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Intesa Cina-Usa: senza roadmap al 2030 sono solo parole

Si avvia alla conclusione la Cop26 sui cambiamenti climatici di Glasgow. Le negoziazioni sono entrate nella fase conclusiva, la più complicata. Si cerca la quadra per un accordo che consacri la Cop26 come un passo avanti per contenere l’emergenza climatica.

Subito dopo la pubblicazione della bozza di accordo, nelle cronache da Glasgow ha fatto irruzione ieri in serata l’annuncio dell’intesa tra Usa e Cina.

Accordo Cina - Usa al photo finish

L’annuncio dell’inviato della Casa Bianca John Kerry è arrivato nella serata di ieri: Usa e Cina hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui si dicono finalmente pronti a collaborare per accorciare le distanze e annunciano una “iniziativa comune sul clima”. L’annuncio è particolarmente rilevante non solo perché i due paesi sono storicamente affatto collaborativi nell’ambito delle negoziazioni climatiche, ma anche e soprattutto perché assieme sono responsabili di circa il 40% delle emissioni di gas a effetto serra immessi in atmosfera a livello globale.

La dichiarazione è piuttosto vaga nel merito e non contiene elementi specifici, fermandosi a dichiarare la volontà di contenere l’aumento di temperature a fine secolo sotto i 2°C (e non entro i +1,5°C). Non è peraltro la prima volta che Usa e Cina dichiarano che lavoreranno assieme sul fronte climatico. Nel 2014 gli stessi protagonisti, lo statunitense Kerry e l’inviato cinese alla Cop26 Xie Zhenhua avevano firmato un memorandum d’intenti con cui la Cina per la prima volta dichiarava di essere disposta a impegnarsi per la riduzione delle emissioni. Un’apertura che aveva reso possibile la sigla, l’anno successivo, dell’Accordo di Parigi.

Se anche la dichiarazione di ieri è considerata univocamente un segnale politico di una certa rilevanza – nel senso che potrebbe spronare all’azione altre economie poco propense a impegni climatici come Arabia Saudita, Russia e Australia – il punto vero resta il varo di politiche nazionali realmente ambiziose da parte dei due principali inquinatori a livello globale.

 

Una bozza di accordo finale che delude tutti

L’annuncio che ha sparigliato le carte è arrivato subito dopo la diffusione della prima bozza di Accordo finale, definita “eccezionalmente debole”. In sette pagine totali, volutamente vaghe e incomplete, si ribadisce l’obiettivo stabilito a Parigi ovvero contenere entro i +1,5°C l’aumento medio di temperature a fine secolo. Per rispettarlo, si sollecitano i singoli paesi a presentare entro la fine del 2022 piani di riduzione nazionale più ambiziosi, anche attraverso una eliminazione graduale dei sussidi a carbone e altre fonti energetiche fossili, che tuttavia ancora una volta non vengono messe sul banco degli imputati come principale causa dell’emergenza climatica.

Per raggiungere l’obiettivo fissato occorre però intervenire con decisione e radicalità entro questo decennio; ed è proprio sulla road map di medio termine, quella al 2030, che i negoziatori si sono arenati. I punti da sciogliere restano l’accelerazione del taglio delle emissioni, con obiettivi stringenti che impostino una decisa transizione verso l’orizzonte zero emission entro i prossimi 9 anni; l’abbandono progressivo ma serrato dei combustibili fossili come fonte energetica e l’erogazione dei famigerati 100 miliardi di dollari annui di aiuti per la mitigazione e l’adattamento dei paesi più poveri e vulnerabili.

Tre pilastri concreti senza cui le intenzioni contenute nella bozza di accordo rischiano di essere carta straccia, ma per i quali manca ancora la definizione di meccanismi e tempi precisi di attuazione. A sole 24 ore dalla chiusura del vertice Onu.

Rileggi tutti i bollettini e gli aggiornamenti da Glasgow: SPECIALE COP26 – A Sud a Glasgow

 

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