I grandi emettitori in Tribunale

Mentre proseguono i negoziati della COP 25, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, in un gioco al ribasso tra i Paesi che utilizzano i diritti umani come terreno di scambio e continuano a rifiutarsi di assumersi le proprie responsabilità nell’aver causato la crisi climatica, la società civile non resta a guardare.

In tutto il mondo, cittadini e organizzazioni stanno ricorrendo anche alle vie legali per far sentire la propria voce e per chiedere giustizia climatica. Dal Portogallo all’Australia, dal Perù all’Uganda, tribunali e legislazioni totalmente diverse si trovano a dover rispondere a una stessa, basilare richiesta: che vengano tutelati i diritti umani di chi subisce gli impatti dei cambiamenti climatici, che governi e imprese siano ritenuti responsabili dei cambiamenti climatici che hanno contribuito a causare, e che vengano adottate politiche e misure realmente ambiziose per far fronte alla crisi in cui ci troviamo, con il taglio delle emissioni e l’abbandono dei combustibili fossili.

Ieri, in una conferenza stampa presso la sede ufficiale della COP 25 a Madrid, rappresentanti di sei diversi contenziosi climatici in vari Paesi del mondo hanno presentato le proprie iniziative. Nel pomeriggio, si sono invece confrontati con gli attivisti della Cumbre Social, il contro-vertice organizzato dalla società civile e dalle associazioni ambientaliste che ha luogo negli stessi giorni delle negoziazioni ufficiali delle Nazioni Unite, per parlare dello strumento legale come possibile mezzo ulteriore di mobilitazione per ottenere giustizia climatica.

Anche noi abbiamo partecipato per parlare della campagna Giudizio Universale, che in Italia anticipa la prima causa contro lo Stato sui cambiamenti climatici.

 

Di seguito il comunicato congiunto diffuso alla fine della conferenza stampa di ieri.

Comunicato stampa

Contenziosi climatici: sempre più cittadini portano i grandi emettitori in tribunale con accuse relative ai diritti umani

Madrid, 12.12.2019

Nel 2019, il numero di contenziosi riguardanti i cambiamenti climatici è aumentato esponenzialmente in tutte le giurisdizioni mondiali. Un numero crescente di cittadini e di ONG ha deciso di ricorrere alle vie legali per ottenere il riconoscimento delle responsabilità di governi e società di combustibili fossili per non aver affrontato la crisi climatica. Inoltre, varie sentenze hanno stabilito che i governi e i grandi emettitori, quando non prendono misure adeguate per far fronte alla crisi climatica, si rendono colpevoli di violazioni dei diritti umani fondamentali.

La conferenza stampa organizzata da CAN Europe alla COP 25 di Madrid ha riunito i rappresentanti di sei iniziative legali che hanno lo stesso obiettivo: far riconoscere le responsabilità dei grandi emettitori.

Nelle Filippine, Greenpeace insieme ai parenti delle vittime di disastri legati ai cambiamenti climatici che hanno colpito duramente il Paese e a organizzazioni delle società civile, ha lanciato una petizione alla Commissione dei Diritti Umani contro 47 grandi compagnie di combustibili fossili e cemento, per il loro ruolo nell’aver causato i cambiamenti climatici e messo a repentaglio i diritti umani della popolazione filippina. Proprio all’inizio della COP 25, la Commissione si è pronunciata a favore dei ricorrenti. Durante la conferenza stampa, Yeb Saño, direttore esecutivo della divisione di Greenpeace nel sud-est asiatico, ha condiviso la decisione della Commissione, per la quale le 47 società indagate sono legalmente e moralmente responsabili per le violazioni dei diritti umani dei filippini derivanti dal cambiamento climatico. Saño ha dichiarato: “Per la prima volta in assoluto, grandi società inquinanti sono state ritenute responsabili delle violazioni dei diritti umani causati dalla crisi climatica. Un numero crescente di casi climatici sono attualmente ascoltati o archiviati in tutto il mondo. Con la conclusione dell’indagine da parte della Commissione per i Diritti Umani delle Filippine, crediamo che molte altre comunità prenderanno una posizione contro le aziende di combustibili fossili che stanno mettendo il profitto prima delle persone”.

