Sfollati Ambientali: 45,8 Milioni nel 2024, Raddoppio in 15 Anni
Lo scorso anno 83,4 milioni di persone viveva come sfollati ambientali nei confini del proprio Paese, di questi 65,9 sono stati i nuovi sfollati interni. I disastri naturali hanno fatto registrare il dato più alto da quando l’IDMC ha iniziato a monitorare gli sfollamenti nel 2008, mentre conflitti e disastri si sovrappongono sempre di più rendendo le sfide sempre più complesse e richiamando la necessità di quadri politici e piani integrati che tengano conto degli sfollati interni.
Lo scorso 13 maggio il Centro di monitoraggio degli sfollati interni, meglio noto con l’acronimo inglese IDMC, ha pubblicato il suo nuovo rapporto sugli sfollati interni (IDP) a livello mondiale, il GRID 2025, annunciando un nuovo record di IDP a causa dei disastri naturali, arrivati a 45,8 milioni nel 2024.
Un dato che rappresenta un’anomalia significativa rispetto agli anni precedenti, in quanto ben al di sopra della media annuale di 24 milioni degli ultimi 15 anni. Difronte a questi numeri è importante sottolineare che il 2024 non solo è stato classificato come l’anno più caldo di sempre, arrivando a superare la soglia critica di +1,5°C, ma ha anche chiuso il decennio più bollente della storia, con conseguenze drammatiche sulla vita di milioni di persone, costrette a lasciare le proprie case.
DISASTRI NATURALI: IMPATTO E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Violenti tempeste e cicloni in Paesi altamente esposti come Bangladesh, Cina, Filippine e Stati Uniti hanno determinato oltre la metà degli sfollamenti interni.
Il solo uragano Milton ha fatto evacuare quasi sei milioni di persone a ottobre, per lo più negli Stati Uniti, si tratta del numero più alto mai registrato per una tempesta a livello globale, superando il ciclone Amphan nel 2020 e il tifone Haiyan nel 2013. L’uragano Milton così come inondazioni e tempeste che hanno causato migliaia di sfollati in Europa (in Germania, Svizzera, Grecia, Spagna e nella stessa Italia) hanno dimostrato che nessun Paese è immune, anche quelli ad alto reddito. Tuttavia, come evidenziato anche nel GRID 2025, i Paesi a basso e medio reddito subiscono i costi maggiori (in termini umani, economici, sociali) delle conseguenze legate agli eventi estremi, mentre le stesse comunità vulnerabili sono scolpite in modo non uniforme.
Lo Stato brasiliano di Rio Grande do Sul ne è un esempio. Le inondazioni hanno colpito un’area grande quanto il Regno Unito provocando circa 775.000 sfollamenti, principalmente nella capitale Porto Alegre dove le comunità indigene – insieme ad altri gruppi vulnerabili – sono state costrette maggiormente a fuggire rispetto al resto della popolazione.
CONFLITTI E DISASTRI SI SOVRAPPONGONO
Le persone costrette a muoversi a causa di conflitti e violenze sono state 20,1 milioni nel 2024. Come ogni anno i dati presentati dall’IDMC distinguono tra conflitti e disastri come fattori scatenanti degli sfollamenti interni, ma nella realtà, come analizzato nello stesso GRID 2025, in molti Paesi le cause degli sfollamenti sono interconnesse, rendendo così le crisi più complesse e prolungando la difficile situazione di vita degli IDP.

Figura 2 – Paesi in cui conflitti e disastri si sovrappongono (Fonte GRID 2025)
SOVRAPPOSIZIONE TRA CONFLITTI E DISASTRI: DATI E VULNERABILITÀ
Tutti i 49 Paesi e territori (tranne quattro) in cui lo scorso anno sono stati identificati sfollamenti dovuti a conflitti hanno registrato anche spostamenti dovuti a disastri naturali.
