Chiediamo informazione e partecipazione sulle politiche energetiche e climatiche
L’Italia viola il diritto alla partecipazione nell’elaborazione del PNIEC: A Sud fa appello alla Convenzione di Aarhus
Non solo l’insufficienza delle politiche climatiche, ma anche l’inadeguatezza dei processi partecipativi è tra i motivi per i quali abbiamo deciso di portare lo Stato in tribunale con l’azione legale climatica e la campagna Giudizio Universale: fare causa per invertire il processo.
È una questione sia di merito che di metodo.
Il presupposto è che le politiche energetiche del nostro paese non sono adeguate alla sfida posta dal collasso climatico in atto. Il PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima: pubblicato nel gennaio 2020, propone misure che porterebbero l’Italia ad una riduzione delle emissioni di gas serra ben al di sotto di quanto necessario per rispettare gli impegni presi a Parigi.
Ma anche sul metodo, i conti non tornano. L’aggiornamento del PNIEC, ora in via di valutazione presso la Commissione Europea, ha previsto sin qui procedure di consultazione pubblica che negano il diritto a partecipare all’elaborazione della proposta.
A differenza di molti stati europei, l’Italia non ha una legge quadro sul clima; di conseguenza il PNIEC riveste particolare centralità nella definizione delle politiche climatiche e rappresenta un ambito prioritario di partecipazione, tutelato dalla Convenzione di Aarhus. Questa Convenzione internazionale, firmata in Danimarca nel 1998, ratificata da 47 paesi tra cui l’Italia ed entrata in vigore nel 2001, tutela l’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Ogni Stato firmatario deve “garantire che la società civile abbia opportunità tempestive ed effettive di partecipare al processo decisionale relativo a piani o programmi in materia ambientale prima della sua adozione“.
Un dovere che riteniamo non sia stato rispettato nel caso del PNIEC trasformandosi nella violazione di un diritto riconosciuto e tutelato dal nostro ordinamento.
Il MASE – Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica, senza rendere pubblica la bozza di proposta, ha invitato società civile e soggetti interessati a rispondere a un questionario a risposta multipla sui temi del piano, limitando il tempo disponibile a soli 21 giorni. Secondo il MASE “il set di domande a risposta multipla è in linea con la normativa europea che chiede agli stati membri di offrire al pubblico tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alla elaborazione del PNIEC”. Nei fatti il Ministero non ha garantito né reali processi partecipativi né un’adeguata informazione non mettendo a disposizione tempestivamente e adeguatamente il testo della proposta: la bozza è stata resa pubblica soltanto successivamente, il 19 luglio, dopo la sua trasmissione alla Commissione Europea.
Per questo ci siamo appellate alla Convenzione di Aarhus presentando una comunicazione nella quale denunciamo la violazione del diritto all’informazione e alla partecipazione: la mancata trasparenza nelle informazioni (la mancata pubblicazione della bozza o di dati aperti sul Pniec) e l’assenza di processi partecipativi hanno privato la cittadinanza degli strumenti utili per conoscere e dunque partecipare alla stesura di uno dei documenti più importanti a livello di politiche energetiche del nostro Paese.
Oggi, 19 settembre, abbiamo partecipato all’open session del Comitato di Controllo della Convenzione Aarhus presentando la nostra comunicazione, per discutere della sua ammissibilità e avendo l’opportunità di confrontarci con rappresentanti del MASE. La decisione sarà resa nota nei prossimi giorni.
Si tratta dell’ennesima iniziativa che la strutturale mancanza di processi partecipativi che caratterizza l’azione delle istituzioni nazionali ci impone di adottare per vedere rispettato il sacrosanto diritto a conoscere e a partecipare all’adozione di politiche da cui dipende il nostro futuro.
Tutto ciò mentre ancora non archiviamo un’estate estrema per temperature e eventi climatici, con disastri che continuano a susseguirsi nel Mediterraneo, dalla Bulgaria, alla Grecia, fino in Libia, dove nei giorni scorsi l’uragano Daniel ha provocato più di 6000 morti.