Nell’ottobre del 2019, il Tribunale Amministrativo di Berlino ha invece emesso la propria decisione sulla prima causa in assoluto contro lo Stato tedesco. Tre famiglie di agricoltori e Greenpeace Germania avevano presentato una denuncia contro il governo di Angela Merkel per non aver raggiunto l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2020. Anche se il caso è stato respinto, la Corte ha riconosciuto l’esistenza del diritto a un clima sicuro. Lisa Göldner di Greenpeace Germania ha dichiarato: “Per la prima volta nella storia, un tribunale tedesco ha stabilito che i diritti fondamentali delle persone possono essere violati dagli impatti del riscaldamento globale. Il messaggio è chiaro: proteggere il clima significa proteggere i diritti umani. Le politiche climatiche tedesche devono aderire a questo principio.”

Sadhbh O’Neill di Friends of the Irish Environment, un’organizzazione ambientale che sta mettendo in discussione la legittimità del Piano Nazionale di Mitigazione del governo irlandese presso la Corte Suprema, ha detto: “Le emissioni dell’Irlanda sono ancora ben al di sopra dei livelli del 1990 e lontane dagli obiettivi di Parigi. In assenza di una leadership politica, la società civile si è rivolta al tribunale per chiedere che la scienza, i diritti umani e la giustizia climatica siano posti al centro della risposta dell’Irlanda al clima. Il nostro caso, che si inserisce all’interno del crescente movimento per la giustizia climatica, ha spinto il governo a rivedere il proprio piano e ad annunciare nuove misure di riduzione delle emissioni rapide e profonde. Speriamo che il nostro appello sia ascoltato nel 2020. Nel frattempo, è chiaro che il contenzioso e l’attivismo hanno già cambiato la percezione dei nostri decisori sui rischi climatici e l’urgenza di far fronte alla crisi.”

In Italia, una coalizione di oltre 100 organizzazioni e altre realtà della società civile promuove la campagna Giudizio Universale, che anticipa la prima causa contro lo Stato per l’inadeguatezza delle politiche climatiche. Oltre 10.000 cittadini hanno già firmato la petizione per sostenere il caso. Cecilia Erba di A Sud, portavoce della campagna e parte del team scientifico che sta contribuendo alla costruzione della strategia legale, ha detto: “Lo Stato italiano non è riuscito ad adottare politiche climatiche ambiziose e obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con le più avanzate evidenze scientifiche, e quindi a proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini. L’Italia si sta già riscaldando due volte più velocemente del resto del mondo. Per questo motivo, un gruppo di cittadini e associazioni ha deciso di portare lo Stato in Tribunale”. I ricorrenti della causa legale saranno persone, organizzazioni e bambini rappresentati dai loro genitori.

A maggio 2019, l’ONG olandese Milieudefensie (Friends of the Earth Olanda), insieme ad altre 7 organizzazioni ambientali e più di 17.000 co-querelanti, ha portato in tribunale la multinazionale di combustibili fossili Shell, per le sue responsabilità nel causare la crisi climatica. Nine de Pater, di Milieu Defensie, ha dichiarato: “Shell tra i maggiori emettitori di CO2 al mondo. Nonostante fosse a conoscenza dei cambiamenti climatici e del proprio contributo nel causare la crisi, Shell non ha cambiato le proprie politiche. Una relazione pubblicata la scorsa settimana dimostra che la Shell sta progettando di investire altri miliardi in nuovi progetti di petrolio e gas. Le emissioni di questi progetti ci porteranno ben oltre le soglie di riscaldamento globale di +1.5°C e 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Ecco perché abbiamo deciso di andare in tribunale. Chiediamo che Shell riduca le emissioni provenienti dalla propria produzione e dai propri prodotti di almeno il 45% nel 2030, e che raggiunga la neutralità nel 2050.”

Infine, nell’ambito del People’s Climate Case, il contenzioso legale che vuole mettere in discussione l’obiettivo dell’UE per il 2030, 10 famiglie e giovani Sami hanno recentemente presentato ricorso alla Corte di Giustizia Europea dopo che il caso era stato archiviato per motivi procedurali. Il Tribunale aveva deciso di respingere il caso perché i querelanti non sono gli unici a subire gli impatti dei cambiamenti climatici, decisione che secondo i ricorrenti va contro la logica stessa dei diritti fondamentali. Wendel Trio, direttore di CAN Europe, ha dichiarato: “Oggi l’Unione Europea sta facendo il doppio gioco. Da un lato, dichiara l’emergenza climatica e, dall’altro, si rifiuta di ascoltare le vittime della crisi climatica che cercano giustizia nei tribunali. Se l’UE intende affrontare seriamente la crisi climatica, deve aumentare in maniera sostanziale il proprio obiettivo per il 2030 entro l’inizio del 2020, e non c’è bisogno di un’ingiunzione da parte del tribunale per farlo.”

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