Gaza, Promessa Una Pioggia D’aiuti Per La Ricostruzione

Gaza, promessa una pioggia d’aiuti per la ricostruzione

gaza rovineAcqua benedetta per tanti palestinesi ma che per le famiglie che da quasi due mesi vivono nelle tendopoli ha significato una nuova tragedia e una fuga precipitosa alla ricerca di un tetto. «Abbiamo dovuto lasciare la tenda che ci era stata donata dalla Croce Rossa quando è finita la guerra – racconta Azza Abed Rabbo -, ma la pioggia ha allagato la tendopoli e da due giorni viviamo in ciò che resta ancora in piedi della nostra abitazione».

A sei settimane dalla fine dell’offensiva israeliana «Piombo fuso» che ha ucciso oltre 1.300 palestinesi (tra i quali centinaia di donne e bambini) gli aiuti umanitari entrano ma sono largamente insufficienti. Una portavoce dell’Unrwa, incontrando la scorsa settimana una delegazione di europarlamentari, ha riferito che Israele lascia passare una media giornaliera di una trentina di autocarri mentre il fabbisogno reale è di 600-700. «Riusciamo a mangiare, grazie a Dio, ma siamo in una situazione insostenibile e non sappiamo quando avremo di nuovo una casa», si lamenta Omar Abed Rabbo, un altro membro di questa famiglia che risiede in gran parte a Jabaliya.

Secondo i dati delle Nazioni Unite circa 4mila case palestinesi, per un 40% nel nord di Gaza, sono rimaste completamente distrutte nell’offensiva israeliana e altre 17mila seriamente danneggiate. Nella fase più acuta del conflitto, riferisce da parte sua Save the Children, almeno 100mila palestinesi sono divenuti sfollati e tra di questi oltre 50mila bambini.

Nel caffè «Delice» accanto al centro culturale Shawwa, danneggiato in parte dai bombardamenti israeliani dello scorso gennaio contro la vicina sede del Parlamento, la televisione è accesa. Nessuno dei clienti che chiacchierano e sorseggiano il caffè segue le immagini che arrivano da Sharm el Sheikh dove è in corso la Conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza che, nelle intenzioni dei suoi organizzatori – l’egiziano Hosni Mubarak e il francese Nicolas Sarkozy, co-presidenti della sbiadita Unione del Mediterraneo – serve non solo a riparare le distruzioni provocate dall’offensiva israeliana ma anche a creare le condizioni per lo sviluppo economico di Gaza. Le promesse non mancano e in apparenza molto generose. Il Segretario di stato Usa Hillary Clinton ha offerto 300 milioni di dollari per la ricostruzione ma soprattutto altri 600 per il budget dell’Autorità palestinese (Anp) di Abu Mazen e, quindi, a Gaza potrebbero non arrivarci mai.

La Commissione europea è pronta a donare 436 milioni di euro mentre i Paesi del Golfo, con in testa l’Arabia saudita, assicurano 1,65 miliardi di dollari che non andranno né all’Anp né ad Hamas. Cifre ingenti che coprono gran parte delle aspettative palestinesi per quasi 3 miliardi di dollari. A fine giornata le promesse di aiuti supereranno i quattro miliardi di dollari.

Non interrompe il brusio che regna nel «Delice» l’improvvisa apparizione sullo schermo del segretario di Stato americano Hillary Clinton pronta ad assicurare che l’Amministrazione Obama si impegnerà per la nascita di uno Stato palestinese accanto a Israele. «Gli Stati Uniti sono impegnati per una pace globale fra Israele e i suoi vicini arabi, e cercheremo di ottenerla su vari fronti», dice la Clinton, attesa a Gerusalemme per colloqui con il governo israeliano e il presidente dell’Anp, Abu Mazen. Per Hamas nemmeno una parola ma il Segretario di stato rivolge un appello per «l’interruzione del ciclo del rifiuto e della resistenza» e la fine dello «sfruttamento della sofferenza degli innocenti». Nessun riferimento anche alla massiccia offensiva israeliana che ha messo in ginocchio Gaza. Le promesse generose fatte da arabi ed occidentali non suscitano entusiasmo a Gaza dove la popolazione è consapevole che le condizioni poste dalla Comunità internazionale, contraria alla possibilità che Hamas (che controlla Gaza da due anni) gestisca gli aiuti.

Tutto ciò mentre «Mujama islami», la principale istituzione assistenziale di Hamas, pare abbia già distribuito in tutta Gaza decine di milioni di dollari in risarcimenti alle famiglie delle vittime dell’attacco israeliano, ai feriti e a coloro che hanno perduto la casa. «I fondi di cui abbiamo sentito parlare a Sharm el Sheikh non arriveranno mai a Gaza – prevede Raed Abu Shabab, insegnante a Maghazi – così come non abbiamo visto aiuti negli anni passati.

Al mondo (occidentale) e all’Egitto non piace Hamas e alla fine di quei soldi ben pochi finiranno a Gaza, gran parte rimarranno nella casse del governo (Anp) di Ramallah». Hamas, escluso da Sharm el Sheikh, non ha mancato di far sentire la sua voce. «Scavalcare le legittime autorità palestinesi a Gaza è una mossa che va nella direzione sbagliata e indebolisce deliberatamente la ricostruzione», ha denunciato un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, che, rivolgendosi ai partecipanti, li ha invitati a «riconoscere la legittimità di Hamas se hanno a cuore gli interessi dei palestinesi».

di Michele Giorgio – INVIATO A GAZA
pubblicato su Il Manifesto