Questione di equità e di diritti

Ogni anno il 16 ottobre le Nazioni Unite celebrano la Giornata mondiale dell’Alimentazione, fissata in occasione dell’anniversario della fondazione della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, istituita lo stesso giorno di ottobre, nel 1945.

È oggi impossibile parlare di alimentazione e di sicurezza alimentare senza analizzare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla produzione e sull’accesso al cibo. I cambiamenti climatici, infatti, costituiscono attualmente la più seria emergenza ambientale, sociale, politica ed economica da affrontare a livello globale e la più drammatica minaccia ai diritti umani a tutte le latitudini e longitudini del pianeta. Diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione, all’acqua, all’alloggio, all’autodeterminazione sono soltanto alcuni – i più rilevanti – tra i diritti fondamentali il cui godimento è messo a serio rischio dall’instabilità climatica. In alcune regioni del mondo più che in altre risulta particolarmente rilevante l’impatto della rapida trasformazione del clima sui sistemi agricoli ed alimentari e, dunque, sull’accesso della popolazione ad una alimentazione adeguata. Questa emergenza riguarda in maniera crescente alcune zone tra cui i paesi dell’Africa sub sahariana, le regioni andine, il Medio Oriente.

Non è un caso che l’Accordo di Parigi, siglato nel 2015 nel corso della COP21 sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, faccia espresso riferimento al diritto alla sicurezza alimentare all’art.2 come priorità dell’azione climatica. Secondo il V° Rapporto di Valutazione dell’IPCC quattro degli otto rischi chiave connessi al cambiamento climatico hanno impatto diretto per la sicurezza alimentare: perdita di mezzi di sussistenza e reddito rurali; perdita di ecosistemi marini e costieri, perdita di ecosistemi terrestri; insicurezza alimentare e danneggiamento dei sistemi alimentari.

 

L’impatto del climate change sulla sicurezza alimentare

La FAO ha più volte sottolineato che i cambiamenti climatici minacciano tutte e quattro le dimensioni della sicurezza alimentare: disponibilità, accesso, utilizzo degli alimenti e stabilità dei sistemi alimentari. Le modalità attraverso cui tale minaccia si esplica sono connesse agli impatti del clima sulla salute umana sulle produzioni di sussistenza, sui canali di produzione e distribuzione del cibo nonché sul mercato dei prodotti alimentari e sul potere d’acquisto. L’orizzonte temporale da considerare è duplice: si tratta sia di impatti a breve termine, legati a eventi meteorologici estremi, sia di impatti a lungo termine legati alle variazioni di temperature e delle precipitazioni. Anche nel caso della sicurezza alimentare, a subire gli impatti maggiori dei cambiamenti sono già oggi – e prevedibilmente saranno sempre più in futuro – le persone e le popolazioni che hanno accesso precario alle risorse alimentari. Le produzioni di sussistenza (agricole, di allevamento e di pesca), infatti, sono già vulnerabili ai rischi climatici, lo si vede bene in particolare nelle zone costiere, aride e semi- aride, montane e nelle pianure alluvionali. Secondo le stime della stessa FAO nel 2015 500 milioni di piccole aziende agricole nel mondo in via di sviluppo sostenevano quasi 2 miliardi di persone.

Il cambiamento climatico minaccia dunque di annullare i progressi compiuti finora nella lotta contro la fame e la malnutrizione, senza contare che gli impatti climatici si ripercuoteranno anche sulla popolazioni a basso reddito che vivono in aree fortemente urbanizzate.

Nel report Climate Change and Land, l’IPCC certifica inoltre che si assiste a un rafforzamento della relazione tra variabili climatica e resa agricola. Il report stima che nel periodo 1981-2010 il cambiamento climatico ha causato la riduzione dei raccolti globali di mais (-4,1%) grano (-1,8%) e soia (-4,5%) rispetto al periodo preindustriale e che le politiche di adattamento fino ad oggi implementate non sono sufficienti a compensarne gli impatti, in particolare alle latitudini più basse.

Uno dei fattori climatici con forte impatto sull’agricoltura sono poi gli eventi estremi. Nel solo decennio 2003- 2013, in 78 valutazioni post-disastro formulate in 48 Paesi in via di sviluppo, il 25% di tutti i danni e le perdite economiche causati da siccità, inondazioni e uragani ha riguardato il settore agricolo. Il cambiamento climatico influisce anche sulla produzione di bestiame, sugli ecosistemi forestali e sulla pesca in diversi modi, sia direttamente che indirettamente. Per quanto riguarda l’allevamento, il clima influisce sulla resa dei foraggi, sulla produttività e sulla salute degli animali. In vari Paesi dell’Africa sub-sahariana, negli ultimi decenni, la siccità ha causato perdite di bestiame in proporzioni che vanno dal 20 al 60%.

