Giustizia per il clima, giustizia per i cittadini
Vita, salute, lavoro, proprietà: quattro diritti fondamentali messi a rischio dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Questa è la base del People’s Climate Case, l’azione legale di un gruppo famiglie provenienti da Paesi diversi contro l’Unione Europea, sotto accusa per l’inadeguatezza delle proprie norme di riduzione delle emissioni e di prevenzione dei cambiamenti climatici.
Dalla diminuzione della produzione di miele in Portogallo, alla perdita dei raccolti di lavanda in Francia, l’aumento delle temperature e la mancanza di acqua e pascoli per il bestiame in Romania, fino alle difficoltà riscontrate dagli allevatori di renne Sami in Svezia: i ricorrenti hanno portato esempi concreti di come il riscaldamento e il cambio del clima si stanno ripercuotendo in negativo sulle loro vite quotidiane, privandoli dei mezzi di sussistenza e mettendo a rischio la sopravvivenza loro e dei loro figli.
C’è anche una famiglia italiana nell’accusa, di Cogne per la precisione, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, dove l’aumento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacciai danneggia la produzione agricola locale e influisce sul turismo invernale.
L’azione legale è stata depositata il 24 maggio scorso presso il Tribunale dell’Unione Europea, che dovrà decidere in primo luogo in merito all’ammissibilità del caso: nella giurisdizione europea infatti, i privati cittadini hanno la facoltà di contestare atti normativi solo se ne vengono colpiti in maniera diretta e in prima persona. L’accusa prende di mira nello specifico il target stabilito dall’Unione Europea di riduzione delle emissioni di almeno 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, considerato insufficiente per garantire il rispetto dei diritti dei cittadini. I ricorrenti affermano inoltre che, dato che i cambiamenti climatici stanno già danneggiando la loro salute, beni e introiti, l’Unione Europea ha il dovere di impegnarsi al massimo nella riduzione delle emissioni per prevenire ulteriori danni.
Una nuova frontiera
Il ricorso alle vie legali per promuovere un maggiore impegno nel contrasto ai cambiamenti climatici è una frontiera assolutamente nuova del diritto. Il primo caso risale appena al 2015, quando 886 cittadini hanno vinto la causa intentata al governo olandese, obbligato dal Tribunale dell’Aia ad adottare misure più stringenti e ridurre le proprie emissioni di almeno il 25% entro il 2020.
Di recente il governo olandese ha deciso di appellare la decisione, la cui implementazione è quindi al momento ferma. Nonostante ciò, il caso ha rappresentato comunque una svolta nel diritto in quanto una Corte ha riconosciuto per la prima volta che le emissioni di gas serra sono la causa dei cambiamenti climatici e che è evidente il nesso causa-effetto tra le emissioni olandesi, il riscaldamento globale e le conseguenze disastrose sulla vita delle persone. La decisione si basa sulla responsabilità del governo di proteggere e migliorare l’ambiente e di salvaguardare le generazioni presenti e future secondo i principi di precauzione e di sostenibilità, e ha ispirato cause simili in Belgio, Nuova Zelanda, Irlanda, Regno Unito, Svizzera e Stati Uniti.
Alla base di tutti questi processi legali, c’è la richiesta alle istituzioni di intraprendere azioni più efficaci per il contrasto ai cambiamenti climatici. Da una parte, è scoraggiante notare quanto la politica sia ancora indietro in questo campo e come, soprattutto i governi occidentali, siano restii a tagliare in modo radicale le emissioni di gas serra e continuino a proteggere le lobby dei combustibili fossili. Lo stesso Accordo di Parigi, pubblicizzato come la soluzione al problema climatico, è un accordo al ribasso e non vincolante per le Parti. Se sulla carta si pone come obiettivo quello di limitare il riscaldamento globale entro i 2°C, e di fare tutto il possibile per tenerlo entro gli 1,5°C, secondo le stesse Nazioni Unite gli attuali impegni presi dai governi nell’ambito dell’Accordo, anche se fossero rispettati integralmente, porterebbero a un aumento delle temperature di 3°C. E questo senza calcolare la decisione di Trump di tirarsene fuori, o la concreta possibilità, prevista dall’Accordo, che gli Stati rivedano al ribasso i propri impegni.
D’altra parte tuttavia, l’aumento del numero di cause legali connesse alla questione climatica che si risolvono nella condanna delle istituzioni o amministrazioni coinvolte è indice di un’evoluzione giuridica, che passa attraverso l’interpretazione estesa di concetti quali il diritto alla vita e alla salute, il principio di prevenzione e di precauzione o quello di equità, la responsabilità verso le generazioni future.
Per approfondire:
La nostra campagna ClimateChangingMe.
Il nostro kit didattico sul clima.
La nostra pubblicazione L’Italia vista da Parigi e l’aggiornamento Trova le differenze.