La giornata internazionale dell’educazione: intervista a Erica Silvestri

Il 24 Gennaio 2024 si festeggia la sesta edizione della Giornata Internazionale dell’Educazione, indetta dall’UNESCO. Quest’anno il tema centrale della giornata è “L’educazione a una pace duratura”, volendo sottolineare il ruolo cruciale che l’istruzione e l3 insegnanti svolgono nel contrastare l’incitamento all’odio e alla violenza, sia politica che nei rapporti interpersonali.  

I luoghi educativi e di istruzione sono infatti nodi cruciali per offrire opportunità di confronto e di affrontare le cause profonde dell’incitamento all’odio e per sensibilizzare ragazz3 di tutte le età sulle sue forme e conseguenze. Le figure educative sono quindi inviate a facilitare spazi e tempi stimolanti, fornendo e allenando le competenze necessarie per riconoscere e rispondere all’odio e all’ingiustizia, preparando a rispettare il valore della diversità e dei diritti umani e indirizzando a riconoscere la differenza tra incitamento all’odio e libertà di espressione, di cui vengono spesso date definizioni fuorvianti o errate nei canali di informazione principali.

In occasione della giornata, A sud ha deciso di intervistare Erica Silvestri, illustratrice e educatrice romana, per discutere del suo libro per bambin3 “Il mio nome è Amal”. Raccontando attraverso le illustrazioni e la voce di Amal la storia della Palestina, crediamo che il libro sia un ottimo antidoto a tutte quelle narrazioni che stanno contribuendo ad incitare discorsi d’odio nei confronti del popolo palestinese, legittimando la guerra e il genocidio in corso. Inoltre, la struttura del libro offre la possibilità, anche attraverso immagini e giochi, di sperimentare metodi di educazione alternativi ed esperienziali che contribuiscono ad una presa di coscienza duratura da parte dell3 bambin3, contro ogni guerra ed ingiustizia nel mondo. Infatti, parlare di un conflitto e delle sue specificità può offrire ad educatric3 ed insegnati un ottimo punto di partenza per mostrare all3 bambin3 gli effetti di tutti i conflitti armati e l’importanza di costruire comunità resistenti, libere dalla guerra e dove i diritti di tutt3 siano rispettati. 

In rapporto all’educazione, che utilizzo può avere questo libro per far parlare della questione palestinese?

Questo libro può far parlare della questione palestinese nelle scuole perché è stato appositamente pensato per raccontare all3 più piccol3 una storia che non conoscono ma che, pur essendo al di là del Mediterraneo, è possibile sentire vicina.

L’idea è stata quella di spiegare una questione complessa con parole semplici. Inoltre è un libro illustrato: proprio le illustrazioni credo siano in grado di aiutare l3 bambin3 a capire cos’è la Palestina e a incuriosirsi rispetto a questo luogo.

Il libro è scritto in lingua araba e si legge da destra verso sinistra, proprio come le lingue arabe. Non siamo abituat3 in Occidente a questo tipo di lettura. Ci vuoi raccontare la struttura del libro e perché l’hai pensata così? Come hanno reagito l3 lettric3 e per quale pubblico l’hai pensato?

Innanzitutto ci tengo a dire che è scritto anche in arabo grazie all’aiuto di alcun3 giovani palestinesi che vivono nella città di Roma e che hanno voluto tradurlo per me. La scelta della lingua è stata adottata per cercare di stare vicino a quella cultura, in modo da poter rivolgere il racconto sia alle persone che parlano italiano, sia al popolo palestinese di cui volevo raccontare la storia.

Il libro si legge da destra verso sinistra anche perché l’intento è quello di tornare indietro nel tempo, andando a togliere i pezzi dell’occupazione israeliana. Essendo un libro fisicamente fustellato, si compie inoltre un’importate procedimento, ovvero quello di togliere i carri armati, le ruspe, le colonie, i muri che sono stati costruiti per separare la popolazione palestinese, nonché tutti quei pezzi dell’occupazione che affliggono il popolo palestinese da più di 75 anni. Questo processo di ritorno al passato, togliendo pezzi di occupazione, si sposa con il voler rispettare la modalità di lettura e la cultura araba. 

Questa maniera di leggere, da destra a sinistra, è piaciuta molto: quando l3 bambin3 si trovano davanti un libro che qualcuno definirebbe “scritto al contrario”, quando è semplicemente una modalità diversa di scrittura appartenente alla lingua araba, ne rimangono sorpresi. È quindi una cosa che invoglia e incuriosisce, quindi per questo credo funzioni.

Il libro è stato pensato per un pubblico di fascia elementare. Tuttavia, credo possa interagire bene anche con bambin3 e ragazz3 più grandi. Infatti, per chi non conosce la storia della Palestina, pur essendo un libro molto semplice può lasciare dietro di sé la voglia di approfondire e riflettere.

