas liquefatto e altri amici nel resto del mondo. Stiamo cercando di capire come investire sul biogas e sull’idrogeno (…) un’operazione favorevole anche al clima”.

Con queste parole la prima domenica di marzo, all’inizio della crisi Russia-Ucraina, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen preannunciava ai giornalisti della CNN il futuro piano della Commissione per diversificare l’offerta energetica dell’Europa.

L’annuncio rappresentava il tentativo della Presidente di intessere rapporti diplomatici con una serie di paesi per diversificare l’approvvigionamento energetico europeo.

Gli altri paesi, definiti “amici” dalla stessa Von der Leyen, che dovrebbero fornirci il gas naturale liquefatto, sono gli Stati Uniti e il Qatar. L’altro grande amico invece sarà il Giappone perché le navi cariche di GNL degli Stati Uniti per arrivare in Europa dovranno fare tappa nel Paese del Sol Levante.

REPowerEU: il piano dell’Europa per il gas

Le proposte della Commissione sono condensate in un documento pubblicato l’8 marzo noto come REPowerEU, che ha come obiettivo una riduzione della dipendenza dell’UE dal gas russo di due terzi prima della fine del 2022 e completamente entro il 2030. Il piano delinea misure per garantire lo stoccaggio di gas al 90% in modo da far fronte a potenziali interruzioni di fornitura.

Come si legge nel testo, la proposta della Commissione si basa su due pilastri: in primo luogo si mira a “diversificare gli approvvigionamenti di gas” da fornitori non russi, grazie all’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) e l’individuazione di altri gasdotti, oltre che attraverso l’aumento di biometano e idrogeno; il secondo obiettivo è, invece, una riduzione rapida “della dipendenza da combustibili fossili nell’edilizia (anche abitativa) nell’industria e a livello di sistema energetico, grazie a miglioramenti dell’efficienza energetica e a maggiori quote di energie rinnovabili”.

 

Perché l’Europa punta sul gas

L’Europa punta al gas naturale per due motivi: il primo riguarda la possibilità di utilizzare le infrastrutture esistenti per il trasporto del gas (con l’idea di costruirne di nuove) anche per il trasporto dell’idrogeno, il secondo riguarda la messa in sicurezza energetica dell’Europa attraverso le sue riserve di gas a sostegno dei sistemi nazionali, il cosiddetto stoccaggio.

La scelta di puntare su gas naturale e GNL (che invece verrebbe trasportato attraverso navi metaniere via mare) risulta particolarmente critica per la transizione ecologica: da un lato l’aumento delle importazioni di gas naturale via gasdotto in nome di una maggiore sicurezza energetica rappresenta un ulteriore ritardo del raggiungimento degli obiettivi climatici europei per il 2030, dall’altro l’aumento delle importazioni di GNL significherebbe un investimento su una fonte estremamente inquinante e dispendiosa nel trasporto.

L’esecutivo dell’Ue ha mosso la macchina diplomatica per aprire il dialogo con i paesi produttori e di transito del gas naturale tra cui Egitto, Azerbaigian e Turchia, Algeria, Corea del Sud, Nigeria oltre Stati Uniti, Qatar e Giappone. Tutto sta nel vedere se i paesi “amici” saranno disposti ad aumentare le forniture in Europa senza che questo comporti un aumento dei prezzi e dei loro profitti. La diplomazia in questo caso rischia quindi di non essere uno strumento sufficiente.

Sul fronte della sicurezza energetica, invece, il 23 marzo la Commissione ha presentato una proposta legislativa che introduce l’obbligo per gli Stati membri di garantire che i loro depositi sotterranei di stoccaggio di gas siano riempiti fino all’80% della loro capacità entro novembre 2022 e fino al 90% per gli anni successivi con l’obbligo degli operatori dei siti di stoccaggio di dichiararlo alle autorità nazionali.

Sempre per ottenere maggior sicurezza energetica, la Commissione vuole introdurre uno schema di certificazione per gli operatori del gas, per evitare che alcuni colossi del gas operino in maniera incontrollata nella distribuzione delle forniture, come potrebbe essere accaduto nel caso di Gazprom che potrebbe aver chiuso i rubinetti volontariamente poco prima dell’inizio del conflitto.

Entrambe le proposte rientrano in una strategia miope di continuità con il gas senza considerare che tra dieci anni secondo gli accordi europei dovremmo aver dimezzato la nostra dipendenza dalle fonti fossili.

 

L’idrogeno

L’altro elemento che rende così appetibile il gas naturale è la presunta compatibilità dei suoi impianti con l’idrogeno. Sempre nel RepowerEU la Commissione ha dichiarato che vuole raggiungere entro il 2030 15 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile da aggiungere ai 5,6 già previsti dal pacchetto “Fit for 55%.

