L’esplosione di un disastro annunciato

La notte tra il 10 e l’11 dicembre 2018 un grande incendio ha distrutto l’impianto di trattamento meccanico biologico dei rifiuti (TMB) Salario, nel nord della capitale.

Una nube si è sollevata dall’impianto, sorvolando su interi quartieri e arrivando fino al centro della città, allarmando molti cittadini. Le ragioni dell’incendio sono ancora sconosciute e la procura indaga ora per disastro colposo. Nel frattempo, l’impianto è stato posto sotto sequestro. L’impianto, in realtà, era già stato posto sotto indagine prima dell’incendio: vi era già un fascicolo aperto in cui si indagava per reato di inquinamento ambientale e attività di rifiuti non autorizzata.

I cittadini del quartiere infatti da anni lottano affinché la questione e i problemi legati all’impianto siano posti sotto gli occhi (e i nasi) di tutti e soprattutto di chi dovrebbe intervenire a porre rimedio a quella che denunciano come una situazione non sostenibile. Sono anni infatti che i cittadini vivono con le finestre chiuse e – troppo spesso – non possono passeggiare tranquillamente nel loro quartiere a causa della forte puzza proveniente dall’impianto. È dal 2011 che i cittadini si mobilitano quotidianamente contro l’impianto e la sua gestione attuale, uniti intorno all’Osservatorio Permanente sul TMB Salario. Sul sito del comitato si legge che “Le zone vicine all’impianto, tutto il terzo municipio e parte del secondo e del quindicesimo, sono quotidianamente e per diverse ore del giorno, colpite da cattivi odori aggressivi, nauseabondi e tossici, che variano d’intensità a seconda delle stagioni, delle condizioni metereologiche, ma restano insopportabili. I miasmi causano sofferenze fisiche agli abitanti (bruciore agli occhi, alle narici e alla gola, tosse, mal di testa, nausea, vomito e dermatiti) e preoccupazioni per le conseguenze sulla salute. Si riscontrano nell’area tumori alla gola e alle vie respiratorie, anemie, malattie della pelle, asma”.

Si sta così venendo a creare l’ennesima emergenza rifiuti a Roma: essendo l’impianto TMB Salario inutilizzabile, l’Ama si ritrova con 500 tonnellate al giorno da smaltire da qualche altra parte per evitare che la città venga sommersa dai rifiuti. Queste 500 tonnellate non sono sole: si aggiungono alle 700 tonnellate che Roma non è in grado di smaltire e che vengono già inviate fuori dalla capitale ogni giorno. L’impianto in realtà non era la destinazione finale dei rifiuti, ma doveva essere un punto di passaggio, parte di una catena più ampia: i rifiuti dovevano essere in esso lavorati al fine di cambiare loro il codice, da rifiuto indifferenziato a rifiuto da incenerimento, per poi essere trasportati e smaltiti in altri impianti. Infatti, secondo un rapporto dell’Arpa, l’impianto TMB Salario sposta i rifiuti, non li tratta. Ma l’impianto non funzionava correttamente, etichettando i rifiuti in modo scorretto e, inoltre, producendo più scarti che rifiuti lavorati, sempre secondo il rapporto dell’Arpa, non riuscendo a riciclare nemmeno i metalli.

La capitale ogni giorno produce circa 5mila tonnellate di rifiuti, di cui il 42% è costituito da rifiuti differenziati, mentre il 58% da rifiuti indifferenziati.

Le 3mila tonnellate di rifiuti indifferenziati prodotti ogni giorno devono essere trattati prima di essere portati in discarica, secondo le normative in vigore dal 2013. Roma dispone per tale operazione di quattro impianti di trattamento meccanico-biologico, di cui due privati (a Malagrotta, di proprietà della Colari) e due pubblici, gestiti dall’Ama, uno a Rocca Cencia e uno al Salario, ora non più utilizzabile. Quest’ultimo (che era attivo dal 2011) riceveva circa un terzo dei rifiuti indifferenziati della città, ovvero mille tonnellate ogni giorno.

L’incendio (che ha distrutto l’impianto, che deve ora essere demolito) ha provocato una vera catastrofe: sono state bruciate 3 tonnellate di rifiuti in poche ore (nell’impianto stazionano infatti fino a 4mila tonnellate di rifiuti), sprigionando una quantità di diossina pari a quella prodotta da 100 inceneritori in un anno. Già prima dell’incendio l’impianto intossicava migliaia di persone ogni giorno: almeno 80mila cittadini, secondo le denunce pubblicate dall’Espresso all’inizio di dicembre, che presenta l’impianto come “un concentrato di illegalità e violazioni delle norme che pretendeva l’immediato interessamento dell’autorità, per evitare disastri sanitari”. Nonostante ciò, e nonostante le numerose denunce e battaglie portate avanti dai cittadini per sette anni, le autorità hanno tardato a prendere decisioni concrete e radicali per risolvere la situazione.

L’area stessa dove sorgeva l’impianto non era adatta alla sua costruzione: il Tmb si trova a meno di cento metri dalle case e da un asilo nido. Negli anni, inoltre, l’impianto ha aumentato la quantità di rifiuti che riceveva, arrivando a quasi mille tonnellate al giorno, che si accumulavano in una situazione che ricordava più una discarica che un impianto di trattamento. Nella relazione dell’Arpa, pubblicata giusto due settimane prima dell’incendio, si legge infatti come l’impianto, invece di trattare i rifiuti, si limita a spostarli e accumularli, non avendo inoltre i requisiti per essere autorizzato all’attività, agendo in maniere completamente fuori norma e illecita, e senza riuscire a riciclare alcunché.

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