I ventriloqui di Eni a Gela

Voluto da Enrico Mattei in persona alla fine degli anni ‘50, l’ex stabilimento petrolchimico di Gela è stato uno dei tasselli fondamentali del processo di industrializzazione della Sicilia.

Eppure a distanza di 60 anni dalla posa della prima pietra quello che rimane è una green refinery alimentata ad olio di palma, le bonifiche al palo a 21 anni dall’istituzione del Sin, e “un eccesso di rischio di patologie neoplastiche in età pediatrica con un’incidenza di tre volte l’atteso” (come accertato dallo studio Sentieri). Il ciclo di raffinazione ha chiuso nel 2014, e da allora la riconversione degli impianti è stata una narrazione che si è scontrata con la realtà. Andrea Turco, attivista di Gela e di A Sud Sicilia, ci ha raccontato cosa sta accadendo e cosa NON sta accadendo in questi giorni nel sito.

“Eni precisa che a oggi non è stato presentato dal Comune di Gela alcun progetto inerente la gestione dei rifiuti o per la costituzione di società”. La scarna nota con la quale il cane a sei zampe mette la parola fine ai sogni del sindaco Lucio Greco spiega ancora una volta chi davvero detta la linea in una città come quella siciliana, che dal 2014 attende ancora la riconversione industriale.

Vale la pena mettere in fila i fatti, almeno gli ultimi, per provare a capire il senso di smarrimento che la popolazione gelese nutre da più di cinque anni: da quando cioè Eni ha annunciato in maniera unilaterale la chiusura del ciclo di raffinazione, per poi promettere investimenti e impianti che in gran parte sono rimasti sulla carta.

E’ l’1 ottobre quando il sindaco Lucio Greco, espressione di una coalizione trasversale che va dal centrodestra al Pd sotto l’insegna dell’impegno civico, sfodera un colpo a sorpresa all’interno del dibattito in consiglio comunale. Si dovrebbe parlare di Ghelas, la municipalizzata che si occupa di vari servizi in città. L’azienda è in forte difficoltà economica, lo spettro del fallimento aleggia da tempo. Così il primo cittadino, chiamato a intervenire, rende noto un progetto al quale la sua giunta starebbe lavorando da tempo: trasferire l’intera gestione del servizio rifiuti a una società partecipata, pubblico-privata, composta da Ghelas ed Eni. Con la parte pubblica al 51 per cento e quella privata al 49 per cento. “La città deve ritornare coma la Macchitella degli anni ‘70 o ‘80” spiega il primo cittadino, facendo riferimento al quartiere fatto costruire dall’Eni che per anni è stato il fiore all’occhiello di Gela, almeno punto di vista del verde e del decoro urbano (prima di passare al Comune, con conseguente degrado).

“Si tratta di un progetto particolarmente ambizioso e avveniristico che nessun territorio della Regione siciliana ha ad oggi attuato – aggiunge l’amministrazione in una successiva nota – Tra gli obiettivi, oltre quello di migliorare il servizio di raccolta ed alzare i livelli di differenziata, ci sono anche quelli di puntare sulla pulizia e la cura del verde pubblico e l’abbassamento delle tasse per lo smaltimento dei rifiuti ai cittadini”.

Secca però arriva, appena il giorno dopo, la presa di distanza da parte del cane a sei zampe. Una smentita che non sorprende, visto che Eni non si è mai occupata – né in Italia né nel resto del mondo – di raccolta dei rifiuti urbani. Probabilmente il primo cittadino pensava di coinvolgere l’azienda dato l’avvio dell’impianto waste to fuel, che tratta la frazione organica dei rifiuti per trarne bio olio. Peccato che Eni si faccia portare l’umido da Ragusa. In ogni caso è plausibile pensare che la multinazionale energetica, avendo ampi spazi inutilizzati all’interno del perimetro dell’ex raffineria, avrebbe puntato su un inceneritore per smaltire i rifiuti accumulati e guadagnarci un profitto, come ha fatto per anni quando bruciava pet-coke (lo scarto della distillazione del petrolio) per alimentare la centrale termoelettrica e vendere ai privati quel che restava di quell’energia.

Quel che è certo è che ancora una volta la classe politica locale prova a tirare per la giacchetta Eni, provando a coinvolgerla in settori dove si riscontrano notevoli difficoltà. Il porto di Gela è insabbiato e inutilizzabile da più di dieci anni? Perché non proporre al cane a sei zampe di sobbarcarsi i costi dell’opera? Va in malora il progetto Ciliegino, che avrebbe dovuto essere il più grande parco agrofotovoltaico d’Europa? Ecco che spunta l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta (gelese anch’egli) e propone all’azienda di sobbarcarsi i costi dell’opera (250 milioni di euro). L’autostrada Siracusa-Gela resta la più grande e vecchia incompiuta del Continente (avrebbe dovuto essere pronta nel 1972)? L’ex presidente della provincia, il gelese Pino Federico, sosterrà a più riprese che dovrebbe essere Eni a sobbarcarsi i costi dell’opera.

E poco importa se rifiuti, strade e fotovoltaico non siano esattamente il core business di Eni.

Non sorprende perciò che il 2 ottobre a chiedere un’accelerata al governo centrale, affinché rilasci la proroga della Valutazione di Impatto Ambientale a Eni, insieme all’azienda ci sia un coro unico e che va dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori (CGIL-CISL-UIL e UGL), a Sincindustria e Lega di cooperative, fino all’amministrazione comunale.

“Senza il decreto autorizzativo – si apprende dalla nota – Gela ed il suo hinterland perdono una grande opportunità di rilancio economico grazie alla creazione di centinaia di posti di lavoro che andrebbero a dare una boccata d’ossigeno ad un territorio in ginocchio nel quale ENI è pronta ad avviare i lavori ed a fare investimenti. Un volano, dunque, per il territorio che da anni attende nuove occasioni di rilancio alle quali, oggi, non intende rinunciare per la mancanza di impegno di chi lo rappresenta”. Si parla di 880 milioni di euro di investimenti che andrebbero perduti e che riguarderebbero in grandissima parte il progetto Argo Cassiopea, ovvero le nuove trivellazioni che Eni vuole realizzare nel tratto di mare che va da Gela a Licata.

Ed è mistero sulla rettifica del documento in questione: pochi minuti dopo l’invio della nota il Comune di Gela rende noto che “non risultano firmatari i rappresentanti di ENI Eugenio Lo Pomo (AD Enimed) e Italo Gaglianò (Relazioni Industriali ENI)”. Perché il cane a sei zampe si smarca da queste richieste? Forse perché i ventriloqui a sua disposizione sono talmente tanti che non serve esporsi direttamente.

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