Con il piano Trump ormai in via di definizione e ratificato dall’ONU, e a poco più di un mese dalle grandi piazze italiane per la Palestina, questo testo riprende il filo delle mobilitazioni passate e future dal punto di vista delle scuole, incontrando un’insegnante coinvolta nei percorsi formativi e nelle piazze per parlare di ciò che è stato e di ciò che verrà.


Con il piano Trump in via di definizione e ormai ratificato da parte dell’ONU, e a più di un mese dalle grandi piazze italiane per la Palestina, riprendiamo le fila del discorso sulle mobilitazioni passate e future, dal punto di vista delle scuole, soggetti centrali nelle date appena passate. Per questo incontriamo un’insegnante di scuola secondaria, con cui A Sud ha condiviso progetti formativi e incrociato le proprie strade nelle piazze per la Palestina, per parlare di quello che è stato, delle mobilitazioni presenti, con e oltre la Palestina.

Puoi dirci come hai vissuto le grandi giornate di mobilitazione per la Palestina del mese scorso?

Ci sono stati degli incontri antecedenti alle manifestazioni, in particolare uno al quale ho partecipato in Piazza Malatesta con una mia collega, nella quale gli insegnanti di varie altre scuole di Roma est, hanno cercato di mettere giù le basi per strutturare un po’ questo percorso, verso la manifestazione, ma in generale per le mobilitazioni pro-Palestina, tanto che poi si è riusciti a organizzare un corteo precedente al corteo principale, il 22 ottobre,  che partiva da Largo Preneste con docenti e studenti, che appunto è stato bello partecipato. Si è dato poi seguito alla cosa anche un gruppo Whatsapp nel quale hanno continuato a coordinarsi, a fare vari incontri. Gli insegnanti effettivamente si sono mobilitati, nella mia scuola non tantissimo perché appunto è una scuola un po’ dormiente, però per esempio alla manifestazione del 22 Settembre, 10-11 insegnanti sono scesi in piazza. L’adesione allo sciopero è avvenuta quasi sempre in maniera autonoma, quindi non seguendo la bandiera di un qualche sindacato.

 

Come hai affrontato in classe la questione palestinese?

Ho fatto più lezioni sulla Palestina, anche sul colonialismo italiano. I ragazzi all’inizio erano un po’ restii. Però poi, piano piano, alcuni di loro si sono effettivamente sensibilizzati, soprattutto nel momento in cui provavo a farli mettere nei panni dei bambini palestinesi. Le lezioni sono state anche delle testimonianze di quello che ho visto, essendo stata in Palestina con Operazione Colomba, un corpo civile nonviolento, di pace. In classe, parlavamo di come si vive in Cisgiordania, anche e soprattutto dal punto di vista dei bambini, che per andare a scuola hanno bisogno di essere scortati (l’associazione fa lo school patrolling). E poi,da dopo il 7 ottobre, per lunghi periodi non sono proprio più andati a scuola. Quindi posso dire che perlomeno loro hanno capito il senso dell’ingiustizia che sta avvenendo, che era poi la cosa che mi interessava. Il senso dell’ingiustizia, in modo da poter poi leggere eventualmente quello che stava succedendo, cioè avere una chiave di lettura, gli strumenti  per comprendere.

 

Com’è la situazione ad oggi nelle scuole sulla questione?

 In questa seconda scuola ti dicevo, appunto, in cui sono arrivata da poco, ancora non ho capito che tipo di spazio mi posso prendere, ma da quello che ho percepito si sente un’aria di minor libertà, e chissà che non abbiano influito anche la circolare dell’USR Lazio ad inizio anno scolastico, (sconsigliava mozioni su Gaza durante i collegi docenti) e il  DDL Gasparri,  (mira a rafforzare gli strumenti normativi contro l’antisemitismo, anche a scuola).

 

Cosa ne pensi?

Allora, diciamo che è qualcosa che, secondo me, quantomeno intimorisce.  Perché anche se è solo una  circolare, cioè non ha un valore effettivo, può essere un’indicazione, un insegnante si può sentire  minacciato, sente che il suo spazio d’azione è un po’ ristretto, sicuramente il clima è quello, quindi inevitabilmente uno si sente meno libero di esprimere un parere, di comunicare alcune visioni, alcune nozioni che, secondo me, sono parte dell’insegnamento, perché formare una cittadina o un cittadino è anche dargli gli strumenti per poter comprendere il presente e quindi per me questo è parte della missione dell’insegnante, quindi non è qualcosa che esula, come poi faceva intendere la circolare dell’USR, come se, appunto, non potesse rientrare anche l’argomento Palestina-Gaza nella programmazione didattica, perché no? Perché non può rientrare nel tema dell’educazione civica? Perché non può rientrare nelle lezioni di storia? Perché non in geografia, perché mai? La cosa terribile, riguardo il DDL Gasparri, oltre al fatto che non si può più parlare di Palestina perché poi va a finire che critichi lo Stato d’Israele e non si può più fare, è l’idea di poter imporre a dei docenti, a degli studenti dei corsi di formazione su Israele, cosa che credo sia in odore di incostituzionalità. Non penso che qualcuno si possa svegliare e dirci obbligatoriamente quali corsi dobbiamo seguire, quindi, insomma, ci sono varie violazioni.

 

Come vedi il prossimo futuro delle mobilizzazioni per la Palestina?

Secondo me, le mobilitazioni, in linea generale, possono avere un seguito, un successo, se  espandiamo il tema Palestina fino ad arrivare ad un’idea di lotta per la giustizia, ancorandosi alla lotta per i diritti civili, i diritti sociali, contro la militarizzazione, quindi, diciamo che, secondo me, è una lotta che deve allargare il proprio spettro. In questo modo, può avere un seguito, perché per la Palestina c’era da protestare anche prima del 7 ottobre, sono 80 anni che si dovrebbe protestare per la Palestina. Quindi dobbiamo agganciare questo tipo di lotta sia ai diritti civili, sia a qualcosa che, secondo me, la popolazione deve poter sentire, cioè, i diritti sociali, l’accesso ai servizi.

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