Il 25 novembre: opposizione e resistenza

Il 25 novembre di ogni anno, donne e persone trans* di tutto il mondo si uniscono in una voce collettiva per commemorare la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne. 

Quest’anno la mobilitazione, alimentata dagli ultimi femminicidi avvenuti, in particolare quello di Giulia Cecchettin, ha invaso le strade di diverse città italiane con folle oceaniche di donne, uomini, persone trans*, bambini e bambine.

 

Come A Sud siamo scese in piazza a Roma perché crediamo che l’atto politico di riunirsi per questa giornata non sia solo una manifestazione di opposizione contro la violenza perpetrata contro le donne*, ma è anche un urlo di resistenza contro le strutture patriarcali radicate nella società. Questa giornata è stata per noi un richiamo a un impegno collettivo per eliminare gli stereotipi di genere, le disuguaglianze e la cultura che perpetua la violenza.

Per le nostre sorelle

La manifestazione, particolarmente sentita, ha alternato momenti di rabbia, festa e molta commozione nel ricordare le nostre sorelle* vittime del sistema. Abbiamo fatto rumore, invece che minuti di silenzio, come ci è stato chiesto da Elena Cecchettin.

E noi rumore lo abbiamo fatto, ricordando Giulia Cecchettin, Giulia Tramontano, Meena Kumari, e le altre 107 donne e soggettività trans* uccise dall’inizio dell’anno in Italia. 

Abbiamo ricordato le morte palestinesi, vittime del colonialismo, massima espressione sistemica del machismo. Alle donne* su cui ricade il ruolo di cura anche sotto le bombe, costrette a lasciare le loro case, e quelle la cui condizione domestica già precaria sia stata peggiorata dall’aggressione di Israele.

Siamo scese in piazza per le persone trans e lesbiche, le donne* razzializzate, le donne* disabili, che vivono in condizioni di povertà estrema che subiscono diversi livelli di oppressione e violenza, interconnessi e spesso fatali.

Abbiamo ricordato l’importanza di presidi contro la violenza di genere come Lucha y Siesta, da anni sotto attacco da parte delle istituzioni, ora a rischio sgombero dalla giunta regionale Rocca, nonostante l’ATAC, proprietario dell’immobile si sia ritirato come parte civile del processo intentato contro la casa delle donne*. Assurdo se si pensa alla necessità di luoghi di accoglienza, supporto psicologico e legale per le donne* in uscita da situazioni di violenza.

C’è bisogno di azioni concrete: educazione all’affettività sin dall’infanzia

Quella del corteo è stata una chiamata all’azione per le istituzioni, i governi, la società e gli uomini tutti. Abbiamo richiesto una risposta concreta e impegnata per affrontare le radici della violenza di genere: risorse adeguate per le vittime e programmi educativi che promuovano la consapevolezza e l’uguaglianza di genere.


Come comunità educante abbiamo riflettuto sull’importanza di percorsi di formazione sin dalle elementari ai bambini e le bambine riguardo il sesso e l’affettività, il consenso e il rispetto dei corpi altrui.
Educare all’affettività significa introdurre e sviluppare competenze emotive e relazionali nelle persone, fornendo loro gli strumenti necessari per comprendere, gestire e relazionarsi in modo sano con le proprie emozioni e con le persone altre. Questo tipo di educazione va oltre la semplice condanna della violenza di genere e si concentra sulla formazione di individui empatici, rispettosi del consenso e dei corpi e consapevoli.

 

Per questo crediamo che le linee guida proposte dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara non siano sufficienti: il piano è infatti destinato unicamente agli studenti e alle studentesse delle scuole superiori e consiste in un corso extracurricolare di 12 incontri, un’ora a settimana per tre mesi, e affronterà temi legati alla violenza sulle donne*, come il consenso e l’importanza della denuncia.
L’educazione sesso-affettiva non può però essere relegata a corsi facoltativi oltre l’orario scolastico, ma dev’essere un percorso essenziale per tutti e tutte, sin dalle elementari.
Il programma di educazione alle relazioni proposto dovrebbe essere concepito come un processo educativo continuo che inizia fin dalla più giovane età e si estende per l’intero percorso scolastico. Questo tipo di programma dovrebbe mirare non solo a prevenire la violenza, ma promuovere anche una formazione emotiva e sociale più ampia, contribuendo a sviluppare una comprensione profonda delle relazioni umane e delle emozioni.

