La cumbre social: il racconto del contro vertice organizzato dalla società civile
Si chiude oggi la Cumbre Social: il controvertice che aveva l’obiettivo di dare voce alle organizzazioni escluse dai dibattiti istituzionali della COP 25.
Se alla Feria de Madrid, nella sede ufficiale della COP, la trepidazione è alle stelle per l’ultima fase dei negoziati, nei palazzi dell’università Complutense della capitale spagnola, a circa un’ora di distanza dai grandi nomi dei rappresentanti politici, si chiude oggi la Cumbre Social: il controvertice organizzato dalle organizzazioni sociali spagnole che aveva l’obiettivo di dare voce alle realtà attive sul fronte ambientale in tutto il mondo e che sono state escluse dai dibattiti istituzionali della COP 25. La collocazione geografica e i processi di partecipazione scelti per le due iniziative – una all’interno della fiera di Madrid, a una sola fermata di metro dall’aeroporto per facilitare gli spostamenti degli invitati, e accessibile solo per istituzioni, giornalisti e ONG accreditate, l’altra nel mezzo del campus universitario attraversata da studenti e curiosi – già la dicono lunga sul senso dei due appuntamenti. Tralasciando gli immaginari geografici, resta da capire quali sono stati gli argomenti di discussione nelle due sedi parallele. Se di COP 25 se n’è parlato in tutte le salse, della Cumbre Social poco è stato già detto.
Quali temi sono stati affrontati nel controvertice? È stata davvero una contronarrazione efficace rispetto a quella riportata all’interno della COP? Si è riuscito a ricostruire la complessità delle dinamiche climatiche sui territori e a svelare gli inghippi delle politiche promulgate dai Paesi di tutto il mondo? Per rispondere alla domanda non si può non partire da un caso pratico che ci riguarda da vicino: l’Italia, le sue politiche energetiche e l’impegno nelle fonti fossili. Mentre nel padiglione italiano il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa rivendicava il decreto clima, approvato alla Camera proprio durante la sua permanenza in Spagna e da lui descritto come un “cambio di paradigma culturale” con misure concrete per far fronte alla crisi climatica, sebbene si tratti solo della messa insieme di una serie di finanziamenti per delle buone pratiche (ne parliamo qui), alla Cumbre realtà sociali come Giudizio Universale e di A Sud mettevano sul tavolo tutte altre carte.
Come si può infatti guardare con ammirazione il comportamento climatico del nostro Paese, se nel corso di questi anni non è riuscito neanche a ridurre drasticamente le emissioni climalteranti e, anzi, come ha specificato l’ISPRA per mezzo del comunicato stampa del 20 novembre, è riuscito a far in modo che “nel terzo trimestre del 2019 la stima tendenziale delle emissioni dei gas serra prevede un incremento rispetto all’anno precedente, pari allo 0,6% a fronte di una crescita del PIL pari a 0,3% rispetto all’anno precedente”? Proprio per questa ragione, per l’inefficacia delle politiche climatiche, un gruppo di associazioni, cittadini e bambini hanno deciso di fare causa allo Stato italiano sulla falsariga di altre cause a livello internazionale svolte sullo stessa tema.
E proprio la Cumbre Social, giovedì 12, ha accolto le voci di quelle realtà che stanno facendo ricorso a strumenti legali per ottenere giustizia climatica dagli Stati o dalle imprese. Al panel, oltre ai rappresentanti della causa italiana, hanno partecipato tra gli altri anche la ricorrente Saami e la coordinatrice di CAN Europe del People’s Climate Case (la causa portata avanti da diverse famiglie, provenienti da Paesi europei ed extraeuropei, per mettere in discussione gli obiettivi di riduzione delle emissioni), una attivista di Greenpeace Germania che con tre famiglie di agricoltori ha denunciato il governo di Angela Merkel per non aver raggiunto l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2020, e la referente dell’ONG olandese Milieudefensie (Friends of the Earth Olanda), che insieme ad altre 7 organizzazioni ambientali e più di 17.000 co-querelanti ha portato in tribunale la multinazionale di combustibili fossili Shell per le sue responsabilità nel causare la crisi climatica.