Ed è pensato anche per un pubblico adulto?

Secondo me sì. Credo infatti che tutti i libri illustrati siano anche per gli adulti, perché sono opere che comunque aiutano a sognare e immaginare. Da illustratrice, è quello che spero. Inoltre, ci sono anche molti adulti che non conoscono la storia della Palestina ed il libro è stato pensato per diffonderla il più possibile, quindi è proprio stato scritto e disegnato per tutt3!

Il libro è riuscito a dialogare nei contesti educativi? Quali sono state le reazioni all’interno delle scuole? 

Ho avuto la fortuna di portare questo libro in alcune scuole elementari del territorio di Roma e del territorio abruzzese. Sono state esperienze davvero molto interessanti. Innanzitutto, sono stata chiamata in contesti in cui erano presenti insegnanti e docenti lungimiranti che, anche prima degli eventi del 7 Ottobre, avevano voglia di approfondire la questione insieme alla classe.

Sicuramente sono l3 bambin3 di terza, quarta e quinta elementare quell3 che riescono a dialogare meglio con il libro, perché hanno già la capacità di capire la profondità di questo conflitto e di quello che che può succedere in Palestina. Molti di loro hanno sentito parlare di Palestina solo a catechismo e a volte, anche se giusto negli ultimi tempi, nei telegiornali. 

Sono felice di dire che l3 bambin3 di lingua araba hanno accolto il libro in maniera molto entusiasta: era magnifico vedere, in contesti dove si deve scrivere e parlare solo in italiano, che ci fossero bambin3 che potevano leggere nella loro lingua il libro davanti alla classe. Era inoltre molto bello vedere che il resto della classe riconoscesse questo ruolo e queste capacità all3 bambin3 che leggevano in arabo. C’è stata quindi una sorta di scambio molto positivo tra tutt3 l3 presenti. 

Alla fine del libro è presente anche un gioco dell’oca con riferimenti che aiutano ad approfondire la storia della Palestina, come l’hanno affrontato l3 bambin3? 

Il gioco dell’oca è stato accolto molto positivamente, essendo, appunto, un gioco! Nelle aule utilizzo una versione più grande, che permette a tutta la classe di partecipare al gioco anche fisicamente. Questo è molto significativo, perché su ogni casella ci si sofferma a raccontare la storia di una specifica rappresentazione. Ad esempio, cosa c’è dietro la casella dell’asino? E dietro quella della fionda e di Handala? Sono piccoli frammenti di Palestina che rimangono all3 bambin3, rimanendo poi fisicamente in aula. Lascio infatti ogni volta i libri alla biblioteca scolastica e alla classe stessa, in modo che possano continuare ad approfondire e comprendere la storia della Palestina.

Un immagine del gioco dell’oca presente nel libro

Parte del ricavato del libro andrà a sostegno del centro culturale Amal Al Mustaklab, nel campo profughi palestinese di Aida. Vuoi raccontarci il perché della scelta? 

Amal Al Mustaklab è un centro culturale per bambin3 che si trova nel campo profughi di Aida, vicino a Betlemme. Si tratta di un posto molto importante perché, come tanti altri campi profughi della West Bank, è uno dei luoghi dove l3 palestinesi sono stat3 costrett3 ad andare a vivere nel 1948, dopo essere stat3 privat3 delle loro terre e delle loro case. Sono quindi luoghi di grande povertà, sovraffollati e circondati totalmente da un muro alto otto metri, con una sola entrata, accessibile tramite un check point. L’uscita dei residenti del campo è del tutto arbitraria e gestita da soldat3 dell’esercito isrealiano. Per queste ragioni sono luoghi in cui è presente molta sofferenza ma allo stesso tempo molta forza e voglia di lottare. 

Ho avuto la possibilità di conoscere in prima persona il campo e il centro culturale per bambin3, per questo ho voluto sostenerlo con questo libro. Il titolo prende il nome dal centro, “Amal”, che significa speranza per il futuro, ed è proprio dedicato a loro. 

è importante ricordare che in questi ultimi mesi di bombardamenti e di terrore che sta subendo la popolazione di Gaza e della West Bank, anche la vita nei campo profughi è notevolmente peggiorata perché l3 palestinesi, compres3 chi vive in Cisgiordania, non possono lavorare e non hanno ugualmente accesso a cure mediche. Sono completamente in balia di una situazione allucinante, in cui anche l3 bambin3 sono costrette a subire, ogni giorno, incursioni notturne violente da parte dell’esercito isrealiano. Proprio per questo, è più che mai necessario sostenere il campo ed in generale tutto il popolo palestinese che ogni giorno sta gridando al mondo di fare qualcosa per sostenerlo e fermare il genocidio in atto. 

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