L’assemblea degli azionistə di Eni resta segreta, lontana da occhi critici. A Sud e l’Osservatorio Eni smascherano l’azienda: greenwashing, biocarburanti inefficaci e la falsa promessa della cattura della CO₂ non risolvono la crisi climatica.


Per il quinto anno consecutivo il cane a sei zampe non consente la partecipazione dal vivo all’assemblea degli azionisti. L’associazione A Sud, attraverso l’Osservatorio Eni, ha comunque presentato una serie di domande sui progetti dell’azienda, dando voce agli attivisti e ai comitati territoriali. Le risposte del cane a sei zampe non appaiono convincenti.

 

Le porte chiuse all’azionariato critico

C’È UN LUOGO IN ITALIA DOVE LA PANDEMIA di Covid-19 non è mai terminata. Quel luogo è il palazzo di Eni, nel quartiere Eur a Roma, dove da cinque anni l’azienda energetica più importante d’Italia svolge l’assemblea degli azionisti a porte chiuse, approfittando dal 2020 della facoltà opzionale, introdotta dal governo Conte I e poi prorogata da tutti i governi, di evitare l’assemblea di bilancio nella modalità fino a quel momento ordinaria, cioè a porte aperte.

Un colpo alla democrazia dell’azionariato critico

Inoltre con la legge n°21 del marzo 2024, più nota come Legge Capitali, è stata introdotta per le società quotate in borsa la figura del «rappresentante designato», che può essere nominato dallo statuto della società per gestire l’esercizio dei diritti dei soci in assemblea.

Queste due disposizioni riducono di molto gli spazi democratici per l’azionariato critico. Come spiega Fondazione Finanza Etica, tra le prime realtà a introdurre questa pratica in Italia, l’azionariato critico è una modalità in cui organizzazioni non governative o singole persone acquistano un numero simbolico di azioni di un’azienda per esercitare pressione e far valere le proprie istanze in merito a questioni etiche, sociali o ambientali, attraverso la presentazione di domande a cui l’azienda è obbligata a rispondere.

Vale la pena ricordare che sui diritti degli azionisti delle società quotate, lo scorso 8 maggio la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

Un’assemblea (poco) trasparente

ALL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI dello scorso 14 maggio, dunque, Eni, come molte altre aziende, ha approfittato della situazione avvantaggiandosi di questo contesto, dato che l’azionariato critico nei suoi confronti si è rivelato nel corso degli anni particolarmente battagliero e diffuso. Dal 2019 l’Osservatorio Eni studia per mesi i progetti industriali del cane a sei zampe e presenta domande precise tese a capire di più dei piani aziendali e a smontarne la propaganda green, aggiungendo alle sue domande le richieste provenienti dagli attivisti e dai comitati territoriali attivi nei territori dove Eni opera.

Risposte fumose e greenwashing

LE RISPOSTE FORNITE DAL COLOSSO energetico sono spesso evasive, piene di inglesismi e tecnicismi ma, sapendo leggere tra le righe, emerge la volontà di un’azienda che continua a puntare su petrolio e gas, principali responsabili della crisi climatica in atto, e che più in generale continua a sostenere un modello industriale estrattivista e orientato alla distribuzione dei dividendi più che alla salute del pianeta e delle persone.

Biocarburanti: un trucco sporco

LO SI VEDE AD ESEMPIO CON LA FILIERA dei biocarburanti, cioè l’escamotage col quale l’Italia ed Eni intendono mantenere in vita i mezzi di trasporto col motore a combustione (benzina, diesel, metano, gpl). La filiera dei biocarburanti costruita dal cane a sei zampe, e recentemente finanziata con il Fondo Italiano per il Clima dal governo Meloni per un importo di 75 milioni di euro (il primo impegno economico del Piano Mattei), è da mal di testa: è la stessa azienda a scrivere di importare «in Kenya semi oleaginosi per la quasi totalità da altri paesi della regione sub-sahariana», poi questi semi vengono lavorati presso l’agrihub di Bonje dove diventano oli che vengono poi portati al porto di Mombasa e da qui spediti presso le bioraffinerie di Gela e Porto Marghera, dalle quali infine si ottengono i biocarburanti che vengono distribuiti presso le stazioni di rifornimento per le auto o presso i maggiori aeroporti italiani.
Non va meglio con un altro mega progetto sul quale Eni punta fortemente, vale a dire l’impianto per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica in fase di realizzazione a Ravenna.

CCS a Ravenna: un favore alle imprese

LO SCOPO DEL CANE A SEI ZAMPE è di offrire un servizio alle aziende del Nord Italia, come dimostrerebbe, scrive l’azienda, un’indagine di mercato «lanciata da Eni e Snam a febbraio 2024 e conclusa a maggio 2024» che aveva proprio lo scopo di «testare l’interesse del mercato italiano per il trasporto e lo stoccaggio della CO2 presso il sito di Ravenna, tramite la raccolta di manifestazioni di interesse non vincolanti. I risultati dell’indagine hanno confermato un forte interesse».

Accordi non vincolanti, emissioni garantite

INOLTRE «ENI HA sottoscritto più di 30 accordi non vincolanti con potenziali emettitori che hanno manifestato interesse per Ravenna CCS nell’ottica di decarbonizzare i propri impianti industriali. Tra gli emettitori vi sono soprattutto industrie hard to abate (tra cui cementifici, acciaierie, chimica, termovalorizzatori)». L’azienda stima addirittura che «nella sua massima configurazione Ravenna CCS potrebbe contribuire all’abbattimento di fino al 24% delle emissioni dell’industria HTA».
A entrambi questi progetti – biocarburanti e CCS – l’Osservatorio Eni ha dedicato due dossier (gratuitamente scaricabili dal sito www.asud.net) definendoli per quello che sono: «false soluzioni» alla crisi climatica.

Versalis: la chimera della riconversione

PERPLESSITÀ ANCHE SULL’ANNUNCIATA riconversione di Versalis, l’azienda di Eni che si occupa della chimica: dopo gli annunci di ottobre 2024 sulla chiusura degli impianti cracking di Brindisi e Priolo e dell’impianto di polietilene a Ragusa, adesso Eni promette una vaga «reversibilità della fermata degli impianti di Brindisi» e «una serie di iniziative anche industriali nel sito di Ragusa».
Il timore dei sindacati, soprattutto della Cgil, è che per le aziende dell’indotto accada ciò che è accaduto dieci anni fa con la riconversione delle raffinerie italiane in bioraffinerie, coi lavoratori licenziati o parcheggiati per anni in cassa integrazione.

La stessa vecchia storia

È LA STESSA ENI A RIVENDICARE quel modello di riconversione delle bioraffinerie, che intende ora estendere anche a Livorno e Sannazzaro, come riferimento per la riconversione degli impianti di Versalis.
Un’intenzione che desta non poca preoccupazione per territori e sindacati e su cui non è dato ottenere le delucidazioni richieste.
Alla faccia della trasparenza.


Per saperne di più visita Osservatorio Eni, l’osservatorio permanente monitora le attività di esplorazione, estrazione e trasformazione delle fonti fossili.

Osservatorio Eni è sostenuto dai fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese e dal Patagonia International Grants Program.

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