Eni e la cultura del gas


C’è un passaggio rivelatorio tra le risposte, spesso fumose, che Eni fornisce ogni anno poco prima dell’assemblea degli azionisti. Da quando nel 2020 l’emergenza si è fatta sistema, rendendo impossibile la partecipazione dal vivo, l’unico strumento di pressione degli azionisti critici sulle politiche aziendali del cane a sei zampe è quello dell’invio delle domande scritte, alle quali la multinazionale energetica è costretta a rispondere. Associazioni come A Sud ne approfittano perciò per chiedere ragione degli investimenti fatti, verificare le segnalazioni ricevute dai territori dove Eni opera, incrociare i dati con le indagini giornalistiche. Pur se l’azienda troppo spesso si rende poco chiara, qualcosa riesce comunque a emergere. Come, appunto, il passaggio citato all’inizio, che riguarda la possibile trasformazione dell’azienda dall’attuale formula della società per azioni (nota con l’acronimo s.p.a.) a quella di società benefit: se nel primo caso l’unico scopo resta la distribuzione dei dividendi agli azionisti, nel secondo caso si integra nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, anche l’impatto positivo sulla società e sulla biosfera.

Riportiamo il passaggio qui di seguito:

Eni in passato ha considerato la possibilità di qualificarsi come “società benefit” o certificarsi come benefit corporation, ma ha ritenuto che non fosse necessario per perseguire scopi di utilità sociale. Alcuni tra i principali investitori istituzionali di Eni, interpellati sul punto, non avevano espresso favore per l’assunzione della qualifica. La non assunzione della qualifica di “società benefit” non preclude ad Eni di perseguire scopi di utilità sociale.

Il messaggio è chiarissimo: Eni va dove la portano i soldi e pazienza per il resto. Ma la vita del pianeta e delle persone non può più aspettare. In un altro passaggio, nel quale A Sud chiede una verifica su un report pubblicato a maggio 2023 dall’Oil & Environment Commission sulle fuoriuscite di petrolio in Nigeria, l’azienda risponde piccata e conclude:

Non c’è nulla di più lontano dalla nostra cultura aziendale che l’accusa di razzismo ambientale.

Quel che  emerge però dalla lettura delle 124 pagine delle domande e risposte pre-assemblea è che la cultura aziendale di Eni è incentrata sul gas. Ancora una fonte fossile, ancora la riproposizione delle false soluzioni, come le abbiamo definite in due report che potete trovare qui e qui.

Un affare che conviene a poche persone e ne danneggia molte

Come abbiamo ripetuto più volte, in appena tre anni Eni ha conseguito utili per una cifra di circa 35 miliardi euro. Chi ne ha beneficiato? Di sicuro, anche se di poco, i circa 20mila dipendenti dell’azienda in Italia, che hanno ottenuto una serie di benefici: bonus carburanti, bonus energia e aumento del ticket per chi lavora da casa. Un esborso però di appena 85 milioni. E la gran parte dei soldi rimasti? Non certo per colmare l’enorme ritardo dell’azienda sul fronte delle rinnovabili, dove si registra un eccesso di ottimismo:

Eni è impegnata a sviluppare i business low carbon per raggiungere massa critica e dimensioni sempre più rilevanti. In questi anni Eni ha già investito in maniera significativa in questi business. Plenitude a fine 2023 ha raggiunto l’obiettivo di 3 GW di capacità installata rinnovabile, in aumento di oltre il 35% rispetto al 2022 (e di 10 volte rispetto al 2020), presenta una rete di ricarica per veicoli elettrici di circa 19 mila unità, in aumento del 45% rispetto al 2022 e al contempo ha consolidato una base clienti di oltre 10 milioni di utenze (sempre più caratterizzati dal consumo elettrico invece che del gas). La società ha definito un ambizioso Piano di crescita finalizzato a raggiungere una capacità rinnovabile di oltre 8 GW al 2027.

Per fare un confronto: la ben più piccola ERG, che in poco più di dieci anni ha operato una radicale trasformazione da azienda petrolifera ad azienda rinnovabile (solo fotovoltaico ed eolico, tra l’altro), nel 2023 vanta analoga capacità installata rispetto al colosso Eni, che ha utili dieci volte più grandi rispetto a ERG.

Si conferma invece la volontà del cane a sei zampe di perseguire il business del gas. Anche a costo di realizzare infrastrutture “usa e getta”. È il caso clamoroso di Argo-Cassiopea, il gasdotto che intende sfruttare il giacimento di metano tra Gela, Licata e Porto Empedocle. Nei mesi scorsi Eni aveva reso noto che il giacimento ha  riserve stimate di circa 10 miliardi di metri cubi di gas e la produzione annuale di picco supererà il miliardo di metri cubi di gas. Possibile che l’azienda intenda costruire un’infrastruttura sottomarina lunga 60 chilometri, su uno dei tratti di costa più ricchi di biodiversità e reperti archeologici dell’intera Sicilia, in modo da estrarre gas per appena 10-20 anni? Eni ha confermato le nostre proiezioni, scrivendo che il periodo di vita utile del giacimento non andrà oltre i 15 anni. E dopo?

Terminato il periodo di vita utile del giacimento, si procederà con la fase di decommissioning delle infrastrutture di progetto, nel pieno rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente, fatta salva l’eventualità di nuove opportunità di sviluppo.

