Il 2023 è stato l’anno dei record (tutti in negativo) per il clima. A spiegarlo è l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM o WMO, World Metereological Organization) nel suo ultimo rapporto “State of the Global Climate 2023”, diffuso lo scorso 19 marzo dopo aver analizzato i dati di quattro indicatori climatici chiave: gas serra, temperatura, oceani e criosfera. Particolare attenzione è riservata nel report alle migrazioni climatiche: la crisi climatica costituisca sempre di più un driver degli sfollamenti forzati e aumenti la vulnerabilità anche di milioni di persone.

 

 

La Terra è sempre più vicina alla soglia di 1,5°C. Inondazioni, siccità, ondate di caldo, incendi e cicloni tropicali in rapida intensificazione hanno già sconvolto la vita di milioni di persone, mentre resta forte il gap finanziario per l’azione climatica. Il 2023 è stato l’anno dei record (tutti in negativo) per il clima. A spiegarlo è l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) nel suo ultimo rapporto “State of the Global Climate 2023”, diffuso lo scorso 19 marzo dopo aver analizzato i dati di quattro indicatori climatici chiave: gas serra, temperatura, oceani e criosfera. Il “Pianeta è sull’orlo del baratro e la Terra sta lanciando una richiesta di soccorso”, è il commento arrivato dal Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, dopo la presentazione del nuovo rapporto sul clima. 

Nel testo dell’autorevole voce delle Nazioni Unite, sull’atmosfera terrestre e la sua interazione con gli oceani, il clima e la conseguente distribuzione delle risorse idriche, si legge che il 2023 è classificato come l’anno più caldo di sempre, con una temperatura media globale di 1,45°C (con un margine di incertezza di ± 0,12° C) rispetto al periodo preindustriale. Si è arrivati quasi a infrangere, anche se temporaneamente, la soglia di sicurezza di 1,5°C fissata dagli scienziati e richiamata nell’Accordo di Parigi sul clima, che mira a contenere la temperatura media globale al di sotto di 2°C e a perseguire gli sforzi per circoscriverla a 1,5°C. 

I dati analizzati dall’OMM, rilevati in specifiche località, hanno mostrato nel 2023 il continuo aumento dei tre principali gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto). I livelli di CO2 hanno raggiunto livelli superiori del 50% rispetto all’era preindustriale, intrappolando sempre più calore nell’atmosfera. Ciò ha portato da giugno a dicembre a temperature mensili record, tra le aree più colpite dal caldo: l’Atlantico nordorientale, il Golfo del Messico, i Caraibi, il Pacifico settentrionale e vaste aree dell’Oceano Antartico, soggette a diffuse ondate di caldo marino. 

L’Organizzazione metereologica mondiale lancia dei messaggi precisi, sottolineando che il problema non riguarda solo l’aumento delle temperature, ma a destare preoccupazione sono tutte le conseguenze che ne derivano. Difatti, nel 2023 è stato rilevato un livello record di calore degli oceani, il più alto degli ultimi 65 anni, e una progressiva acidificazione delle acque oceaniche, con tutte le ripercussioni negative sulla biosfera, nonché una più rapida fusione dei ghiacciai, dall’Artico, al Nord America e in Europa. In Svizzera, in particolare, i ghiacciai alpini hanno perso il 10% del loro volume solo negli ultimi due anni. Di conseguenza, il livello medio globale dell’innalzamento del mare è aumentato, con una crescita record dal 1993. Negli ultimi dieci anni (2014-2023) l’aumento del livello dei mari è più che raddoppiato rispetto al primo decennio analizzato tramite dati satellitari (1993-2002). I cambiamenti climatici hanno, inoltre, acuito la portata e la frequenza degli eventi meteorologici estremi. Tra questi l’Organizzazione metereologica mondiale menziona il ciclone tropicale Freddy di febbraio e marzo, uno dei più duraturi del mondo, con forti impatti su Madagascar, Mozambico e Malawi, così come la stagione degli incendi in Canada, la peggiore di sempre, e ancora il caldo estremo che ha colpito le città del nord Africa e dell’Europa meridionale, con temperature che in Italia hanno raggiunto i 48,2°C.