Negli anni la maggiore disponibilità di dati ha sicuramente aiutato a dare evidenza di questa sovrapposizione e la tendenza è ormai chiara. Inoltre, nel GRID è richiamata un’analisi dei dati dell’IDMC e della Notre Dame Global Adaptation Initiative (ND-GAIN) svolta per valutare la vulnerabilità e la capacità di adattamento dei Paesi ai cambiamenti climatici e che rivela che oltre tre quarti delle persone sfollate interne a causa di conflitti e violenze alla fine del 2024 vivevano in Paesi con un’elevata o molto elevata vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
GRID: TERRITORI CHE MOSTRANO IL NESSO TRA CONFLITTI ARMATI E CRISI CLIMATICA
Gli effetti combinati dei conflitti e delle inondazioni hanno aggravato le condizioni di vita di milioni di sfollati nello Stato nord orientale del Borno, in Nigeria, che ospita circa la metà dei 3,4 milioni di sfollati del Paese a causa di conflitti e violenze.
Violente inondazioni si sono verificate durante la stagione delle piogge, sullo sfondo di un’iniziativa guidata dal governo per chiudere i campi profughi nello Stato entro il 2024. Diciassette campi erano stati chiusi a giugno, ma alcuni hanno dovuto riaprire per ospitare le persone in fuga dalle inondazioni. Anche dopo che le acque si sono ritirate, alcuni sfollati sono restati nei campi perché continuavano ad avere difficoltà nel recuperare i propri mezzi di sussistenza
Precipitazioni superiori alla media hanno, inoltre, causato sfollamenti nelle province orientali della Repubblica Democratica del Congo, da tempo zone di conflitto. Le strade sono state inondate o bloccate da gruppi armati non statali, interrompendo la distribuzione di aiuti a centinaia di migliaia di IDP. Gli effetti combinati del conflitto e delle inondazioni hanno aggravato le condizioni sanitarie e aumentato le malattie trasmesse dall’acqua, riducendo al contempo la produzione agricola e aumentando così l’insicurezza alimentare.
In Yemen, lo scorso anno, è stato registrato il numero più alto di sfollamenti dovuti a calamità naturali; le inondazioni hanno anche spostato mine antiuomo e ordigni inesplosi, aumentando il numero di vittime e feriti e ostacolando la distribuzione di aiuti agli sfollati.
CAUSE ANTROPICHE DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI E CONSEGUENZE SOCIALI
I cambiamenti climatici di origine antropica non solo incidono sulla frequenza e intensità degli eventi ma alimentano nelle realtà in via di sviluppo l’espansione urbana informale, rendono le infrastrutture inadeguate, fanno crescere la povertà e l’insicurezza alimentare.
Quest’ultima insieme alla malnutrizione infantile, come si legge nel nuovo Rapporto globale sulle crisi alimentari (GRFC), pubblicato il 16 maggio scorso da diverse Agenzie ONU, sono aumentate per il sesto anno consecutivo. Insieme ai conflitti armati, agli shock economici, le condizioni climatiche estreme, principalmente siccità e inondazioni causate da El Niño, hanno portato 18 Paesi in uno stato di crisi alimentare, colpendo più di 96 milioni di persone, soprattutto in Africa meridionale, Asia meridionale e Corno d’Africa.
Il rapporto evidenzia anche un forte aumento della fame derivato proprio dagli spostamenti forzati.
L’INTEGRAZIONE DELLE POLITICHE È PIÙ RILEVANTE CHE MAI
“Gli sfollamenti interni sono il punto in cui conflitti, povertà e cambiamenti climatici si scontrano, colpendo più duramente i più vulnerabili. Questi ultimi dati dimostrano che gli sfollamenti interni non sono solo una crisi umanitaria; sono una chiara sfida politica e di sviluppo che richiede molta più attenzione di quanta ne riceva attualmente”, dichiara Alexandra Bilak, Direttrice dell’IDMC.
