Processo Eni-Nigeria

Intervista a Godwin Uyi Ojo

Per la prima volta una compagnia italiana, in questo caso ENI, sarà perseguita in Italia per danni ambientali provocati in altri Paesi.

È stata accolta ieri infatti dal giudice di Milano l’istanza presentata dalla comunità nigeriana di Ikebiri, i cui territori sono stati gravemente inquinati da una fuoriuscita di petrolio avvenuta 8 anni fa.

Il 5 aprile 2010 una conduttura di proprietà della Nigerian Agip Oil Company (NOAC), società nigeriana controllata da ENI, si è rotta, riversando una marea nera nell’ambiente circostante. La vita della popolazione locale, basata sulla pesca e sullo sfruttamento delle palme, ne è stata fortemente danneggiata.

La comunità ha cercato in precedenza di raggiungere un accordo con la multinazionale per ottenere un risarcimento e soprattutto per la bonifica del territorio inquinato, ma le negoziazioni non sono andate a buon fine. Da qui la decisione di intentare una causa contro ENI nel suo Paese di origine, l’Italia, sperando di ottenere giustizia.

Processo Eni-Nigeria: intervista a Godwin Uyi OjoAbbiamo intervistato, in seguito all’udienza, Godwin Uyi Ojo, Co-fondatore e
Presidente dell’organizzazione nigeriana Environmental Rights Action/Friends of the Earth Nigeria, fondata nel 1993 in risposta ai disastri ambientali e alle minacce ai diritti umani provocati dagli abusi delle multinazionali nel Paese.

Come è andata l’udienza tenutasi ieri mattina?

G.U.O.: Siamo estremamente compiaciuti che le nostre istanze siano state accolte e che il giudice abbia deciso di andare avanti con il processo. Questo è un momento epocale: è la prima volta che una compagnia italiana, che opera in Nigeria, viene perseguita in Italia per i danni causati in territorio nigeriano.

Speriamo che questo processo apra la strada ad altre comunità colpite, i cui territori e mezzi di sussistenza sono stati distrutti da ENI e da altre multinazionali per l’estrazione dei combustibili fossili. Rotture, falle e sversamenti di greggio sono infatti eventi quasi quotidiani nel delta del Niger.
La mia associazione, ERA/FoE Nigeria, si batte da anni per la giustizia ambientale nel Paese, ma siamo ancora molto lontani.

Cosa rende difficile ottenere giustizia in Nigeria?

G.U.O.: In Nigeria, anche quando un tribunale accoglie le istanze delle comunità locali, i processi possono durare una vita intera. Persino se la sentenza è positiva, non ci sono mezzi per assicurarne il rispetto.
Nel 2005 ad esempio, la Corte Suprema nigeriana ha condannato Shell per la pratica del gas flaring nel Delta del Niger. La multinazionale tuttavia ha continuato ad operare impunita come prima, in violazione della sentenza.

Come siete riusciti ad arrivare all’importante risultato di oggi?

G.U.O.: Stiamo costruendo questo caso da molto tempo, in cooperazione con i colleghi di Friends of the Earth Europe e svolgendo un’attività di mediazione con le comunità locali. Molti avvocati, sia in Nigeria che in Italia, ci stanno aiutando lavorando pro bono.

Quali sono le prospettive per il futuro?

G.U.O.: Come ho già detto, questo è un momento storico. Noi ci auguriamo che porti speranza al nostro popolo, ovvero giustizia.
Chiediamo che ENI sia condannata per le proprie violazioni e che sia obbligata a risarcire la comunità di Ikebiri e a bonificare il loro territorio.

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