L’Italia brucia per i cambiamenti climatici e l’incuria: le testimonianze

In una delle estati più calde di sempre, tra emergenza climatica e mancanza di prevenzione, al rogo decine di migliaia di ettari. Migliaia gli sfollati. Incalcolabile il numero degli animali carbonizzati; così come i danni. E all’elenco delle regioni in fiamme da ieri si è aggiunto l’Abruzzo.

L’Italia brucia. Dalle coste alle montagne, dalle isole alle aree interne. Gli spaventosi roghi in Sicilia e Sardegna, e poi la Calabria e la Basilicata, la Puglia, l’intero centro Italia. Da ieri, l’Abruzzo. 1.500 interventi contati dai Vigili del Fuoco soltanto nel weekend tra venerdì e domenica, 37.000 dalla metà di giugno. Dopo le immagini del Canada, della Siberia, degli USA, dell’Alaska il fuoco si è fatto cerchio minaccioso attorno a centinaia di comunità nel nostro paese.

Gli incendi che ogni anno puntuali arrivano a riempire le cronache dei mesi estive non sono eventi casuali. Sono l’effetto di un incrocio di più fattori: azione criminale, mancanza di politiche adeguate e il devastante impatto dei cambiamenti climatici che avanzano inesorabili nelle nostre vite e nei nostri territori.

L’estate 2021 ha tutte le carte in regola per diventare una delle più calde mai registrate. Le colonnine di mercurio superano i 40° in diverse località. I venti caldi e le temperature estreme creano terreno fertile per il propagarsi di incendi, quasi sempre dolosi, che funestano da settimane le zone boschive del paese. Ma non soltanto delle mani criminali che appiccano gli incendi mettendo a rischio territorio, ecosistemi, vite umane ed economie locali è la responsabilità di uno scempio annunciato.

Da domenica, a bruciare è anche l’Abruzzo; una gigantesca area tra Pescara e Vasto, tra Ortona e la costa dei Trabocchi, con inneschi dolosi trovati nelle tre diverse province. Nella zona di San Vito Chietino si sono da poco trasferiti da Roma Maura Peca e Andrea Turco, lei ingegnera ambientale e ricercatrice, lui giornalista. Due attivisti che con A Sud camminano da anni, che sono parte integrante della nostra comunità umana e politica. E ancora c’è il CDCA Abruzzo, e Silvia Ferrante, educatrice ambientale e nostra compagna di strada e di mille battaglie.

Le testimonianze di Maura e Andrea

Maura racconta: “Scrivo da Chieti Scalo, da casa dei miei genitori e da oggi penso di potermi definire migrante climatica. La casa dove ho deciso di trasferirmi, lasciando Roma due mesi fa è stata per tutto il giorno di ieri circondata dalle fiamme. È bruciato tutto: gli ulivi secolari, gli alberi da frutto, la pineta e la riserva naturale che la circondava. Insieme a loro sono bruciati i sogni di una vita più lenta in contatto con la natura e sono emerse domande e preoccupazioni: i vigili del fuoco ieri non ce l’hanno fatta a venire, troppo impegnati in altri focolai. Tra una contrada poco popolosa (dove vivo io) e una con maggior popolazione, meglio puntare sulla seconda.
Per questo principio, per carità ragionevole, aree più ai margini e isolate sono state lasciate sole (o meglio) alla buona volontà degli abitanti che fino a quando non è andata via la corrente per il blackout hanno continuato a pompare acqua e a spegnere i vari focolai.

Una comunità raffazzonata che ha iniziato a salvare il salvabile ognuno secondo le sue possibilità: chi dando priorità alla statua di San Donato della Chiesa del quartiere, chi buttando acqua sugli ulivi per evitare perdite economiche e sforzi quotidiani di cura del territorio. Ma possono queste comunità sempre salvarsi da sole? E fino a quando questo è possibile? Un incendio di queste dimensioni neanche l’anziana della contrada che osservava con gli occhi tra il rassegnato e l’incredulo l’aveva mai visto.

I 42 gradi di ieri e il vento di scirocco hanno portato all’espansione incontrollata del fuoco. E se non riusciamo a domare queste situazioni oggi, cosa succederà tra cinque, dieci, venti anni quando le estati saranno sempre più roventi? Cosa accadrà quando le temperature saranno sempre maggiori e le precipitazioni scarseggeranno sempre di più? Non possiamo accettare questo senso di abbandono. Noi da parte nostra ci possiamo mettere tutta la buona volontà di ripopolare aree ai margini del territorio italiano, io per parte mia posso anche accollarmi tutti i disservizi, ma che dobbiamo fare quando anche davanti all’emergenza non c’è nessuno che parla di noi (per Tg e giornali è bruciata Pescara, attenzionata ovviamente in quanto centro urbano). Che dobbiamo fare se nessuno arriva ad aiutarci per salvare le case che restano ai margini e il patrimonio forestale, di cui beneficiano anche i grandi centri?”

Carenza di mezzi di intervento, vigili del fuoco sotto organico, un numero ridicolo di canadair (appena quindici!) a disposizione per l’intero territorio nazionale. Ma non è il solo spegnimento dei focolai attivi il problema. Di fronte ad un’emergenza che anno dopo anno diventa sempre più drammatica, nel nostro paese manca del tutto la prevenzione, che vuol dire sorveglianza, avvistamento, ma anche più in generale cura del territorio.

“A qualche ora di distanza dagli incendi che hanno funestato l’Abruzzo, la pelle puzza ancora di fumo” – racconta Andrea. “L’aria è acre, la cenere continua a svolazzare e si deposita sui vestiti, sulle auto, su ciò che resta del verde circostante. Il fuoco ha bruciato la campagna dove con Maura abbiamo scelto di vivere per fare dei nostri ideali una pratica quotidiana, ha bruciato i terreni dei vicini, la bella pineta che faceva parte della riserva naturale di Acquabella, perfino parte del cimitero militare canadese con la sua erba meravigliosamente curata che ora in alcuni tratti è una distesa di cenere. Abbiamo fatto quel che abbiamo potuto per limitare i danni, il fuoco era più forte delle azioni dei singoli

Non ho mai desiderato qualcuno come ieri è successo con i vigili del fuoco. Ma, per via dei continui roghi sparsi in tre province e dell’ignobile scempio del concetto di prevenzione che lo stato continua a portare impunemente avanti, non si è visto nessuno. In quella contrada dove finora ci eravamo limitati ai rapporti di buon vicinato, ieri ci siamo sentiti un po’ comunità, ci facevamo coraggio e ciascuno interveniva come poteva. Siamo andati via col cuore in fiamme, letteralmente. Non farò mai più metafore col fuoco”.

Cronache che non vorremmo mai più dover sentire. Emergenze ormai ricorrenti in risposta alle quali c’è bisogno di agire con prontezza; potenziando certo la macchina dei soccorsi, ma anche e soprattutto giocando d’anticipo.

Alle comunità dell’Abruzzo, come a quelle della Sardegna, della Sicilia e del resto del paese colpito drammaticamente dai roghi e dalle diverse, aggressive facce di un’emergenza climatica che sembra inarrestabile vanno tutti i nostri pensieri, la vicinanza, la rabbia, la solidarietà e il sostegno.

E, più forte che mai, l’impegno per lottare per la giustizia ambientale e climatica, per la tutela del territorio e i diritti di chi lo abita, esseri viventi umani e non.

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