La pace ha bisogno della tutela dell’ambiente
La distruzione dell’ambiente non è sempre solo una conseguenza dei conflitti armati ma un obiettivo miliare.
“La pace nel mondo dipende dalla difesa dell’ambiente”. Oggi più che mai le parole di Wangari Maathai, biologa kenyana, attivista e premio Nobel per la pace nel 2004 (di cui fu insignita per il suo importante contributo alla tutela dell’ambiente, alla democrazia e alla pace), suonano come un monito difronte a un Pianeta al collasso per mano dell’uomo. Sette dei nove indicatori dello stato di salute della Terra, noti come confini planetari, che fanno riferimento, ad esempio, al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità, al cambiamento dell’uso del suolo, all’utilizzo delle acque dolci, sono già stati superati. L’ultimo in ordine di tempo, come si legge nella nuova edizione del Planetary Health Check 2025, fa riferimento all’acidificazione degli oceani. Ad incidere sul superamento di queste soglie di sicurezza ci sono anche gli impatti ambientali e climatici di ben 59 conflitti attivi, il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale. Guardando al Sudan, dall’aprile del 2023, gli scontri tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e i ribelli del Rapid Support Forces (RSF) hanno provocato non solo una delle più gravi catastrofi umanitarie al mondo – circa 12 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, quasi metà della popolazione soffre per l’insicurezza alimentare e carestia – ma hanno anche prodotto danni ecologici che non si possono stimare, come la distruzione delle infrastrutture idriche. Ad amplificare le condizioni disperate del Sudan è la vulnerabilità climatica alla quale il Paese è esposto, Periodi prolungati di siccità e inondazioni peggiorano la sicurezza alimentare, la disponibilità d’acqua e aumentano il rischio di malattie. Nel 2024 sono stati 200.000 gli sfollati per cause climatiche, secondo le stime dell’IDCM, Internal Displacement Monitoring Centre.
La tutela dell’ambiente dovrebbe essere un buon motivo per non fare la guerra
Le catastrofi generate dai conflitti armati non sono solo umanitarie ma anche climatico-ambientale. Si tratta di due questioni che nei fatti non possono essere tenute separate, dato che i danni ecologici dei conflitti armati, inquinamento delle acque e dei suoli, distruzione della flora e della fauna, emissioni in atmosfera di gas serra, sono amplificatori per ulteriori catastrofi umanitarie presenti ma anche future. D’altra parte, il controllo delle risorse naturali è tra i fattori che alimentano i conflitti. L’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, ha dimostrato che negli ultimi 60 anni almeno il 40% di tutti i conflitti interni, per lo più in Asia, Sudamerica e Africa, erano collegati alla gestione e allo sfruttamento di risorse come suoli, acqua, petrolio, diamanti, legname e metalli. Le Nazioni Unite da decenni riconoscono la connessione tra la conservazione e la tutela delle risorse naturali e il mantenimento di una pace che possa essere duratura, dunque la necessità di inserire nelle più ampie strategie per la prevenzione dei conflitti anche la protezione dell’ambiente, tanto che dal 2001 è stata istituita la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato, celebrata in tutto il mondo il 6 novembre. Successivamente, il 27 maggio 2016 è arrivata, sempre da parte delle Nazioni Unite, l’adozione della Risoluzione UNEP/EA.2/Res.15, che ha riconosciuto il ruolo degli ecosistemi integri e delle risorse naturali gestite in modo sostenibile nella riduzione del rischio di conflitti armati.
La distruzione dell’ambiente come strategia militare
Ci sono conflitti in cui l’inquinamento dei suoli e delle risorse idriche, la distruzione delle foreste e dei raccolti, l’uccisione degli animali non sono delle conseguenze, bensì azioni messe in atto per costringere la popolazione a lasciare la propria terra, per affamarla o addirittura annientala. In questo si identifica il progetto di Israele di colonizzare e distruggere a Gaza la vita in tutte le sue forme. Un dato significativo, tra gli altri, è che l’esercito israeliano ha distrutto circa il 90% dei campi agricoli della Striscia di Gaza, un altro modo per affamare la popolazione. Dunque, il genocidio a Gaza diventa anche ecocidio.
