Il nostro orizzonte sarà davvero sciare su un inceneritore?
Quando nelle città italiane esplode una crisi dei rifiuti, quando si protesta contro la costruzione di un nuovo inceneritore, quando ci sono episodi di roghi tossici in capannoni dismessi Copenhill torna nel dibattito politico e pubblico.
Sky Tg 24, 4 ottobre: “Grazie ad un modernissimo filtraggio mai utilizzato prima in Danimarca, il termovalorizzatore con due linee di combustione brucia in totale 70 tonnellate di rifiuti all’ora: in un anno, può trattare circa 400mila tonnellate di spazzatura, riducendo le emissioni del 99,5%. Persino un inceneritore, struttura spesso demonizzata, può diventare al tempo stesso un’attrazione per i cittadini e un modo per ripulire l’ambiente”.
La Repubblica, 8 ottobre 2019: “Copenhagen, altro che termovalorizzatore: quello nuovo è una collina, con pista da sci. E non inquina”.
Corriere, Dataroom 6 ottobre: “In Italia ne sono attivi complessivamente 40, contro i 96 della Germania e i 126 della Francia. Nel nostro Paese i timori legati alle emissioni ne ritardano la diffusione. Ma anche le paure andrebbero aggiornate ai nuovi traguardi della tecnologia. Sul tetto del nuovissimo inceneritore di Copenaghen, si potrà sciare: è alto 85 metri, con emissioni molto al di sotto dei limiti di legge”.
Su molti giornali italiani, nei giorni che hanno preceduto questa giornata mondiale contro l’incenerimento dei rifiuti, è tornato Copenhill, l’inceneritore Amager Bakke di Copenaghen, costato 520 milioni di euro, dove dalla settimana scorsa è possibile sciare, bere un caffè e tra qualche mese si potrà anche fare crossfit e arrampicare. Per dare centralità all’inceneritore, per connetterlo al tempo libero della città, lo studio di design Landscape Architects SLA ha pensato proprio a tutto: “l’obiettivo – si legge sul sito dello studio danese – è quello di far diventare Amager Bakke uno spazio pubblico ricreativo, ricco di eventi, caratterizzato da una estetica forte e sensuale che darà un nuovo ecosistema urbano all’interno di Copenaghen”. Quando nelle città italiane esplode una crisi dei rifiuti, quando si protesta contro la costruzione di un nuovo inceneritore, quando ci sono episodi di roghi tossici in capannoni dismessi Copenhill torna nel dibattito politico e pubblico. Il suo skyline, la sua estetica forte e sensuale riesce a sedurre tanti giornali e molti politici, arrivando a neutralizzare e sminuire qualsiasi discorso sugli impatti ambientali, sulle lotte delle comunità e sulla combustione dei rifiuti. Una fascinazione che in alcuni casi porta addirittura ad affermare che “le tecnologie d’avanguardia consentono all’inceneritore di funzionare a impatto zero: dai camini uscirà infatti solo vapore acqueo”, come spiegava Claudio del Frate in un articolo del 19 novembre 2018 per il Corriere della Sera. Nessuna diossina quindi, niente ossidi di azoto, solo charme e vapore acqueo. In Italia per non far perdere legittimità all’incenerimento dei rifiuti si è dunque pronti a diffondere falsità, a minimizzare i danni della combustione e a non considerare le criticità di questo modello.
La Danimarca ha fame di rifiuti
A Sud conosce bene questa ciclica esaltazione per l’esempio nord europeo, tanto che due anni fa, dopo un dibattito a Otto mezzo in cui l’architetta Doriana Mandrelli Fuksas asseriva che gli inceneritori nel resto d’Europa “non sono fastidiosi, sono architetture che sono anche belle”, ha elaborato un’analisi sul modello danese, attraverso un approfondimento redatto con Zero Waste Europe, Energia per l’Italia e l’associazione UGI. Si tratta sostanzialmente di una lettura critica che mette in discussione il sistema dell’incenerimento dei rifiuti, quel sistema definito proprio dall’ex ministra all’ambiente danese Ida Auken come una strada sbagliata. Esattamente due anni fa il quotidiano danese The Murmur, considerando la voce e la visione di Ida Auken, metteva in risalto una questione fondamentale: “Il principale problema dell’impianto è che semplicemente non ci sono abbastanza rifiuti da bruciare. L’inceneritore ha una capacità complessiva di 500 mila tonnellate di rifiuti annue, ma i cinque comuni proprietari dell’impianto non producono abbastanza immondizia per riempire i forni”. Il nodo principale sta in questo punto: Copenhill ha fame di rifiuti e in generale tutto gli inceneritori danesi sono caratterizzati da un sovradimensionamento che costringe a importare immondizia da bruciare. Un dato rilevante è contenuto in uno degli ultimi rapporti del Ministero dell’ambiente danese: dal 2013 al 2016 l’importazione di combustibili da rifiuto è aumentata del 118 %. ()
Ce lo chiede l’Europa
Questa strategia allontana quindi dalla riduzione, dal riciclo e dal recupero di materia. E ancor prima dell’entrata in vigore del pacchetto sull’economia circolare (avvenuta il 4 luglio del 2018), la commissione europea con la relazione del 26 gennaio 2017 indirizzata al Parlamento e al Consiglio, invitava gli Stati membri a non investire sull’incenerimento dei rifiuti e sul recupero di energia: il finanziamento pubblico – si legge nel documento – non dovrebbe favorire la creazione di sovraccapacità, come gli inceneritori, per il trattamento di rifiuti non riciclabili. In proposito va ricordato che la quantità dei rifiuti non differenziati15 utilizzati come materia prima nei processi di termovalorizzazione dovrebbe diminuire a seguito degli obblighi di raccolta differenziata e dei più ambiziosi obiettivi di riciclaggio dell’UE. Per questi motivi si invitano gli Stati membri a ridurre gradualmente il sostegno pubblico per il recupero di energia da rifiuti non differenziati. Nelle aree dell’Unione dove si registra una sovraccapacità di incenerimento la Commissione parla esplicitamente di abolire gradualmente i regimi di sostegno per l’incenerimento dei rifiuti, reindirizzare gli aiuti verso processi che occupano posti più alti nella gerarchia dei rifiuti, introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi.
