Il design thinking per l'attivismo ecologista
Per una settimana insieme ad attiviste e attivisti per il clima provenienti da 3 paesi diversi abbiamo condiviso riflessioni e momenti di crescita in Francia
Occasione dell’incontro il progetto “Luoghi Terzi Climatici” delle associazioni ASud, REPER21 (Romania), Canopée (Francia) finanziato dall’Unione Europea.
Questo progetto, tra le altre cose, ci ha permesso di condividere la necessità e l’urgenza di riflettere, confrontarsi e mettere in discussione il modo con cui tradizionalmente comunichiamo e parliamo di crisi ambientale e cambiamenti climatici.
Le nostre riflessioni hanno preso avvio da due considerazioni: portare i temi della crisi ambientale e climatica lì dove generalmente questi temi non sono affrontati e probabilmente non percepiti come urgenti e farlo in modo innovativo, rompendo gli schemi comunicativi che fin qui hanno determinazione le nostre azioni e connotato il nostro linguaggio.
I luoghi che abbiamo scelto sono quelli che la letteratura definisce i “terzi luoghi”: termine che deriva dal mondo anglosassone, coniato nel 1989 da Ray Oldenburg che nel libro “The great good place” parla di “posti/spazi terzi” come distinti da casa (primo) e lavoro (secondo) riferendosi a bar, pub, locali, parrucchieri, biblioteche, centri religiosi, centri sportivi, parchi.
Questi luoghi hanno un grandissimo potenziale in termini di attivazione civica e spesso infatti sono luoghi intorno ai quali le comunità si attivano spontaneamente per affrontare sfide più o meno locali legate a bisogni sociali di diversa natura e origine.
Riflettere su come portare i nostri temi in questi luoghi è stata la sfida di questa settimana e lo strumento che ci siamo date è quello del design thinking. Le nostre riflessioni sono state condivise e approfondite insieme a chi ogni giorno vive questi spazi e che come noi crede nell’urgenza di dover parlare di cambiamenti climatici e crisi ambientale.
Questa doppia prospettiva ci ha permesso di arricchire i discorsi e assumere una prospettiva in grado di costruire soluzioni centrate sui luoghi e sulle persone.
Il design thinking più che una metodologia è infatti un processo che permette di ideare soluzioni innovative centrate sulla persona e che permette agli ideatori dell’azione/prodotto di cambiare prospettiva, scardinando quei costrutti mentali che spesso portano a parlare con lo stesso linguaggio a persone molto diverse per bisogni, estrazione sociale, culturale ed economica dando per scontato che tutte e tutti possano sviluppare consapevolezza climatica e ambientale sulla base delle stesse informazioni. Probabilmente non tutte le persone e le comunità saranno interessate a conoscere i rapporti dell’IPCC o le soluzioni immaginate dai governi per far fronte al cambiamento climatico, ma certamente tutte le comunità saranno interessate a conoscere come i loro problemi concreti (raccolta differenziata, inquinamento, siccità…) siano connessi a queste crisi e come sia possibile immaginare soluzioni e alternative concrete.
La sfida che ci siamo poste è stata la seguente: come possiamo parlare e creare desiderabilità intorno ai temi della crisi ambientale e climatica in questi luoghi?
La soluzione che abbiamo immaginato è legare i nostri temi ai bisogni concreti che le persone vivono e far emergere le connessioni tra questi bisogni e i problemi ambientali e climatici.
Per farlo è necessario partire dall’analisi empatica del contesto e dei destinatari/fruitori dell’azione o del prodotto, con un lavoro di immersione in situ, che permette al designer di assumere il punto di vista dell’altro e scardinare i propri costrutti mentali.
Abbiamo quindi esplorato le diverse tecniche che ci permettono di assumere punti di vista differenti mettendoci nei panni altrui per poi definire bisogni e priorità. Una volta identificato il problema prende avvio la fase di ideazione in cui vengono coinvolte competenze diverse con lo scopo di definire un prototipo di azione in grado di rispondere ad un bisogno concreto e insieme far emergere le connessioni tra tale bisogno e le problematiche connesse alla crisi ambientale e climatica. Il prototipo viene quindi portato nei nostri luoghi che divengono “luoghi terzi climatici” e testato per poi eventualmente tornare alla prima fase di esplorazione empatica per rivedere il lavoro o correggerlo in parte.
Ci sembra molto interessante questa duplice possibilità che il design thinking mette a disposizione: allenarsi in un lavoro che costringe a cambiare prospettiva sulle cose e lavorare per far emergere le relazioni di causa ed effetto tra il sistema politico economico attuale e la crisi ambientale e climatica.
Questo lavoro non coinvolge solo il designer ma anche il destinatario del prodotto/azione che sarà coinvolto in un’esperienza in grado di farlo riflettere su questi legami e sulla possibilità di risolvere bisogni concreti in un’ottica circolare ed ecosistemica.
Mettere in luce queste connessioni, esplorare le dinamiche di sfruttamento, produzione e consumo dell’attuale sistema è la sfida che ci poniamo sia quando ci rivolgiamo agli adulti sia quando parliamo ai giovani o ai bambini e le bambine.
Immaginare nuovi modi di parlare di questi temi è un esercizio in grado di trasmettere e facilitare la possibilità di immaginare modi diversi di vivere che pongano al centro del nostro agire persone e comunità piuttosto che interessi economici e dinamiche di potere.
Una riflessione che ci ha spinte a rivedere il nostro modo di agire e fare ecologismo politico, come sempre partendo dalle comunità e dalle persone, ma con uno strumento in più che siamo fiduciose ci permetterà di costruire ogni giorno quel legame profondo tra persone e ambiente che crediamo sia alla base di una trasformazione più che mai necessaria e urgente.
Scorpi di più sul progetto Luoghi Terzi Climatici