Nella strategia dell’idrogeno presentata l’8 luglio 2020 dalla Commissione Europea a cui fa riferimento il RepowerEU, Bruxelles aveva annunciato la pianificazione di enormi infrastrutture per l’idrogeno, paria a circa 23mila chilometri di idrogenodotti, idea formulata, peraltro, su suggerimento di un consorzio di aziende del gas (Gas for Climate).

Snam da anni testa il passaggio dell’idrogeno all’interno delle tubature del gas tramite il mescolamento di idrogeno e metano dichiarando di riuscire a trasportare un massimo di 20% di idrogeno miscelato con 80% di gas. Oltre questa percentuale l’idrogeno richiederebbe delle condutture ad hoc.

 

Le criticità dell’idrogeno

Il problema che si pone con l’idrogeno riguarda, però, la percentuale di gas di cui necessita per essere trasportato.

Snam dichiara di riuscire a trasportare solo il 20% di idrogeno miscelato con 80% di gas. Oltre questa percentuale l’idrogeno richiederebbe delle condutture ad hoc. In realtà, la percentuale di idrogeno trasportabile potrebbe essere addirittura inferiore perché gli operatori come Snam non considerano che per arrivare a questi risultati servirebbero ingenti investimenti che richiederebbero molti anni.

Non solo, con la scusa dell’idrogeno la Commissione è arrivata a giustificare anche dei Progetti di Interesse Comune finanziabili con i fondi europei, arrivando a dare il via libera a circa 20 progetti di connessioni per il gas.

 

La nuova frontiera del gas: LNG

Il cavallo di battaglia del RePowerEu rimane, però, il gas naturale liquefatto.

Per comprendere l’enormità dell’investimento sul GNL basti pensare che che oggi Bruxelles vuole importare 50 miliardi di metri cubi all’anno da altri Paesi fuori dalla Russia.

E anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden lo scorso 25 marzo ha confermato di voler aiutare l’Europa in questa impresa con aumento delle spedizioni del 2022 di ben 15 miliardi di metri cubi.

 

Le criticità del gas liquefatto

Il gas naturale liquefatto pone, però, una serie di problemi.

Innanzitutto, la disponibilità di gas liquefatto a livello mondiale è limitata. I principali esportatori dagli Stati Uniti al Qatar non sono in grado di aumentare l’offerta sul mercato prima di tre anni. In più anche il GNL già a disposizione, è bloccato da contratti pluriennali che non riguardano l’Europa.

Non solo, l’impatto ambientale della produzione e trasporto di GNL può essere disastroso come dimostrato da un report di Food and Water Action Europe. Per ottenere il GNL è infatti necessario raffreddare il gas fossile a -162 gradi e poi trasportarlo via nave attraverso un processo altamente dispendioso. Si pensi che l’energia necessaria al funzionamento di tutti i terminali di liquefazione esistenti e pianificati negli Stati Uniti creerebbe emissioni di CO2 pari a quelle di 24 centrali a carbone. Inoltre, l’intera catena di approvvigionamento del GNL danneggia le comunità colpite dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua dovuto al fracking, alla tecnica estrattiva, agli oleodotti e al raffreddamento del metano per creare il GNL.

 

Cosa resta delle rinnovabili

Se anche servisse come palliativo per la crisi energetica attuale, il GNL rimane una soluzione complicata da attuare, e l’idrogeno non è una buona scusa per investire a pioggia sui gasdotti, visto la scarsità dei risultati.

Il problema di fondo della crisi è che abbiamo bisogno di molte più rinnovabili. La Commissione sa perfettamente che la soluzione migliore per ridurre la dipendenza dal gas importato è accelerare l’attuazione del Green Deal europeo ma ha anche avvertito che gli investimenti nelle energie rinnovabili non sono ancora al livello necessario. Anche i permessi per gli impianti rinnovabili secondo l’Ue dovrebbero essere semplificati.e si punta a raddoppiare la diffusione annuale delle pompe di calore per raggiungere 10 milioni di installazioni nei prossimi cinque anni.

Rimane evidente però che la parola d’ordine dell’intero documento sia ancora una volta il gas, non certo l’energia rinnovabile.

Frans Timmermans, vice presidente esecutivo per il GreenDeal ha dichiarato che l’Europa sta fronteggiando una grossa sfida “perché abbiamo fatto l’errore di renderci troppo dipendenti” e che l’analisi della Commissione rende possibili nuovi scenari “coraggiosi”. Se l’analisi comprende ancora il gas c’è ancora molta strada da fare.

Iscriviti alla nostra newsletter!