Gli inceneritori non sono la soluzione ai roghi tossici
Il ruolo degli inceneritori è quindi cambiato. Non più soluzione al problema dei rifiuti, ma ultima possibilità in un sistema che dovrebbe ripensare la produzione, evitando di generare scarti non riciclabili. Eppure in Italia l’eterno ritorno degli inceneritori, come ha fatto notare Napoli Monitor, riesce a accentrare le discussioni portando anche personalità come Milena Gabanelli a concludere un’inchiesta di Dataroom sui roghi tossici di rifiuti stipati nei capannoni dismessi con un invito a seguire il modello Bolzano, ossia a bruciare i rifiuti in un inceneritore.
L’inchiesta comincia con una serie di infografiche che analizzano dettagliatamente questo fenomeno, il suo giro d’affari, i suoi impatti. Parliamo di 690 roghi negli ultimi tre anni e i capannoni industriali dismessi sono le praterie su cui scorrazzano i trafficanti, spiega la Gabanelli. In questi siti abbandonati viene stipato per lo più materiale plastico non riciclabile. Il solito sovvallo. Un tipo di rifiuti non riutilizzabile, e che – continua l’inchiesta – secondo le aziende di rigenerazione costituisce il 30% del totale. L’unica possibile destinazione finale per questa tipologia di scorie è l’inceneritore, o il termovalorizzatore, che bruciando i rifiuti produce anche energia. Inizia poi un paragrafo sulla “paura degli inceneritori”, ricordando che in Italia ce ne sono 40, in Germania 96 e in Francia 126. “Nell’attesa che il mondo diventi più responsabile, è meglio che ogni territorio adotti il modello Bolzano, oppure dobbiamo tenerci il nostro rogo giornaliero?”, conclude Milena Gabanelli, dopo aver analizzato l’impianto del Nord Italia. Visualizzare una serie di grafici su un fenomeno tossico e illegale, per poi dare come soluzione al problema un modello sorpassato in Europa e, soprattutto, una tipologia di impianto che in Italia è da sempre sotto la lente della magistratura per altri illeciti ambientali e al centro della letteratura scientifica per danni alla salute può essere al quanto fuorviante. Dedicare un paragrafo alla “paura degli inceneritori”, senza dire nel nostro paese 20 di questi impianti hanno violato normative o hanno un processo in corso è una conclusione riduzionista. Senza contare che l’impianto di Bolzano vanta un processo per emissione di sostanze nocive oltre i limiti di legge dopo l’incendio avvenuto a novembre 2013. Se è vero che quel sovvallo non è riciclabile, è anche attuale e prioritario ridurlo a monte, seguendo appunto le direttive dell’economia circolare. Un inceneritore non è una soluzione per i roghi, spiega il Professor Alberto Bellini, docente di Ingegneria dell’Energia Università di Bologna – in particolare, nel breve termine. Per costruire nuovi impianti serve molto tempo e, soprattutto, perché un impianto ipoteca il futuro per 20-25 anni. Immaginiamo – continua Bellini – che nei prossimi anni la plastica si riduca, impianti costruiti a questo scopo sarebbero inutili e costringerebbero a bruciare materiali, anche se non sono rifiuti.
Il modello Bolzano, il modello Copenaghen restano quindi una strada sbagliata che brucia possibilità e diritto alla salute. Oltre a non essere una soluzione, l’incenerimento dei rifiuti resta legato a una geografia di territori in lotta, spesso la stessa che fa i conti con i roghi tossici e con le terre inquinate.
Una geografia fatta anche di uomini e donne che possono testimoniare, con dati scientifici alla mano, e con le proprio biografie, gli impatti ambientali di questi impianti. Storie di vita che di certo non vogliono avere come orizzonte quello di sciare sul tetto di un inceneritore.