Il governo peruviano contro indigeni e contadini
di Marica di Pierri su Carta, il 18/05/2008
Un nuovo decreto approvato pochi giorni fa dal governo peruviano guidato dal presidente Alan Garcia facilita l’espropriazione dei territori indigeni e contadini favorendone lo sfruttamento commerciale. Un clima di tensione più aspro del solito vivono da alcune settimane le comunità rurali ed indigene del Perù. Dopo la legge forestale, l’imposizione dei megaprogetti di estrazione mineraria, le grandi infrastrutture e la pesante repressione perpetrata contro i movimenti sociali, nel paese andino un nuovo provvedimento governativo fa tremare contadini ed indigeni, che già annunciano mobilitazioni in difesa dei propri diritti.
Proprio i territori rurali tanto della sierra, la regione montagnosa, quanto della selva amazzonica peruviana, infatti, sono al centro della contestatissima misura legislativa adottata alcuni giorni fa dal governo di Alan Garcìa.
La settimana scorsa l’esecutivo peruviano ha pubblicato a sorpresa sulla gazzetta ufficiale il Decreto 1015, che modifica le regole per la cessione e la vendita dei terreni. Per effetto del nuovo decreto le imprese estrattive–come quelle minerarie o di sfruttamento forestale–non avranno più bisogno dell’approvazione dei tre quarti dei membri delle comunità locali per rilevare le terre, ma basterà il 50 per cento più uno dei partecipanti dell’Assemblea delle comunità per appropriarsi dei territori e utilizzarli ai fini commerciali e industriali. Questa modifica alla legge 26505 [che regola la materia] fa parte del Trattato di libero commercio [Tlc] firmato dal Perù con gli Stati uniti. Il trattato fa le altre cose che prevede di promuovere e facilitare la penetrazione degli investimenti privati nei territori comunitari.
Secondo il Coordinamento andino di organizzazioni indigene [Caoi] «si tratta di un attacco diretto alle comunità indigene, che rischia di distruggere le forme tradizionali di lavoro, economia ed organizzazione delle comunità».
Oltre a modificare il quorum previsto dalla vecchia legge, il decreto prevede che anche chi non è membro della comunità possa chiedere sempre con la maggioranza semplice, il riconoscimento dei diritti di proprietà sulle terre.
Per il Caoi questa norma «costituisce una minaccia per la sopravvivenza delle comunità, perché le imprese estrattive potranno d’ora in avanti avere uno strumento ‘legale’ di appropriazione delle terre attraverso la manipolazione delle assemblee».
Praticamente, basta che un’impresa mineraria o petrolifera interessata alle risorse presenti in una comunità faccia pressione su alcuni membri della comunità offrendo benefici e ricompense per acquisire il diritto di proprietà sul territorio. E poiché la corruzione è uno dei principali strumenti usati dalle multinazionali quando si tratta di «contrattare» con le comunità indigene e contadine, l’allarme appare più che giustificato.