Per rispondere alle sfide, come raccomandato dall’ONU, è necessario la presa in carico da parte dei governi della questione degli IDP adottando un approccio allo sviluppo che integri le questioni relative agli sfollati interni nei quadri normativi e nei piani di sviluppo che riguardano, a titolo di esempio, la riduzione del rischio di catastrofi, l’azione per il clima, la costruzione della pace e lo sviluppo sostenibile e anche in molti altri ambiti.
Un esempio che viene citato nel Report è l’interruzione degli studi da parte di bambini e i giovani sfollati, con potenziali ripercussioni sul loro reddito futuro e sul loro contributo alla società, pertanto integrare misure specifiche per gli sfollati interni nelle strategie educative rappresenta un buon investimento.
Le Filippine nel 2016 hanno introdotto nella loro legislazione disposizioni specifiche per garantire ai bambini sfollati a causa di calamità naturali l’accesso continuo all’istruzione, all’alloggio, agli spazi a misura di bambino e al ricongiungimento familiare.
Politiche che considerano la causa climatico-ambientale della migrazione
L’esigenza di sviluppare politiche e piani (quali ad esempio piani di adattamento) che tengano in considerazione la causa climatico-ambientale della migrazione, con particolare attenzione all’intersezionalità di genere, è tra le raccomandazioni contenute nel policy brief (a cura di WeWorld Onlus) redatto a corredo della pubblicazione “Migrazioni ambientali e crisi climatica – Edizione Speciale Le Rotte del Clima”, curata dall’associazione A Sud in collaborazione con il Centro studi Systasis (promotore del progetto “Le Rotte del Clima”), ASGI, We World e un’ampia rete di partner.
Necessità di un approccio governativo integrato
Tornando al GRID, si legge che è dunque necessario un approccio che coinvolga tutti i settori governativi per “unire i punti ed evitare la frammentazione e la duplicazione degli sforzi”.
Alla fine del 2024, 51 Paesi avevano adottato almeno una legge, una politica o una strategia di questo tipo.
Il Bangladesh, tra i Paesi più colpiti da eventi estremi a livello globale, ha adottato una strategia nazionale sugli sfollamenti interni nel 2021 e un successivo piano d’azione nazionale per il periodo 2022-2042.
Mentre in Africa, il continente con il più alto numero di sfollamenti dovuti a conflitti al mondo, 34 Paesi hanno ratificato la Convenzione dell’Unione Africana per la protezione e l’assistenza degli sfollati interni, nota come Convenzione di Kampala, e 21 Paesi hanno adottato strumenti specifici.
Tuttavia, l’attuazione diventa ancora di più una sfida dinanzi all’impegno politico, a limitate capacità e risorse economiche e istituzionali, nonché priorità contrastanti, come dimostrato dal triplicarsi del numero di sfollati interni in Africa dall’adozione della Convenzione nel 2009.
Pochi dei Paesi più colpiti al mondo dispongono di risorse sufficienti. Nel 2024, il 61% degli sfollati interni viveva in paesi a basso reddito e il 19% in paesi a reddito medio-basso.
Smantellamento degli aiuti e priorità globali
Sulle crescenti sfide globali legate al collasso climatico e alle guerre pesa oggi lo smantellamento dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, USAID, per volontà dell’amministrazione Trump, una vera catastrofe per gli aiuti umanitari, così come le priorità di riarmo dell’Europa con un piano di 800 miliardi euro.
Come dichiarato da Bilak, “I dati sono chiari, ora è il momento di utilizzarli per prevenire gli sfollamenti, supportare la ripresa e costruire la resilienza”.
Migrazioni e cambiamenti climatici troveranno spazio di dibattito nel panel “Narrazioni Intersezionali: Migrazioni, Cambiamenti Climatici e Parità dei Generi”, che si terrà il 24 maggio 2025 (9.30-13.00) presso Base Milano, via Bergognone 34, nell’ambito del WeWorld Festival Milano.
Per saperne di più leggi il report di A Sud MIGRAZIONI AMBIENTALI E CRISI CLIMATICA – SPECIALE “LE ROTTE DEL CLIMA”