Il termine ecocidio è stato coniato nel 1970 da Arthur Galston, biologo statunitense, per descrivere i danni prodotti dall’agente arancio utilizzato dagli americani nella guerra in Vietnam, tra le più lunghe e cruente del Novecento combattuta tra il 1955 e il 1975. Si tratta di un defoliante molto dannoso irrorato per distruggere le foreste e i raccolti, che ha reso non solo vaste aree del Paese sterili ma ha avuto effetti devastanti, anche a lungo termine, sulla popolazione, provocando malattie come il cancro, malformazioni e gravi patologie ancora oggi. Il conflitto in Vietnam è probabilmente considerato il primo esempio – nell’epoca moderna – in cui l’ambiente è diventato un obiettivo militare.
Nella direzione che questo reato possa sommarsi ai crimini di guerra, ai crimini contro l’umanità, al genocidio, di cui si occupa la Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja, nel 2021 un gruppo di esperti indipendenti, convocato dalla Stop Ecocide International, ha concordato intanto sulla definizione giuridica di ecocidio, ossia “atti illegali o sconsiderati compiuti con la consapevolezza di una significativa probabilità che tali atti causino danni all’ambiente gravi e diffusi o di lungo termine”. “Noi, nel Sud globale, stiamo assistendo a una massiccia distruzione dei sistemi naturali in nome dello sviluppo, contro la quale i sistemi giuridici nazionali non rispondono adeguatamente. Se non si proteggono le foreste, non si limitano le emissioni di gas serra e non si previene l’innalzamento del livello del mare, la prossima generazione dovrà disegnare le mappe del Bangladesh e di altri Paesi dell’Asia meridionale in modo diverso. Abbiamo bisogno del riconoscimento dell’ecocidio nel diritto internazionale, per difendere la Madre Terra, la natura e le generazioni presenti e future“, ha dichiarato Syeda Rizwana Hasan, Direttore dell’Associazione di diritto ambientale del Bangladesh.
Una pace duratura necessita di investimenti in sicurezza climatica e ambientale per prevenire perdite e danni futuri, ma anche evitare conflitti e movimenti forzati di persone, soprattutto nel Sud globale. Una condizione questa che però trova non pochi ostacoli nella governance globale. Emblematica è la posizione dell’amministrazione Trump sul fronte guerra e clima. Il Presidente americano se da un lato ha invocato di meritare il Nobel per la pace per aver messo fine, secondo le sue parole, a ben sette guerre (dato che nei fatti non trova riscontro), dall’altro ha chiesto di rinominare il dipartimento della Difesa americana in dipartimento della Guerra e spinge per un aumento della spesa militare da parte dei Paesi della NATO, in più ha sfilato gli Stati Uniti (come già fatto nel suo primo mandato) dall’Accordo sul clima di Parigi. È dunque chiaro in queste scelte l’ordine delle priorità, che va sottolineato non restano confinate negli Stati Uniti ma hanno un impatto su scala globale proprio per il peso che gli USA hanno rispetto all’asse guerra e clima, in quanto potenza militare e tra i maggiori inquinatori al mondo per emissioni di CO2. Inoltre, in linea con le sue posizioni, alla vigilia della 30ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP30), che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025, gli Stati Uniti hanno annunciato la loro assenza ai tavoli negoziali. Se per il Presidente Trump il riscaldamento globale è “la più grande truffa mai perpetrata al mondo”, come si legge su the Guardian, gruppi di attivisti statunitensi spingeranno per un’azione sul clima alla COP30, in quanto come loro stessi affermano “Trump non ci rappresenta”.
Il 6 novembre è la Giornata mondiale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato.
Anche quest’anno A Sud curerà una parte dell’Atlante delle Guerre. Leggi qui le edizioni passate.