Il 25 settembre, a Roma, Napoli, Genova, Colleferro, Lanciano, Palermo e Venezia attivisti in piazza con ombrelloni, maschera e boccaglio nel giorno in cui l’IPCC lancia il nuovo report sugli oceani: “Portiamo l’Italia in tribunale per non finire sott’acqua”.

Decine di attivisti della campagna “Giudizio Universale” hanno posato in costume da bagno nei luoghi simbolo di 7 città italiane. Il flashmob, organizzato nell’ambito della settimana di mobilitazioni del movimento Fridays For Future e nel giorno di lancio del nuovo rapporto dell’IPCC sull’innalzamento dei mari, vuole creare attenzione intorno ai disastri cui l’Italia e il mondo vanno incontro se la politica non cambia la direzione dello sviluppo.

Fra sedie sdraio, ombrelloni, maschere e boccagli, gli attivisti di Giudizio Universale a Roma, Napoli, Genova, Palermo e Venezia hanno lanciato un messaggio allo Stato italiano, che nei prossimi mesi sarà bersaglio di una causa legale per il suo immobilismo davanti al cambiamento climatico: senza un’azione radicale per evitare l’aumento delle temperature oltre gli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, intere città saranno sommerse dall’aumento del livello dei mari o sferzate da eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e intensi.

Le conclusioni del rapporto IPCC diffuso oggi non lasciano spazio agli equivoci: anche con un aumento di soli 2 °C delle temperature medie planetarie, si rischia la scomparsa di una parte consistente della fauna marina, la migrazione di oltre 280 milioni di persone per l’innalzamento del livello dei mari e la fusione di un terzo del permafrost nell’emisfero nord. Centinaia di città costiere in tutto il mondo finiranno sommerse entro fine secolo, mentre entro il 2100 i danni da alluvione aumenteranno di 2-3 ordini di grandezza, ovvero fra le 100 e le 1.000 volte.

Gli oceani e la criosfera forniscono ossigeno e acqua dolce, regolano i modelli meteorologici e aiutano a mitigare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici. Gli oceani sono infatti sia uno straordinario serbatoio di carbonio – perché assorbono un quarto della CO2 emessa dall’uomo – che un fondamentale regolatore della temperatura: dal 1970 ad oggi hanno sottratto all’atmosfera oltre il 90% del calore aggiuntivo generato dalle emissioni di gas serra. Senza queste “spugne marine”, il riscaldamento globale avrebbe già reso la superficie della Terra intollerabilmente calda per la nostra specie.

“Abbiamo una scelta chiara davanti a noi – commentano gli attivisti di Giudizio Universale – Restare a guardare mentre le nostre comunità rischiano di finire sott’acqua o agire subito per migliorare la salute degli oceani, proteggere le persone e l’ambiente. I rischi che affrontiamo sono reali e avranno conseguenze disastrose per milioni di persone e per gli ecosistemi più vulnerabili del pianeta. L’Italia finora non ha fatto abbastanza, per questo faremo causa allo Stato con l’intento di costringerlo a rispettare il diritto umano al clima”.

La Campagna Giudizio Universale

Giudizio Universale è il titolo della campagna che porterà al deposito della prima causa legale contro lo Stato italiano per le sue inadempienze in tema di politiche climatiche. Attraverso un processo civile, i promotori – 50 associazioni, comitati e organizzazioni – vogliono ottenere una condanna dell’Italia per la violazione del diritto umano al clima. Il nostro Paese ha obiettivi di riduzione delle emissioni scarsamente ambiziosi e non in linea con le raccomandazioni espresse dalla comunità scientifica per centrare l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro la soglia prudenziale dei +1,5 °C. Serve un deciso cambio di passo per invertire la rotta nei prossimi 11 anni, o gli scompensi climatici porteranno enormi aree del pianeta a subire l’impatto sempre più grave e frequente di fenomeni estremi. Di qui nasce il boom di contenziosi – ad oggi più di 1000 in tutto il mondo – che vedono la società civile in oltre 25 nazioni portare alla sbarra lo Stato, le imprese o singoli progetti dal forte impatto sul clima. In Olanda, nel 2015, un migliaio di persone hanno fatto causa allo Stato per le scarse politiche climatiche, vincendo il ricorso in primo e in secondo grado con sentenze di condanna che impongono al governo di rivedere i suoi piani. È giunto il momento di fare lo stesso in Italia.


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