In pratica si sceglie di installare un’infrastruttura “usa e getta” su un ecosistema particolarmente complesso come quello del Mar Mediterraneo, già impattato dalle precedenti attività petrolifere di Eni – che in quel tratto di mare possiede, tra le altre cose, quattro piattaforme e un ex stabilimento petrolchimico dove per decenni hanno attraccato tantissime petroliere, senza considerare gli episodi di sversamenti in mare. In ogni caso, assicura ancora l’azienda:

La presenza media in cantiere nella fase di costruzione sfiora i 700 addetti e l’occupazione dell’indotto è stimata intorno alle 1.000 unità. In fase operativa si prevede il coinvolgimento di oltre 100 addetti.

Serve far notare che l’occupazione dei lavoratori dell’indotto è, come denunciano da tempo i sindacati locali, senza adeguate garanzie contrattuali. E a ciò si aggiunge la conferma di Eni secondo la quale appena la costruzione del gasdotto sarà terminata, tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, ci sarà un nuovo drastico ridimensionamento – dalle 1000 attuali alle 100 del prossimo anno. Un numero, quest’ultimo, che probabilmente include pure i dipendenti Eni. Quando si dice oltre al danno la beffa.

Una cultura senza cura

Dalla scorsa assemblea degli azionisti a quella attuale si è parlato molto dell’ampia sfera di influenza di Eni nel mondo dell’informazione e della cultura. Se nel primo caso ci si è concentrati soprattutto sulla presunta cessione dell’agenzia di stampa AGI (fondata ai tempi di Enrico Mattei) ad Antonio Angelucci, noto imprenditore e deputato (il più ricco e il più assenteista dell’intero Parlamento), nel secondo caso si è parlato di varie sponsorizzazioni: Sanremo, il concertone del Primo Maggio a Roma, la serie A di calcio maschile. 

Tuttavia alla richiesta di una maggiore chiarezza l’azienda ha preferito trincerarsi dietro una serie di informazioni generiche. Abbiamo ad esempio chiesto di illustrare nel dettaglio ciò che avevamo appreso dalla relazione finanziaria 2023, in cui si legge che Eni ha investito non meglio precisati  75 milioni di euro per “pubblicità, promozione e attività di comunicazione”. Nella risposta dell’azienda non compaiono nomi e indicazioni precise:

La voce contiene i costi relativi ai servizi resi nel 2023 per attività di comunicazione in generale che comprendono, oltre alla pubblicità che ne costituisce la parte principale, tutti gli altri costi connessi (per esempio: quelli per l’ideazione, organizzazione e gestione degli eventi aziendali sia interni che rivolti all’esterno, quelli per le attività legate alla comunicazione interna aziendale come l’intranet, i canali digitali, etc.). I destinatari di tali spese sono le controparti contrattuali di Eni, soggetti selezionati e contrattualizzati nel rispetto delle normative interne in materia. In particolare, per il processo di pianificazione ed acquisto di spazi media, Eni si avvale di un fornitore specializzato (centro media) selezionato mediante gara. Gli investimenti pubblicitari di Eni sono pianificati dallo stesso centro media che individua il media mix più efficace ed efficiente a raggiungere gli obiettivi di comunicazione e di marketing preposti.

Succede lo stesso quando chiediamo di indicare i giornali e i media che Eni sponsorizza. Qualcosina in più la si apprende sulla richiesta dell’elenco di tutte le manifestazioni culturali sponsorizzate da Eni nel corso del 2023 con un finanziamento superiore ai 20 mila euro. Ma è sempre poca roba, contraria a ogni principio di trasparenza:

Le iniziative di sponsorizzazione di Eni sono collegate ad obiettivi di comunicazione con particolare attenzione ai territori in cui operiamo. Tra queste, le principali iniziative relative a manifestazioni culturali nel corso del 2023 hanno riguardato: Dadu Children’s Museum, Scuola di Teatro del Piccolo, Ravenna Festival, Concerto per The Ocean Race, Concerto dell’Orchestra del Teatro alla Scala all’Opera di Dubai. I valori delle sponsorizzazioni variano in relazione ai ritorni di immagine e visibilità riconosciuti ad Eni. Nel complesso, nel corso del 2023 meno del 10% delle iniziative ha avuto un valore superiore a €250 mila. Tutte le altre si collocano al di sotto di tale importo.

Infine un’annotazione sulla Fondazione Eni Enrico Mattei. Negli ultimi anni la FEEM ha acquisito una maggiore visibilità e i suoi componenti, a partire dal direttore Alessandro Lanza, vengono spesso intervistati dai giornali per un commento sui temi di cruciale importanza come la crisi climatica e la transizione energetica. Nonostante in pochi facciano notare che non si tratta esattamente di un ente super-partes. Al Corriere della Sera il direttore Lanza ha dichiarato che “l’Eni decide i componenti del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Scientifico ma non entra direttamente nelle scelte di ricerca scientifica”. L’istituto di ricerca viene in ogni caso finanziato anche da Eni – nel bilancio 2023 per una quota pari a 4,75 milioni di euro – ed è la stessa azienda a sostenere che “può chiedere ricerche su temi specifici nell’ambito delle tematiche approvate del Cda della Fondazione”. Non proprio la migliore garanzia di imparzialità.

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