Al di là delle centinaia di panel e sessioni, nei primi cinque giorni di negoziazioni sono sei le principali novità degne di nota. E la prima non è positiva.

Orizzonte per obiettivo zero emission

Se è vero che il 90% dei paesi ha accettato di stabilire un arco temporale entro cui raggiungere l’obiettivo zero emissioni, il problema è che in generale la scadenza entro cui tale obiettivo si è pianificato è ben più lungo del “entro il 2050” raccomandato dalla scienza. Le dilazioni più drammatiche e pericolose sono quelle comunicate da Pechino e Mosca (che hanno individuato come orizzonte temporale per le zero emissioni il 2060) e quella dell’India, che ha dichiarato che raggiungerà la neutralità di carbonio addirittura nel 2070.

 

Accordo sul carbone

Il primo riguarda l’Accordo raggiunto (al momento hanno aderito circa 40 paesi) per il graduale abbandono della fonte fossile più dannosa per il clima: il carbone. Sarà un passo avanti, ma presenta limiti di efficacia enormi. La dead line è infatti ben più in là di quanto sarebbe necessario: si è definita l’uscita graduale entro la fine del decennio 2030 per le principali economie industrializzate e entro la fine del decennio del 2040 per il resto del mondo.

Se tra i firmatari ci sono alcuni paesi cui mix energetico è ancora fortemente incentrato sul carbone (come Polonia, Vietnam, Ucraina, Canada, Cile) restano inoltre fuori le firme più pesanti: USA, Cina, India, Australia. Giunge anzi dalla Cina, proprio durante la giornata della COP; la notizia dell’aumento della produzione giornaliera di carbone di 1 mln tonnellate.

 

BOGA – Beyond Oil and Gas Initiative

25 tra paesi (tra cui Italia, Usa, Canada, UK) e istituzioni finanziarie hanno siglato un intesa per fermare entro il 2022 nuovi finanziamenti esteri a sostegno dei combustibili fossili, ma soltanto – specificano – laddove non ci siano misure di abbattimento delle emissioni. Anche questo accordo, che rappresenta una notizia positiva, ha limiti operativi: anzitutto si configura come dichiarazione di intenti e non come accordo vincolante; inoltre sono fatte salve le opere in corso.

Ciò che andrebbe fatto di decisivo sul tema dei sussidi alle fonti fossili è mettere mano (riducendoli nettamente fino ad azzerarli) a tutti i cosiddetti SAD, i Sussidi Ambientalmente Dannosi, cospicua parte dei quali è dedicata a sussidiare le energie fossili. Parliamo di una cifra enorme: dal 2015 (anno della sigla dell’Accordo di Parigi) al 2019 sono stimati in 3 mila e 300 miliardi dollari i sussidi alle fonti fossili stanziati dai soli paesi del G20. 17,7 miliardi è la quota messa in circolo annualmente dall’Italia.

 

Accordo per fermare la deforestazione entro il 2030

Forse il primo obiettivo concreto emerso a Glasgow è il piano condiviso da 110 nazioni per mettere fine già in questo decennio alla devastazione dei polmoni verdi del pianeta. All’accordo hanno aderito anche la Russia, il Brasile, la Colombia, l’Indonesia, il Congo (Paesi che coprono l’85% del patrimonio forestale del globo). Il progetto è tuttavia legato alla promessa di finanziamenti da 15 miliardi di sterline (quasi 20 miliardi di dollari): 8,7 coperti da fondi pubblici, 5,3 da investimenti privati. L’accordo è stato accolto con scetticismo dai rappresentanti dei popoli amazzonici presenti a Glasgow.

 

Global Methane Pledge

All’accordo sulla riduzione delle emissioni di metano del 30% per il 2030 aderiscono, dall’ultimo conteggio, 104 paesi, tra cui Usa e UE, ma restano fuori diversi grandi produttori di gas. India, Cina, Russia, gran parte del mondo arabo sono infatti fuori dall’accordo. Il loro orientamento è, come accennato, l’individuazione di una scadenza ben meno stringente per il taglio di tutte le emissioni.

Anche qui, l’accordo copre una parte insufficiente delle emissioni globali, i grandi assenti sono di peso. Inoltre l’importante sarà sostituire la quota di metano con energie rinnovabili e non con altri tipi di combustibili fossili.

 

Finanza per il clima

La giornata del 3 novembre è stata tutta dedicata alla finanza. Il principale impegno emerso è l’accordo a fornire fino a 130 miliardi di dollari di finanziamenti per aiutare le economie a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. A firmare l’accordo sono i 450 investitori, banche e istituti finanziari aderenti Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz), in rappresentanza di 45 Paesi. Tra loro colossi come Hsbc, Bank of America e Santander e per restare più in casa: Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrate in GFANZ solo dieci giorni prima che iniziasse la Cop26, e Generali. La cifra promessa è impegnativa e ha scatenato lo scetticismo di molti. Soprattutto perché quegli stessi istituti ad oggi finanziano parallelamente anche aziende fossili. I limiti restano legati al controllo della coerenza degli impegni: chi controlla che le società non investano parallelamente nelle fonti fossili? Quali sono i meccanismi di sanzione? Senza strumenti legali vincolanti e sanzioni precise l’operazione rischia di essere di mero greenwashing.

Rileggi tutti i bollettini da Glasgow:

Bollettino #1: Al via a Glasgow la COP 26 sui cambiamenti climatici (1 novembre)

Bollettino #2: Cosa è accaduto sin qui alla Cop26 (5 novembre)

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