La giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza
L’11 Febbraio ricorre la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. Istituita nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, scopo della giornata è quello di mettere a critica e al contempo trovare soluzioni per il persistente divario di genere che caratterizza, da sempre, la partecipazione di donne nelle cosiddette discipline STEAM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Arte e Matematica): anche secondo la ricerca condotta da OpenPolis, nonostante nel complesso delle persone laureate in Italia le donne rappresentino il 59,4%, ancora nel 2021 solo il 15,2% di quest’ultime sono laureate in Informatica e Tecnologie Ict.
Per questo, come A Sud, crediamo sia fondamentale mettere in campo pratiche educative che cerchino di elaborare soluzioni politiche alternative a quelle presenti, interrogandosi insieme ad educatric3 e student3 sulle cause generali che determinano stereotipi e discriminazioni di genere. Il divario di genere nelle discipline STEAM non può essere infatti considerato solo come un dato eccezionale, ma come un sintomo di relazioni patriarcali che strutturano il nostro modo di vedere il mondo, influenzando così anche la nostra concezione di scoperta e mondo scientifico. Come ci ricorda la fisica femminista Evelyn Fox Keller, infatti, lungi da essere categorie universali “tanto i generi, quanto la scienza, sono categorie costruite nel sociale, nel senso che “scienza” altro non è che il nome attribuito a una serie di procedimenti e a un insieme di conoscenze delineate da una data collettività e non semplicemente definite dalle esigenze della prova logica e verifica sperimentale. Non diversamente, maschile e femminile sono categorie definite da una data cultura, non da una necessità biologica”. Non è quindi un caso che l’immaginario che ruota intorno al mondo scientifico, escluda tutte quelle caratteristiche storicamente associate al genere femminile (emozionalità, passività, sentimento e soggettività) e ponga al centro tutte quelle caratteristiche associate al genere maschile (razionalità, oggettività, intraprendenza). Naturalmente, questa attribuzione arbitraria di caratteristiche non riflette in alcun modo delle categorie universali, ma piuttosto dei rapporti di potere e la gerarchizzazione della società secondo il genere. Questo modo di concepire il mondo ha importanti e disastrosi effetti: da un lato produce l’esclusione sistematiche delle soggettività ritenute fuori dal campo del maschile, attraverso stereotipi di genere che ne ostacolano la partecipazione, dall’altro genera un immaginario del mondo scientifico basato solo su criteri di oggettività e razionalità. Approcciarsi tramite una prospettiva di genere alle materie STEAM, permette quindi non soltanto la decostruzione degli stereotipi che generano esclusioni sociali, ma anche un utilizzo dei saperi scientifici basati su nuove relazioni di cura e responsabilità nei confronti di ciò che studiamo e ci circonda.
Per questo, in occasione della Giornata internazionale delle donne e della scienza, vi proponiamo alcune riflessioni tratte dall’ultima lezione del corso di formazione Open Science, un progetto di A Sud finanziato da Impresa Con I Bambini in collaborazione con OpenPolis, Palmanana e Presidio Partecipativo del Patto di Fiume Simeto, che ha proprio l’intento di sperimentare strumenti didattici innovativi, basati sulla Scienza Aperta e su un approccio laboratoriale e cooperativo per incrementare le competenze STEAM attraverso prospettive di genere ed ecologiste. La lezione, dal titolo STEAM e stereotipi di genere, si è proposta di dare valore politico alle esperienze di vita personali, attraverso la voce e i racconti di donne direttamente coinvolte nel mondo del lavoro scientifico.
STEAM e stereotipi di genere
Il primo intervento della lezione è stato quello di Cristina Mangia, ricercatrice presso il CNR e attivista dell’ Associazione Donne e Scienza. L’intervento di Cristina è ruotato intorno all’evoluzione della presenza delle donne all’interno dei corsi STEAM, sottolineando le cause e proponendo alcune soluzioni.
L’osservazione dei dati di Almalaurea sugli iscritti ai corsi STEAM ci permette infatti di notare alcuni cambiamenti. Per prima cosa, sebbene la percentuale di ragazze iscritte sia aumentata, l’aumento risulta essere davvero debole, attestandosi solo intorno al 5/6%. Inoltre, analizzando i dati di ogni singolo corso, osserviamo che l’iscrizione di ragazze è aumentata in ingegneria, mentre è diminuita nei campi delle tecnologie per l’informazione (ICT, Information and communication technology). Questo vuol dire che, nel concreto, solo il 13% di donne prende parte al processo di costruzione di quei saperi e prodotti che stanno trasformando completamente il mondo contemporaneo. Per questi motivi, Cristina ci ha raccontato della sua esperienza e le sue riflessioni intorno a Donne e scienze, un’associazione femminista che a partire dagli anni 2000 ha iniziato ad interrogarsi sulle possibili cause della disparità di genere nel mondo scientifico e le possibili soluzioni da intraprendere.