Per comprendere l’entità della minaccia basta pensare che dai soli beni e servizi ambientali forestali dipende in tutto o in parte la sussistenza di circa 1,6 miliardi di persone; gli scenari climatici e gli studi di impatto suggeriscono che il climate change sta danneggiando gli habitat forestali (a causa di siccità, erosione, stress termico, incendi etc.) il che può avere pesanti impatti sui sistemi di regolazione idrici e sulla biodiversità vegetale e animale.

Anche la pesca rischia di essere pesantemente danneggiata dagli impatti climatici, con una specie marina su quattro minacciata e un graduale spostamento (stimato tra il 30 e il 70%) della fauna verso zone ad alta latitudine. Questo penalizza in maniera particolare la popolazione che vive in regioni tropicali e sub-tropicali, che vanno incontro ad una diminuzione della pescosità fino al 40%, con gravi ripercussioni sull’economia di sussistenza.

 

Cambiamenti climatici e diritti delle popolazioni indigene

A ciò va aggiunto che alcune specifiche categorie sociali sono esposte in maniera particolarmente feroce all’impatto del clima e al riguardo una specifica attenzione va dedicata alle popolazioni indigene. La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni stabilisce il diritto alla conservazione e alla protezione dell’ambiente, incluse le loro terre e risorse. L’art.43 sottolinea che i diritti riconosciuti nella Dichiarazione “rappresentano il livello minimo necessario per la sopravvivenza, la dignità e il benessere dei popoli indigeni del mondo”. Il legame tra popoli indigeni e cambiamenti climatici è in verità duplice: da un lato il modello socio-economico proprio delle comunità ancestrali è legato così intrinsecamente alle condizioni ambientali da essere inevitabilmente minacciato in maniera drammatica dagli impatti climatici; dall’altro, i popoli indigeni sono depositari di conoscenze tradizionali millenarie utili alla preservazione degli ecosistemi e coerenti con le finalità delle politiche di mitigazione e adattamento. Oltre a riguardare i mezzi di sussistenza e l’ambiente di vita, il climate change ha poi profonde conseguenze in termini culturali per i popoli originari: ne minaccia non solo i territori, ma l’identità, gli usi e costumi, la spiritualità, l’organizzazione sociale. In altre parole, si traduce in una minaccia per i diritti culturali di popoli e comunità. Nel 2008 si stimava che 370 milioni di indigeni, distribuiti tra Nord America, Europa, America Latina, Africa, Asia e Pacifico, fossero già a rischio a causa del clima.

 

Sovranità alimentare e cambiamenti climatici in Bolivia

Per quanto riguarda nello specifico la Bolivia, diversi report e analisi hanno dedicato negli ultimi due decenni specifica attenzione agli impatti dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare del paese latinoamericano. La Bolivia registra infatti impatti climatici di particolare intensità e gravità, sia a causa delle sue caratteristiche geografiche e morfologiche sia a causa degli indicatori socioeconomici che la situano tra i paesi con i tassi di povertà e vulnerabilità sociale più alti del continente.

La modifica dei modelli climatici, la maggior frequenza di eventi meteorologici estremi, l’aumento delle temperature e la variazione dei regimi pluviometrici, l’alternanza di periodi di siccità e gelate, il processo di scioglimento dei ghiacciai nelle zone montuose da un lato e l’aumento dei parassiti nelle zone calde dall’altro si traducono in fattori di rischio per la tenuta delle economie di sussistenza da cui dipendono ancora intere comunità, specialmente nella zona dell’altipiano. I danni all’agricoltura e all’allevamento in termini di calo della produttività agricola e di morte di capi di bestiame minacciano dunque oggi e sempre più minacceranno nel futuro prossimo la sopravvivenza di milioni di boliviani e boliviane.

Il paese andino ha compiuto, a partire dalla seconda metà degli anni 2000, consistenti sforzi legislativi e politici verso il varo di norme e policy a tutela dell’ambiente, del sistema climatico e dei diritti umani ad essi connessi. Nella nuova Costituzione Politica dello Stato Plurinazionale, approvata nel 2009, sono numerosi i riferimenti in tal senso. Dall’art. 9 (comma 6), che promuove e garantisce l’uso responsabile e pianificato delle risorse naturali e la conservazione dell’ambiente, per il benessere delle generazioni attuali e future; all’art 33 che specifica che l’esercizio del diritto all’ambiente sano garantisce a individui e comunità la possibilità di svilupparsi in modo naturale e permanente. Per quanto riguarda i diritti delle popolazioni indigene, l’art. 30 (comma 10) riconosce il loro diritto avivere in un ambiente sano, con un’adeguata gestione e utilizzo degli ecosistemi.

