I veleni alleati, di Mussolini & Savoia
Durante la seconda guerra mondiale sono state le armi più segrete, infernali, vietati dai Trattati internazionali, in particolare dalla Convenzione di Ginevra del 1925, eppure ugualmente prodotte, Germania e Stati Uniti d’America in primis. Ma anche l’Italia fascista dei Savoia non è stata da meno: i gas che accecano, soffocano, producono vesciche terribili ed infine ammazzano senza pietà. Oppure i batteri tipo antrace, vaiolo, malaria, brucellosi o tetano, che uccidono la vita umana attraverso malattie indotte artificialmente dall’uomo.
Bombe a carica chimica e batteriologica: armi a cui ha lavorato alacremente anche il regime mussoliniano. Ma proprio perché vietato, in fondo ambito dai vincitori della guerra, sull’arsenale chimico e batteriologico del casatoSavoia è calato il silenzio per quasi 70 anni. E’ la coda di una vicenda che ci riguarda a distanza ravvicinata, perché tocca la nostra salute.
Fantasmi dimenticati rimossi dalla conoscenza comune: i laboratori segreti di Roma sotto l’ospedale militare Celio, la citta della chimica nei pressi di Viterbo, le fabbriche che produssero veleni a pieno ritmo a Rho, Cengio, Melegnano, Foggia, Napoli, Bussi sul Tirino, Pieve Vergonte, Carrara. Insediamenti industriali altamente nocivi e mai bonficati. Addirittura in Abruzzo, a Bussi in provioncia di Pescara, le caverne in riva al fiume Tirino sono state tombate con i veleni di guerra. E sulle ceneri della fabbrica di morte, un tempi più recenti l’Edison ha tirato su una centrale turbogas in barba alle normative di protezione sanitaria, ed ambientale, nonché al semplice buon senso. Grazie alla connivenza politica a tutti i livelli e alle distrazioni dei prefetti.
Gli armamenti proibiti furono testati in Libia, Etiopia, e durante la guerra civile di Spagna. Le fabbriche certo allora come oggi, non si preoccupavano dei loro micidiali scarichi: i danni si riscontrano ancora adesso a scrutare le statistiche, altrimenti inspiegabili di cancro, tumori, malformazioni e patologie rare ed apparentemente inspiegabili in quelle aree del Belpaese.
Agghiacciante, però, è seguire le tracce di questi prodotti bellici. Un enorme quantitativo di bombe a testata chimica fu affondato in mare dai militari tedeschi in ritirata, al largo di Pesaro: Hitler aveva ordinato di portar via o distruggere i gas italiani prima che gli Alleati potessero impadronirsene. Alla fine della seconda guerra mondiale le forze armate degli Stati Uniti d’America affondarono il loro gigantesco arsenale di bombe proibite al largo di Manfredonia, perché era troppo pericoloso riportarsele a casa, ed era preferibile non farlo sapere al mondo intero.
Bari, peraltro, aveva pagato un prezzo elevatissimo, con migliaia di morti, e chissà quanti contaminati per il bombardamento del 2 dicembre 1943, che aveva fatto saltare in aria una decina di navi porta-munizioni angloamericane, tra cui la John Harvey. E così nel 1945 quando saltò in aria la Charles Handerson. Nuvole e nebbie di iprite investirono il porto e la città. Non è tutto.
Ci sono di sicuro ed a certificarlo è la documentazione segreta di Washington, tre discariche sottomarine di bombe a testa chimica a largo di Ischia e Napoli, dove lo zio Sam bel 1945 ha scaricato migliaia di ordigni ormai inutili. Medesimo copione sulla fascia litoranea di Molfetta: da Torre Gavetone al porto della città. Recentemente alcuni pescatori sono stati ustionati da bombe al fosforo. Il Policlinico di Bari non ha rilasciato ai medesimi lavoratori del mare le loro cartelle cliniche. E fa capolino il segreto di Stato, anzi di Stati, imposto da Churchill. Le forze armaste britanniche, infatti, avevano il controllo e la responsabilità dei porti italiani al termine dell’ultima guerra. All’archivio di Stato di Bari è possibile leggere i rapporti della Questura di Bari sugli affondamenti segreti operati dagli zatteroni inglesi nel 1945-46 a poca distanza dalla costa barese.
Più recentemente, il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, incurante dle senso del ridicolo o forse compiacere chissà chi, ha affermato, – come ha riportato Il Corriere del Mezzogiorno in data 3 dicembre 2009 – che “l’iprite non è nociva per il pescato”. A smentire l’esperto di Vendola, c’è una ponderosa letteratura scientifica ed uno studio specifico dell’Icram.
Ecco i veleni “proibiti” che queste armi bandite sulla carta, hanno lasciato in eredità al popolo italiano. Foggia avvelenata – I governi tricolore hanno sempre negato la presenza di gas bellici sul territorio nazionale. Nel 1985 – dinanzi al Parlamento –Andreotti aveva spergiurato.
Il documento inviato al prefetto del capoluogo di Capitanata reca la data dell’11 giugno 1948, a firma del ministro della Difesa. E non lascio spazio a dubbi. Infatti c’è scritto:
«Oggetto: Foggia – lavori di bonifica dell’ex centro Chimico Militare – Con riferimento a quanto segnalato con il telegramma a cui si risponde, si fa presente quanto segue: a) – i lavori di bonifica e sgombero macerie e materiali degli ex impianti di produzione aggressivi chimici di Foggia, non possono essere eseguiti che da personale specializzato, in quanto il personale stesso, durante il lavoro, deve essere munito di maschere antigas, guanti e indumenti protettivi, dati che esistono ancora sotto le macerie apparecchi contenenti quantità considerevoli di yprite e di fosgene; b) – i menzionati aggressivi, per il modo col quale vennero effettuate le distruzioni dai tedeschi, hanno inquinato, oltre le parti costituenti gli impianti, anche le macerie dei fabbricati crollati. Questo Ministero, pertanto, dopo attento e ponderato esame della questione, allo scopo di evitare possibili gravi infortuni, è venuto nella determinazione di far effettuare i lavori sopraccennati da personale di questa A.M., pratico di maneggio delle sostanze tossiche».
A tutt’oggi, non è stata effettuata ancora alcuna bonifica dell’area militare su via del Mare, adiacente la cartiera del Poligrafico dello Stato. Soltanto nel 2008 sono apparsi dei cartelli con un avviso: “Zona avvelenata”. E nient’altro. Una cosa è certa: quei terreni, il suolo ed il sottosuolo – in particolare i sotterranei della fabbrica – sono contaminati. Giusto per rendere l’dea: in questa fabbrica occulta – targata Seronio – si fabbricava mediamente una tonnellate di iprite al giorno.
Gli aggressivi chimici di guerra hanno per caso inquinato le falde acquifere da cui gli ignari contadini attingono acqua per le colture agricole?
*Articolo pubblicato su Su La Testa, 10 Giugno 2014