La Shell, tra l’altro, insieme ad altre 46 imprese tra cui ENI, ha avuto un momento di notorietà anche all’interno della COP visto che secondo quanto specificato dalla Commissione sui diritti umani delle Filippine (CHR), le 47 imprese potrebbero essere considerate legalmente responsabili delle violazioni di diritti umani nei confronti degli abitanti delle filippine colpiti dai cambiamenti climatici a causa delle loro attività estrattive (qui il comunicato della conferenza stampa alla COP, alla quale abbiamo partecipato anche noi).
Proprio per far luce sulle attività di ENI, all’interno della Cumbre Social, rappresentanti di A Sud e attivisti territoriali direttamente impattati dalle attività di impresa hanno tenuto un workshop per raccontare agli attivisti internazionali perché, a loro avviso, le politiche industriali dell’impresa cozzino con gli obiettivi di riduzioni delle emissioni di gas serra. Se infatti, come specifica Eni, dei 33 miliardi da investire fino al 2022 solo 3 miliardi, ovvero meno del 10%, verranno investiti per progetti di efficienza energetica, abbattimento del flaring, economia circolare e fonti rinnovabili, come ci si può davvero parlare di riconversione efficace? Al fine di condividere strumenti di lotta, gli attivisti di A Sud hanno raccontato anche il meccanismo dell’azionariato critico che hanno messo in campo le realtà ambientali in italia ormai da diverso tempo. Uno strumento che hanno ritenuto utile e che hanno condiviso anche i rappresentanti dell’Observatori del deute en la globalitzaciò (ODG), un’associazione di Barcellona che invece ha deciso di raccontare all’interno della cumbre un altro tipo di strumento di lotta: la querella ciudadana (la denuncia cittadina) per il caso del progetto Castor di Florentino Pérez, conosciuto ai più come presidente del Real Madrid.
Il progetto prevedeva la realizzazione di un deposito offshore di gas di fronte le coste di Terragona e Castellon. Tale deposito avrebbe beneficiato dell’esistenza di un antico giacimento petrolifero per immagazzinare il gas. Inaugurato nel 2012 dall’impresa Escal UGS, il progetto è stato fermato nel 2014 perchè l’attività provocava diversi terremoti di entità anche superiore ai 4 gradi della scala Richter. Tuttavia, poiché nel contratto di concessione si prevedeva il recupero dell’investimento anche nel caso di interruzione del progetto, il governo spagnolo ha deciso di indennizzare l’impresa con 1.350 milioni di euro (soldi pubblici che servivano quindi a risarcire l’impresa e ripagare gli investitori). E a chi toccava saldare il capitale economico? Al gestore pubblico del gas che avrebbe addebitato i soldi ai cittadini per mezzo di una tassa aggiuntiva all’interno delle bollette del gas. È proprio per questa ragione che i cittadini hanno lanciato la campagna chiamata #casocastor.
Nell’ottobre 2018 è stata presentata una denuncia contro i responsabili politici che hanno avuto un ruolo di responsabilità nel progetto, in particolare per possibili crimini legati alla frode per la pubblica amministrazione e malagestione dei fondi pubblici. I cittadini infatti chiedevano l’abolizione del pagamento del risarcimento, così come lo smantellamento della piattaforma a carico delle società responsabili, l’ammissione dell’illegittimità del pagamento – visto che avrebbe aggravato la povertà energetica che colpisce circa l’11% della popolazione spagnola. Infine, denunciavano la collusione dei governi che si erano succeduti per le scelte intraprese. Dopo diversi appelli e ricorsi, in questo momento, le associazioni e la cittadinanza sta preparando il percorso che li condurrà davanti ai giudici europei. Un altro metodo insomma di utilizzare uno strumento legale per fermare le ingiustizie sociali connesse a problematiche ambientali ed energetiche.