Oltre a garantire questi specifici diritti, l’art.108 (comma 16) inserisce anche tra i doveri dei cittadini “la protezione e la difesa dell’ambiente affinché sia adeguato allo sviluppo di tutti gli esseri viventi”. Si tratta di un salto culturale di rilievo, che segna il passaggio verso il riconoscimento dei Diritti della Natura, consacrati nella Legge n. 300, la Legge quadro della Madre Terra e dello Sviluppo Integrale per il Buen Vivir. Altri provvedimenti varati con il fine di mettere su un’azione climatica ambiziosa e integrata sono la Legge sulla Rivoluzione Produttiva Agricola Comunitaria del 2011 e la Legge sulla promozione della produzione ecologica agricola e forestale del 2006. Nel 2009 il paese ha inoltre istituito la Piattaforma boliviana contro il cambiamento climatico, con l’obiettivo di creare sinergie tra attori istituzionali, privati e sociali, scambiare esperienze e sviluppare proposte per combattere i cambiamenti climatici.

Nonostante la messa a punto di questi strumenti, gli effetti dei cambiamenti climatici continuano a colpire il paese andino in maniera progressivamente più drammatica. Ciò è dovuto ad un processo globale di aumento delle temperature, che continua pressoché indisturbato a causa dell’insufficienza delle misure messe in campo per ridurre le emissioni. La stessa Bolivia, (che – va sottolineato – fa parte dei paesi con minori responsabilità storiche nelle emissioni climalteranti e quindi chiamati, in nome del principio delle responsabilità comuni ma differenziate, all’azione climatica ma a impegni meno stringenti rispetto ai paesi a industrializzazione avanzata) ha registrato negli ultimi decenni un trend di emissioni in crescita, con un +275% nel 2019 rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, le emissioni prodotte a livello nazionale rappresentano ancora oggi appena lo 0,06% del totale emesso a livello globale (dati 2015).

Un elemento critico è dato dall’aumento delle monocolture in alcune zone del paese. Nell’ultimo decennio, infatti, la Bolivia ha visto lo sviluppo di politiche agricole basate sull’implementazione di modelli agroindustriali su larga scala che hanno occupato le regioni amazzoniche nei dipartimenti di Santa Cruz, Beni e Pando e aumentato a dismisura i tassi di deforestazione. Questo cambiamento, secondo i dati raccolti dalla Banca Mondiale, ha reso la Bolivia uno dei paesi con il più alto livello di deforestazione procapite (4° posto nel 2016).

Anche la disponibilità di acqua costituisce un problema consistente. Un dato significativo, diffuso sempre dalla Banca Mondiale, calcola che dal 2014 ben il 92% dell’uso dell’acqua in Bolivia è destinato all’agricoltura, nonostante solo l’11% dei terreni agricoli sia irrigato.

L’agricoltura (e di conseguenza la sicurezza alimentare) è in definitiva tra i settori economici più drammaticamente colpiti dai cambiamenti climatici, che influenzano tanto – a valle – i rendimenti delle colture e i prezzi degli alimenti che – a monte – le pratiche agricole e i modelli di produzione del paese. Tali impatti gravano in misura maggiore sulle comunità indigene e rurali e, in generale, sulla fascia della popolazione più vulnerabile dal punto di vista socio-economico, a conferma della stretta relazione esistente tra gravità degli impatti climatici, povertà e disuguaglianze economiche e sociali. Si tratta di una correlazione che sostanzia il concetto di ingiustizia climatica secondo cui è iniquo e viola i diritti umani il fatto che le comunità e le famiglie povere (in Bolivia come altrove) siano quelle cui tocca pagare il prezzo più elevato di un emergenza climatica di cui non hanno alcuna responsabilità né storica né attuale.

A ciò va aggiunto, dal punto di vista della struttura del comparto agricolo, che in Bolivia l’agricoltura familiare contadina, basata su modelli di coltivazione sostenibili che garantiscono alimentazione adeguata alle comunità indigene e rurali, è praticata dalla stragrande maggioranza, ovvero ben il 95%, dei produttori agricoli. Tuttavia, essi coltivano appena il 40% del terreno impiegato a uso agricolo. Il restante 60% è appannaggio dell’industria agroalimentare, che, come accennato, ha visto una rapida e selvaggia implementazione dei sistemi intensivi e mono colturali, che impoveriscono il terreno, utilizzano grandi quantità di agro-tossici e consumano quantità di acqua incompatibili con la crescente emergenza idrica che vive il paese. Questo è un ulteriore elemento ostativo allo sviluppo della piccola industria agricola familiare.

