La Cop30 di Belèm arriva al nodo: tra pressioni fossili, movimenti indigeni in mobilitazione e la sfida di una roadmap per uscire dai combustibili fossili, questo weekend si decide la portata politica del summit.


La Cop 30 sul clima di Belèm, Brasile, sta entrando nelle sue fasi negoziali più interessanti e decisive. Nel weekend del 22-23 Novembre si decide la portata di questo summit sul clima e la sua rilevanza sostanziale. A Sud ha fatto parte degli incontri ufficiali della Zona Blu della Cop, come anche del summit sociale, la Cupula dos Povos, che riunisce i collettivi e le organizzazioni non governative, a maggioranza indigena, critiche rispetto ai negoziati.

La Cop quest’anno si è aperta con l’uscita dell’ultimo rapporto Oxfam, Climate Plunder, il Saccheggio Climatico, che ha dato il segno ad una fase storica, determinata dalla coesistenza di una crisi climatica che è crisi economico-sociale.

Come riporta A Sud, in un suo articolo di corrispondenza per Il Manifesto: 

“Dal 1990,la quota di emissioni dello 0,1% più ricco dell’umanità è aumentata del 32%, mentre quella della metà più povera è diminuita del 3%. Non si tratta solo di stili di vita: i super-ricchi traggono profitto dalla crisi climatica. Il 60% dei loro investimenti è in settori fossili e minerari. Un solo super miliardario, tramite i suoi investimenti, è responsabile in media di 1,9 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Le emissioni causate dai capitali di appena 308 miliardari superano così quelle di 118 Paesi messi insieme. Se tutti vivessimo come loro il carbon budget globale si esaurirebbe in meno di tre settimane.

Oxfam denuncia che questa elite  non solo alimenta la crisi, ma ne controlla la narrazione: alle ultime COP i lobbisti delle industrie fossili superavano i delegati dei dieci Paesi più colpiti dagli impatti climatici.”

La Cop 30 si è aperta con un’urgenza, quella della giustizia climatica al centro, e con uno spauracchio, gli interessi delle corporations dell’oil and gas a boicottarla

Ha fatto sicuramente da contraltare a questo rischio, l’attivazione dal basso di movimenti indigeni e non, del Latino America. Come ancora riporta A Sud, da Belèm 

Le nazionalità dell’Amazzonia denunciano l’inagibilità politica alla Cop e chiedono una mobilitazione internazionale guidata direttamente dai popoli indigeni per proteggere i loro territori e affrontare la crisi climatica alla radice”

In contrasto con la limitata partecipazione delle edizioni precedenti, la Cop30 ha visto così una forte presenza di movimenti indigeni, ecologisti, studenteschi, femministi, sindacali. Accanto al vertice ufficiale si è tenuto il vertice sociale, la Cupula dos povos, con circa 50.000 presenze. Era dal 2021, ovvero dalla Cop26 di Glasgow, che non si celebrava un vertice della società civile.

La Cupula, cui hanno aderito circa 1.200 realtà sociali, ha lavorato negli ultimi due anni alla redazione di una piattaforma politica, la Carta dos povos, che è stata limata e perfezionata nei giorni del vertice.

La Carta individua  nell’internazionalismo e nella solidarietà tra i territori e i popoli l’unica via possibile a una azione climatica globale giusta e efficace, ricordando a governi e delegati che soltanto il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali potrà mettere un freno a disuguaglianze, violenze e crisi climatica. Per farlo, però, occorre «cambiare radicalmente il modo in cui i negoziati sul clima vengono gestiti». Tra le proposte: il rafforzamento del ruolo di gruppi e paesi vulnerabili nei processi decisionali; l’urgenza di abbandonare i combustibili fossili; la protezione delle terre indigene; il rifiuto di soluzioni finanziarie come i crediti di carbonio; il raggiungimento degli obiettivi di finanza climatica, la promozione di politiche di transizione giusta e inclusiva, la demilitarizzazione, la difesa dei diritti di comunità e popolazioni indigene; la protezione dei difensori ambientali.”

Intanto, nelle stanze dei negoziati ufficiali, si discute sull’approvazione dell’obiettivo considerato da molti come il più ambizioso, una roadmap per uscire dalle fonti fossili, “avviare uno spazio di confronto, monitoraggio e dialogo tra paesi produttori di idrocarburi e paesi consumatori di idrocarburi, per avviare il processo del loro abbandono” come dice su Il Domani Ferdinando Cotugno. E ancora aggiunge:

“Il presidente Corrêa do Lago ha detto una cosa interessante: l’idea di una roadmap per uscire dalle fonti fossili non lascia nessuno indifferente, in questo momento ci sono solo due tipologie di posizioni dei paesi: quelli particolarmente favorevoli e quelli particolarmente contrari.

Se guardiamo all’Unione europea, sono solo due i paesi che non fanno parte dell’elenco degli 82 a supporto dell’idea della costruzione della roadmap. Sono la Polonia e l’Italia. Incrociando questo dato con le parole del presidente di COP30, dobbiamo dedurre che l’Italia sia «particolarmente contraria» a quella che potrebbe essere la decisione più storica di COP30. Diversamente sauditi, diciamo, ma dallo stesso lato dei sauditi. Ieri, durante l’incontro con la stampa, il ministro Pichetto Fratin aveva usato parole vaghe e possibiliste, forse non aveva capito la portata del momento storico, che non permette la vaghezza. O di qua o di là.”

Qui si giocherà la partita dei negoziati. A settimana prossima i risultati.

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