Crisi climatica, insicurezza alimentare e mobilità umana forzata: un legame sempre più stretto anche per l’OMM.

La crisi climatica è la sfida decisiva che l’umanità deve affrontare, sottolinea Celeste Saulo, Segretaria generale dell’OMM. Come si legge nel Rapporto sullo stato del clima 2023, che dedica un capitolo ad hoc agli impatti socioeconomici della crisi climatica, sulla base dei dati riferiti a 78 Paesi monitorati dal Programma alimentare mondiale, il totale delle persone in situazioni di acuta insicurezza alimentare è quasi raddoppiato dalla pandemia da Covid-19 al 2023, passando così da 149 milioni di persone a 333 milioni. Le condizioni metereologiche estreme hanno difatti inasprito i conflitti, distrutto raccolti, causato l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e provocato recessioni economiche. Le inondazioni che hanno colpito il Sud Sudan e che hanno reso difficile l’accesso ai bisogni primari come cibo, acqua pulita, assistenza sanitaria e hanno contribuito al quasi collasso dei mezzi di sussistenza locali ne sono un esempio. A spingere alla fame in Afghanistan è invece la siccità. Tra maggio e ottobre 2023 sono stati stimati 15,3 milioni di afgani in stato di grave insicurezza alimentare. Se nel 2022 in Yemen il 53% della popolazione si trovava già in uno stato di insicurezza alimentare acuta, nel 2023 l’aumento dei prezzi di cibo e carburante, unitamente a inondazioni (da marzo a settembre) e periodi prolungati di conflitto, hanno ulteriormente aggravato la situazione. Danni gravi a causa delle forti piogge che hanno colpito il Paese nel mese di aprile hanno pesato fortemente anche sulle condizioni già precarie degli sfollati. Alcuni campi di sfollati interni nel governatorato di Ma’rib sono stati danneggiati, decine di persone hanno perso la vita o sono rimaste ferite, così come il passaggio del confine tra Somalia e Yemen per le persone in fuga è stato complicato dalle condizioni climatiche avverse. 

Sono diversi gli esempi che l’Organizzazione meteorologica mondiale riporta per mettere in evidenza come la crisi climatica costituisca sempre di più un driver degli sfollamenti forzati e aumenti la vulnerabilità anche di milioni di persone già sradicate da complesse situazioni multi-causali di conflitto, violenza, degrado ambientale ed eventi climatici avversi. Alla luce di tale complessità, va sottolineato che i Paesi di origine (di rifugiati, richiedenti asilo e migranti) classificati come “non sicuri” sono tali non solo perché teatro di aspri conflitti armati ma anche per gli impatti della crisi climatica. Proprio sulla base di tale constatazione la comunità internazionale dovrebbe muoversi, indipendentemente dall’identificazione di un nesso di causa-effetto tra clima e guerre, per riconoscere la tutela giuridica a chi scappa.

Guardando ancora ai numeri. Nella sola Somalia sono stati registrati circa 531 mila sfollati a causa della siccità nel 2023, mentre 653 mila persone sono state sfollate principalmente a causa del conflitto. Le successive inondazioni durante la stagione delle piogge – da ottobre a dicembre – hanno avuto conseguenze su 2,4 milioni di uomini, donne e bambini, con lo sfollamento di oltre un milione di persone. In Siria, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto circa 3,4 milioni di rifugiati e sfollati interni hanno invece avuto bisogno di assistenza per far fronte all’inverno estremo. Nella Siria nordoccidentale, tempeste di neve e inondazioni hanno provocato sfollamenti tra gennaio e marzo, molte delle persone evacuate erano già sfollate a causa del lungo conflitto nel Paese. Così come gli sfollati in Pakistan, non solo hanno dovuto affrontare gli impatti di lunga durata delle inondazioni monsoniche del 2022, che hanno provocato uno dei più grandi sfollamenti per disastri negli ultimi dieci anni (8,2 milioni di persone sfollate), hanno dovuto anche far fronte a forti piogge che hanno colpito alcuni distretti nel giugno 2023, aggravando la diffusione di malattie trasmesse da vettori, come le zanzare. 