Già più di 10 anni fa, nel 2009, la ong Oxfam, a seguito di una missione realizzata in diverse zone del paese, evidenziava nel report Bolivia Climate change, poverty and adaption alcuni trend preoccupanti, confermati e aggravatisi nell’ultimo decennio. Tra essi, la particolare vulnerabilità climatica sofferta delle donne, spesso più colpite perché incaricate della cura familiare e dell’agricoltura e allevamento di sussistenza e perché più difficilmente in grado di garantirsi introiti in caso di scarsa resa delle attività di sussistenza.

La questione del modello agricolo da prediligere per garantire tutela ambientale, sicurezza alimentare e stabilità climatica risulta centrale in paesi come la Bolivia ma, più in generale, lo è a livello globale.

 

Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2021: trasformare i sistemi agroalimentari per costruire un futuro senza fame

Non è dunque un caso che nel 2021 la Giornata Mondiale dell’Alimentazione sia dedicata alla necessità di “trasformare i sistemi agroalimentari per costruire un futuro senza fame, ai fini di una produzione migliore, una nutrizione migliore, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno”. L’obiettivo è quello di modificare profondamente i modelli di produzione e di consumo, verso la costruzione di sistemi alimentare “più resilienti, inclusivi e solidi”.

Intervenendo in occasione delle celebrazioni 2021, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres ha raccontato la portata dell’emergenza alimentare globale. Secondo i dati più aggiornati, il 40% della popolazione (ovvero oltre 3 miliardi di persone in tutto il mondo) non può permettersi una dieta sana. Tra i fattori scatenanti spicca la crisi climatica, assieme alle responsabilità da attribuire al modello agricolo industriale e alla diseguale allocazione delle risorse alimentari, ai conflitti e alle emergenze umanitarie (si pensi esemplificativamente all’Afghanistan e ad Haiti). A ciò si è aggiunge – dal 2020 – l’impatto della pandemia da Covid19. Secondo le Nazioni Unite la sola pandemia ha reso impossibile ad ulteriori 140 milioni di persone l’accesso al cibo di cui hanno bisogno.

Modificare i modelli agricoli è la sfida che le Nazioni Unite, i governi degli Stati maggiormente colpiti, le Ong, la cooperazione internazionale (attraverso progetti come Pachamama – Protagonismo delle donne rurali per l’affermazione della sovranità alimentare in Bolivia, finanziato dall’AICS e promosso dal CEVI in partenariato con COSPE, A Sud e Dipartimento di Scienze Agro Alimentari, Ambientali e Animali dell’Università di Udine) individuano come misura urgente e necessaria.

Il rafforzamento dei sistemi alimentari locali; il sostegno ai piccoli e medi produttori per migliorarne le capacità produttive e di accesso ai mercati locali; la promozione di produzioni diversificate; la riduzione e la progressiva eliminazione dei prodotti chimici in agricoltura; la promozione di metodi di irrigazione utili a un uso sostenibile delle risorse idriche sono tra le priorità su cui lavorare sinergicamente per garantire il pieno godimento del diritto all’alimentazione degna, all’autodeterminazione, alla salute e alla vita.

A partire proprio dalle popolazioni vulnerabili che abitano i paesi più colpiti e meno responsabili dei cambiamenti climatici.

Per approfondire:

Report:

Publications Office of the European Union. Crippa, M., Guizzardi, D., et al. Fossil CO2 emissions of all world countries. (2020)

IPCC – International Panel on Climate Change. Executive Summary, Food Security. In: Climate Change and Land. ( 2019)

FAO – Food and Agriculture Organization of the United Nations, Climate change and food security: risks and responses. (2015)

FAO – Food and Agriculture Organization of the United Nations, Climate Change and Food Security: a framework document. (2008)

UNDP Bolivia. Tras las huellas del cambio climático en Bolivia – Estado del arte del conocimiento sobre adaptación al cambio climático Agua y seguridad alimentaria. (2011)

Fundacion Alternativas. M. Malloy, Bolivia, Seguridad Alimentaria y cambio climatico. Universidad McGill. (2016)

Oxfam Internacional. Bolivia Climate change, poverty and adaption. Executive Summary. (2009)

OHCHR – UN Office of the High Commissioner for Human Right, Climate change and indigenous peoples. (2008)

Risorse web:

Co2 Emission By Country. World Population Review. (Dati 2015) https://worldpopulationreview.com/country-rankings/co2-emissions-by-country

World Bank. World Development Indicators. Bolivia. https://databank.worldbank.org/source/world-development-indicators

EjAtlas – Environmental Justice Atlas, Monocultivos de Soya en Santa Cruz.https://ejatlas.org/conflict/monocultivo-de-soya-en-santa-cruz-bolivia

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