Ma non solo il racconto di strumenti giuridici ha animato la cumbre. Tanti sono stati gli incontri il cui focus erano le fonti fossili. Sempre l’Observatori del deute en la globalitzaciò (ODG) per esempio ha contribuito con un altro workshop chiamato “Di chi sono i gasdotti?” in cui ci si è interrogati sull’importanza strategica data in questo momento storico dai governi al gas in quanto punto di passaggio necessario per avviare una transizione energetica sostenibile. La critica svolta dall’associazione spagnola si è articolata nella descrizione dei progetti connessi con il tema gas che coinvolgono diversi paesi e che producono simili conflittualità ambientali sui territori. Un interessante approfondimento su questo lo si trova sul sito del Corporate Europe Observatory che ha collaborato insieme al’ODG alla realizzazione del pamphlet presentato. Oltre alla tematica fonti fossili, un tema molto seguito è stato quello delle migrazioni ambientali. Affollatissima è stata la sala principale della Cumbre domenica 8 quando è stata realizzata una seduta del Tribunale Internazionale degli Sfratti con un focus sugli sfollamenti e migrazioni legati agli impatti dei cambiamenti climatici. Hanno partecipato comitati e cittadini di tutto il mondo: dai cittadini del Bangladesh al caso degli abitanti di Venezia particolarmente vulnerabili a causa degli allagamenti, passando per gli abitanti del villaggio di Keyenberg in Germania, i cui abitanti sono a rischio di sgombero per far posto a una miniera di lignite. Il tribunale, fondato nel 2011 dalla Alleanza Internazionale degli Abitanti con la collaborazione di organizzazioni della società civile, è un tribunale popolare e di opinione, il cui obiettivo è mettere sul banco degli imputati i responsabili degli sfratti forzati in tutto il mondo.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici però non si limitano alle migrazioni. E alla cumbre lo sanno bene tanto che anche il tema della salute e delle conseguenze sanitarie è stato oggetto di discussione. Uno dei panel per esempio è stato svolto direttamente dai malati ambientali. L’incontro, organizzato dalla Funcacion ONCE ha fatto riflettere sui disturbi connessi alla sensibilità elettrica degli abitanti spagnoli che risultano ancora più accentuati per l’arrivo del 5G.
Non sono mancati poi i punti di vista dei territori più vulnerabili che hanno mostrato con dati e fonti come paesi meno responsabili del riscaldamento globale attualmente stanno vivendo le conseguenze peggiori. Un concetto, quello dell’ingiustizia climatica, che è ben chiara a tutti i partecipanti della cumbre. E proprio per affermare l’importanza di estendere questa consapevolezza tante sono state le associazioni che hanno focalizzato il loro intervento sul ruolo dell’educazione ambientale. Nel foro de educación para la emergencia climática y planetaria organizzato di Ecologistas en Accion per esempio si è discusso sulle metodologie da utilizzare per affrontare i temi ambientali e climatici all’interno delle scuole (per chi è interessato qui ci sono tutti i kit didattici presentati dall’associazione durante la cumbre). Un incontro a cui hanno partecipato anche i Friday for Future di Madrid per dire la loro sull’importanza di creare coscienza ambientale anche all’interno degli istituti scolastici. Stesso tema è stato affrontato nel pomeriggio anche dalla Asociación española de educación ambiental.
“Sono una docente di ingegneria e durante una lezione parlando di compostaggio, un alunno mi ha chiesto: cosa si intende per compostaggio? Come è possibile dunque che tale coscienza non solo non c’è all’interno delle scuole primarie ma neanche nelle aule delle università specializzate?” Così ha esordito una docente di ingegneria forestale. L’interrogativo è stato lo spunto per iniziare una discussione sul ruolo dell’educazione ambientale per tutte le fasce d’età. Non è possibile infatti che le persone che hanno una certa sensibilità sono prevalentemente coloro che hanno avuto professori illuminati o genitori particolarmente attenti alle questioni ambientali. Fortunatamente però esistono anche tante associazioni che proprio per sopperire a questa mancanza hanno deciso di inventarsi dei giochi per raccontare ai ragazzi cosa sono i cambiamenti climatici (qui e qui ci sono degli esempi di quelli presentati alla cumbre). Una attività ludica con cui poter integrare le metodologie di insegnamento.
Ad affacciarsi alle porte della Cumbre anche Greta, che nel pomeriggio di domenica ha deciso di andare ad ascoltare l’altro lato della COP. Chissà se un giorno queste voci verranno ascoltate anche dai capi di governo. Perché è proprio un peccato che una tale ricchezza di informazioni e di conoscenza territoriale venga estromessa dalla conferenza ufficiale: quella in cui vengono prese delle decisioni che subiranno tutti, ma soprattutto le comunità e i gruppi più vulnerabili, che hanno partecipato con entusiasmo e propositività alla Cumbre Social, mentre sono stati buttati fuori dalla sicurezza della COP ufficiale.