Appello a Cop25: gli sfollati del clima vanno risarciti

Cop25: Solo nel 2018 17,2 milioni di persone in fuga. La maggior parte da Paesi che non hanno colpe per il riscaldamento globale.

Quando mitigazioni e adattamento ai cambiamenti climatici non bastano i governi più poveri del mondo, capitanati dai piccoli stati insulari, chiedono una risposta concreta per il risarcimento dei danni subiti dal caos climatico che deve considerare anche il controverso legame tra clima e migrazione.

Sui tavoli della Cop25 tra i temi caldi i governi portano il Meccanismo di Varsavia per il Loss and Damage (Wim). Non si tratta di un tema nuovo, tutt’altro, sono ormai decenni che nel corso dei negoziati sul clima si cerca di trovare una soluzione sul meccanismo per risarcire i danni e le perdite causate dal cambiamento climatico. Una questione che preme soprattutto i Paesi del Sud del mondo maggiormente colpiti dagli effetti dell’aumento delle temperature, dalla crisi alimentare legata alla siccità e ai disastri naturali connessi alle variazioni repentine del clima o ancora dai conflitti che sempre più frequentemente ne derivano.

Una delle conseguenze sociali più drammatiche connesse al caos climatico riguarda il crescente fenomeno delle migrazioni climatiche. Il legame tra clima e migrazione forzata è confermato ormai anche dalla comunità scientifica e non può più essere ignorato dalle politiche per il clima. Gli ultimi tre rapporti dell’Ipcc, il gruppo di scienziati che su mandato dell’Onu studia il cambiamento climatico, («Oceani e Criosfera», «Cambiamento climatico e territorio» e «Raport speciale 1.5°C) fanno riferimento agli impatti dei cambiamenti climatici sulla mobilità umana.

In questi giorni a Madrid si sta dibattendo se rendere vincolanti nell’accordo finale della Cop i due rapporti dell’Ipcc «Oceani e Criosfera» e «Cambiamento climatico e territorio». Ed è proprio sui termini «Dare il benvenuto» o «accogliere» che si sta discutendo. I migranti del clima sono il segno tangibile dell’interconnessione tra giustizia ambientale e sociale, tra crisi climatica ed economica; risultato di un modello di sviluppo che, in nome della crescita illimitata, infrange pericolosamente i limiti ecologici del Pianeta insieme a quelli della giustizia sociale e intergenerazionale.

I dati confermano quanto appena detto. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc) solo nel 2018 gli sfollati a causa di calamità naturali, principalmente collegate a eventi climatici estremi, sono stati 17,2 milioni, più degli sfollati per cause legate a conflitti e violenza (10,8 milioni). Filippine, Cina e India sono tra i Paesi che hanno registrato il numero più alto di sfollati (circa il 60%). Numeri record per quest’anno arrivano sempre dall’Idmc, solo nei primi sei mesi dell’anno sono stati contatati 7 milioni di persone in fuga a causa di 950 eventi metereologici estremi. Complessivamente nell’ultimo decennio sono stati 265,3 milioni gli sfollati ambientali.

Significativo resta il fatto che anche nel 2018 al quarto posto dei Paesi più colpiti da disastri ambientali si posizionano gli Usa, a conferma che nessun Paese ormai è al sicuro, nemmeno quelli a economia avanzata. Va considerato però, come afferma Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sulla povertà, che i ricchi hanno più strumenti per contrastare il riscaldamento globale, mentre i poveri saranno sempre più esposti a fame, malattie, disastri naturali e conflitti. Una polarizzazione del mondo a causa del riscaldamento globale che Alston definisce, con un’espressione forte e significativa per i nostri tempi, «apartheid climatico». A pagare il costo più alto sono paradossalmente gli Stati che meno hanno contribuito all’innalzamento della temperatura globale.

Sono questi stessi Paesi, con l’appoggio di molti attivisti, che a Madrid stanno facendo pressione affinché la questione dei danni provocati dai cambiamenti climatici, che in alcune zone del sud del mondo stanno diventando cronici, trovi una soluzione vantaggiosa per le popolazioni più colpite dalle catastrofi climatiche. Il loss and damage, di fronte al faticoso ingranaggio degli interventi di mitigazione e alla difficoltà di mettere in campo strategie di adattamento efficaci per impedire che i cambiamenti climatici distruggano vite umane e mezzi di sussistenza, diventa quindi un tema chiave.

Intanto alla Cop25 si lavora per stabilire una qualche forma di strumento per il finanziamento di perdite e danni. Un punto di disaccordo al momento è rappresentato dal possibile ingresso del settore privato nella questione del loss and damage, un aspetto che vede chiaramente i Paesi in via di sviluppo insieme alle comunità indigene in disaccordo, mentre cercano di imporsi affinché siano i governi a risarcire i danni causati dalla crisi climatica.

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