La scelta di un percorso professionale dipende dalla corrispondenza tra l’immagine che uno ha di sé e l’immagine del corso a cui si iscrive. In questo senso gli stereotipi di genere contribuiscono a creare un’immagine che non aderisce alle aspettative, generando sconforto e scoraggiamento. Purtroppo, questi stereotipi si possono riscontrare anche tra gli stessi insegnanti. Ad esempio, in un’indagine condotta dall’associazione, le descrizioni di cosa fosse per gli insegnanti “una brava ragazza” e un “bravo ragazzo” erano basate su stereotipi ormai riconosciuti: mentre le ragazze venivano descritte come “meticolose, precise, disciplinate”, per i ragazzi si usavano aggettivi come “brillanti, eccezionali, intelligenti anche se non si applicano”. Questo naturalmente ha molta influenza sull’autostima delle ragazze: una ragazza che esce da scuola con un voto basso in matematica, si sente infatti molto meno legittimata a iscriversi ad un corso di ingegneria rispetto ad un ragazzo.
Si tratta di un grande divario immaginativo molto presente nel mondo scientifico. Non è infatti un caso che troviamo una forte presenza di ragazze nei percorsi che percepiscono come utili per la vita, l’ambiente o la cura, come dimostrato anche dagli ultimi sondaggi di Almalaurea. Per questi motivi, lavorare su questi temi per cercare di coinvolgere più ragazze nella scienza, significa lavorare sull’immaginario che circonda la tecnologia, spesso considerata arida e senza sentimenti. Per incoraggiare le ragazze ad iscriversi, è quindi necessario attivare in loro un desiderio basato su una visione del mondo scientifico meno distaccata dal mondo reale, mostrando anche il lato emotivo, fantasioso e creativo dei processi di ricerca. Solo così quest’ultima potrà dirsi veramente arricchita da tutti i contributi possibili, sia di uomini sia di donne e persone non binarie.
Il secondo intervento è stato quello di Eugenia Naselli, ricercatrice presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Caterina ci ha raccontato della sua esperienza all’Istituto Nazionale di Fisica nucleare, sottolineando come il suo percorso lavorativo sia stato spesso svalorizzato o guardato con diffidenza in base al suo sesso di appartenenza. I pregiudizi inconsapevoli insiti nella cultura, rendono infatti le donne che lavorano nella scienza molto spesso oggetti di stereotipi. Questi ultimi hanno ricadute concrete sulle realtà, come dimostrano i dati pubblicati dal comitato di garanzia promossi dagli Istituti Nazionali di Fisica Nucleare. Nonostante l’impegno messo in campo dall’Istituto il numero di ricercatrici e tecnologhe risulta ancora fortemente sottorappresentato, attestandosi intorno al 20%. Inoltre il problema non riguarda solo le presenze, ma anche gli avanzamenti di carriera. Mentre infatti un uomo su cinque avrà la possibilità di diventare dirigente, solo una donna su tredici ricoprirà tale incarico. Anche in questo caso i miglioramenti si possono notare ma sono talmente timidi da non poter essere considerati significati.
Nell’ultimo intervento ci ha raccontato la sua esperienza Noemi Spagnoletti, biologa e primatologa presso il CNR, impegnata nell’educazione delle tematiche scientifiche da una prospettiva di genere nelle scuole. Noemi ci ha mostrato la ricerca “Is Primatology an Equal-Opportunity Discipline?” che indaga la disparità di genere all’interno dell’ambito accademico della primatologia. Quest’ultimo, anche nell’immaginario e negli stereotipi comuni, è considerato un ambiente molto più egualitario rispetto ad altre facoltà scientifiche, anche per la grande influenza rivestita dalle donne fondatrici della disciplina, come Jane Goodall. Ma lo studio condotto dalle tre primatologhe, mostra una realtà diversa: sebbene all’inizio le iscritte a Primatologia fossero prevalentemente donne (74% rispetto al 25% degli uomini), man mano che si avanzava nella carriera accademica, il numero di ricercatrici diminuiva notevolmente. A livelli di carriera più avanzati, il numero di uomini superava quello delle donne. Questo avviene nonostante la qualità dei lavori di ricerca di uomini e donne si attenga agli stessi livelli. Questo studio ha confermato la presenza di quello che Noemi ha definito soffitto di cristallo, ovvero un ostacolo che tutte le ricercatrici incontrano quando devono raggiungere delle posizioni apicali all’interno dell’ambito di lavoro. Solo attraverso lavori educativi che permettano di contrastare e superare gli stereotipi di genere presenti fin dall’infanzia saremo in grado di abbattere insieme questo soffitto.
[1] Evelyn Fox Keller, Sul genere e la scienza