Come evidenziato anche dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea, nell’INFORM report 2024 (marzo 2024), nell’ultimo decennio, nonostante i miglioramenti nella preparazione per rispondere all’impatto negativo degli eventi estremi, il rischio di disastri e crisi umanitarie a livello globale è aumentato. È pertanto necessario intervenire con misure efficaci di mitigazione e adattamento per evitare che il futuro impatto del riscaldamento globale aggravi maggiormente il rischio di crisi umanitarie su scala globale.

Tra gli strumenti necessari per ridurre l’impatto dei disastri l’OMM cita i sistemi di allerta precoce multi-rischio. Al riguardo, l’iniziativa Early Warnings for All lanciata dalle Nazioni Unite nel 2022, mira proprio ad assicurare che tutti siano protetti da sistemi di allarme rapido entro la fine del 2027. Altresì, si evidenzia che lo sviluppo e l’attuazione di strategie locali di riduzione del rischio di catastrofi sono aumentati dall’adozione del Sendai Framework for Disaster Risk Reduction nel 2015. Inoltre, una lettura positiva arriva dai dati della produzione di energie rinnovabili (50% in più rispetto al 2022), per un totale di 510 GW nel 2023. Si tratta della crescita più alta degli ultimi venti anni, con un potenziale che lascia presagire il raggiungimento dell’obiettivo di energia pulita fissato alla COP28 di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale (per raggiungere 11.000 GW) entro il 2030. 

Non poche perplessità però restano. Va ricordato che al temine della Conferenza sul clima di Dubai gli Stati più poveri del Sud globale hanno manifestato preoccupazione per il riferimento nell’accordo finale (il Global Stocktake) all’uso di tecnologie non sperimentate per la cattura e lo stoccaggio della CO2 e per il passaggio alle rinnovabili, che potrebbero causare non pochi problemi socio-economici. Così come va sottolineato che l’OMM nel Rapporto sul clima non fa esplicitamente riferimento ai fossil fuel. Eppure, liberarsi dei combustibili fossili è determinante per salvare il Pianeta e l’umanità. “L’inquinamento da combustibili fossili sta creando un caos climatico fuori scala”, come dichiarato da Guterres.

Il gap finanziario e lo sguardo verso la prossima Conferenza mondiale sul clima (COP29)

Il Rapporto sullo stato del clima 2023 è arrivato alla vigilia della riunione (la prima dopo la COP 28 di Dubai) dei ministri del clima di tutto il mondo a Copenaghen, il 21 e 22 marzo scorso, per discutere, prima della scadenza di febbraio 2025, degli NDC, i contributi determinati a livello nazionale, che illustrano gli sforzi messi in campo da ciascun Paese per ridurre le emissioni nazionali e adattarsi ai cambiamenti climatici. Al riguardo, un tema centrale nella prossima COP che si terrà a Baku, in Azerbaijan, è quello dei finanziamenti per il clima, non solo per mettere in atto i Piani nazionali ma anche in riferimento ai contributi al fondo Loss&Damage.

Le premesse non sono certo incoraggianti. L’Organizzazione metereologica mondiale nel suo Rapporto evidenzia proprio il gap nei finanziamenti per il clima. Sebbene tra il 2021 e il 2022 i flussi finanziari globali legati al clima hanno raggiunto circa 1,3 trilioni di dollari (incremento guidato principalmente dai fondi nel settore della mitigazione), la Climate Policy Initiative fa notare che costituiscono solo circa l’1% del PIL globale e l’OMM conferma la forte lacuna in uno scenario medio di 1,5° C. Per contenere la temperatura entro la soglia di 1,5 gradi, gli investimenti di finanza climatica dovrebbero aumentare di 6 volte, arrivando a 9 mila miliardi al 2030 e ulteriori 10 mila miliardi al 2050.

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