 

Questa esigenza ci è stata posta da genitor3 e comunità educante anche durante un tavolo di co-progettazione portato avanti alla Casa del Custode di Tor Pignattara, Roma, per il progetto Innesti di Comunità: il bisogno di iniziare un percorso formativo per bambin3, adult3 del quartiere e docenti all’affettività e al contrasto della violenza e discriminazione di genere, che possa fornire a tutta la comunità strumenti per creare spazi sicuri e persone consapevoli.


Questa iniziativa in partenza a gennaio, si inserirà in un percorso in continuo movimento che come A Sud abbiamo deciso di intraprendere, ovvero quello di creare processi di educazione ecologista che sappiano tenere conto delle differenze e della prospettiva di genere nelle aule. Al di là dei programmi educativi infatti per noi ogni classe è una piccola comunità che va educata al pensiero critico e alle idee libere da pregiudizi, stereotipi e discriminazioni di genere. Le aule, lungi dall’essere un luogo neutro, sono luoghi di formazione relazionali, dei veri e propri ecosistemi dove i saperi, le pratiche, le identità e le percezioni di persone docenti e alunnə interagiscono. Per questo motivo vogliamo che ogni laboratorio, corso di formazione o progetto che proponiamo tenga conto delle molteplici dinamiche di genere e delle rispettive specificità di comunità. E sempre per le stesse motivazioni ci sembra fondamentale che all’interno della nostra associazione ci siano momenti di autoformazione che aiutino a far crescere le nostre riflessioni per sperimentare nuove pratiche nelle classi. Già da mesi abbiamo deciso di percorrere questo viaggio di formazione educativa con l’aiuto di meravigliose compagnə che ci stanno aiutando a trovare le giuste coordinate per la decostruzione di tutte quelle pratiche e pensieri che riproducono le gerarchie di genere. 

 

In particolare ringraziamo il collettivo Scosse, un’associazione che realizza e sostiene attività e politiche per le pari opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere e di orientamento sessuale, lavorando nelle scuole con bambin3 e persone docenti. Come loro stesse affermano “educare all’empatia, al consenso, alle emozioni e alle relazioni durante tutto il ciclo della vita educativa e scolastica è il modo più lungimirante che una società può darsi per prevenire l’esclusione sociale, la discriminazione e la violenza in tutte le sue forme e favorire la creazione di relazioni positive e paritarie, per abbattere l’odio verso chiunque sia portatore o portatrice di una qualche diversità rispetto al nostro modo di essere (SCOSSE, 2021, p. 25)”. 

 

Ecco allora che qualche settimana fa abbiamo avuto l’occasione di praticare un laboratorio di formazione per la decostruzione degli stereotipi, pregiudizi e discriminazioni di genere che vengono naturalizzati attraverso il linguaggio e le immagini. In particolare ci siamo concentrat3 sugli albi illustrati e sui racconti per bambin3, all’interno dei quali vengono spesso proposte storie ed immagini dove gli stereotipi sui ruoli e identità di genere sono ancora fin troppo presenti. Dai colori utilizzati per distinguere i maschi dalle femmine, ai ruoli che ricopre la figura della mamma e del papà (e in generale della famiglia), passando per la miriade di comportamenti ed emozioni strutturati in maniera binaria e discriminatoria, queste storie bloccano l’immaginazione confinando dentro ordinati perimetri sessisti ogni possibilità per bambin3 di desiderare ed essere se stess3. Ma gli albi e i racconti possono essere anche luoghi di sperimentazione, nei quali la potenza dell’illustrazione e delle parole apre nuovi immaginari liberi dagli stereotipi. Le riflessioni e le proposte formative nate dal laboratorio sono per noi quindi semi preziosi che ci auguriamo di poter coltivare insieme allə bambinə nei nostri progetti futuri. 

 

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