G7 Energia e Sen: la leggerezza del nostro Governo
di Marica Di Pierri per A Sud
Arrivano oggi in Italia i ministri del G7 per il secondo dei meeting a presidenza tricolore, il G7 Energia, in programma a Roma il 9 e 10 aprile prossimi.
Al centro della due giorni c’è il tema della sicurezza energetica, anche se molta dell’attenzione sarà dedicata ancora una volta a verificare le intenzioni dell’amministrazione Trump sulla revisione delle politiche energetiche ed ambientali. Trump tuona, si barrica dietro dichiarazioni irricevibili minacciando formalmente di far fare passi indietro ad un processo che ne fa faticosamente – e solo formalmente – mezzo in avanti. Ma alla strada del contrasto al cambiamento climatico non bastano le roboanti dichiarazioni di impegno in sede internazionale pronunciate dagli altri governi, il nostro in testa. Se le politiche nazionali restano poco ambiziose ed ancorate allo sfruttamento intensivo delle fonti fossili, poco cambierà di concreto negli scenari climatici che pendono come spade di Damocle sul pianeta.
La delegazione
Dal vecchio continente sono attesi il ministro dell’Ambiente francese Segolène Royal, il viceministro dell’economia tedesco Rainer Baake e il ministro inglese di energia e Industria Nick Hard. Il rappresentante UE sarà invece Miguel Angel Cañete, commissario europeo per l’azione per il clima e l’energia. Per il Giappone sarà presente il ministro dell’industria Yosuke Takagi, mentre per il Canada il ministro delle risorse naturali James Gordon Carr. Infine, a rappresentare l’amministrazione Trump sarà a Roma il ministro dell’Energia Rick Perry, ex governatore del petrolifero Texas (lo stesso che aveva chiesto nel 2011 l’abolizione del dipartimento di cui ora è alla guida e che ha annunciato il rilancio degli investimenti nelle energie fossili e nel nucleare). A fare gli onori di casa ci sarà invece il ministro Carlo Calenda, a conferma della preminenza delle ragioni dello Sviluppo economiche rispetto a quelle ambientali e climatiche nel disegno del futuro energetico del bel paese.
Una “nuova” SEN per l’Italia
A parte la passerella internazionale con le riunioni ministeriali e la rituale conferenza stampa di chiusura, è un altro il motivo di interesse per la politica interna. Annunciate mesi fa, le linee guida della nuova SEN, Strategia Energetica Nazionale, saranno presentate dal governo proprio durante le giornate del G7 energia. Sul tema i miopi media nazionali non paiono avere alcun interesse, nonostante si tratti delle indicazioni strategiche che dovrebbero essere coerenti con gli impegni internazionale su decarbonizzazione e contrasto al cambiamento climatico presi nell’ambito del già insufficiente Accordo di Parigi.
Prima perplessità da muovere al processo di scrittura della Sen è che essa è stata inspiegabilmente separata dagli sforzi che il governo dovrà compiere per consegnare in sede UE entro il gennaio 2018 la bozza del Piano Nazionale Clima ed Energia, il documento con cui il governo italiano dovrebbe definire le sue politiche energetiche ed ambientali per conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi per la lotta al riscaldamento globale. E non basta. Della SEN si ragiona in altre stanze rispetto a quelle in cui si discute del Piano Nazionale Industria 4.0, del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici.
Ragionare a compartimenti stagni di modello energetico, industria, mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico dimostra la sostanziale inadeguatezza di una classe politica che non ha intenzione di mettere a sistema un ragionamento che non può che essere sistemico e che non intende far seguire alle ambiziose dichiarazioni di intenti altrettanto ambiziosi e coordinati impegni.
Seconda perplessità riguarda il metodo con cui le linee guida sono state redatte, senza la previsione di alcun preliminare processo partecipativo. Eppure i documenti strategici, che orientano la politica nazionale in tematiche di enorme importanza per gli assetti ambientali del paese, dovrebbero essere frutto del coinvolgimento strutturale di stakeholders economici e sociali.
É il caso di Germania, Inghilterra e ancor meglio Francia che hanno promosso, per la scrittura delle strategie nazionali, più o meno capillari processi di consultazione culminati nella formulazione di proposte, emendamenti, raccomandazioni, poi raccolte nella fase di scrittura.
In Italia basta guardare le slide congiunte elaborate da MISE e MATTM verso la futura strategia energetica per rendersi conto di quali siano gli stakeholders che il governo ha ritenuto fondamentale coinvolgere: le associazioni di categoria, in gran parte impegnate sul fronte dell’energia fossile.
Per quanto riguarda il merito, poco tranquillizzano alcuni recenti provvedimenti del governo, tra cui la revisione della procedura per la V.I.A. per le grandi opere e il sostanziale ripristino della possibilità di estrarre petrolio e gas entro le 12 miglia (concreta nonostante la pronta smentita del MISE), in barba alle promesse che hanno precedeuto il referendum No Triv di un anno fa. Senza contare che sul futuro energetico del paese pesano ancora come macigni i contenuti dell’inviso decreto Sblocca Italia del 2014 (poi convertito a colpi di fiducia nella legge 164/2014), il decreto inceneritori (che prevede di costruire altri 8 mega impianti di incenerimento anziché impostare una strategia rifiuti zero), il decreto rinnovabili elettriche (che taglia gli incentivi e penalizza la generazione distribuita di energia) e, più in generale, la balzana idea di trasformare la penisola in un Hub del gas, tornata alla ribalta mediatica grazie alla coraggiosa opposizione delle comunità salentine contro lo sbocco del TAP – Trans Adriatic Pipeline in una zona ad alta vocazione turistica e dall’inestimabile valore naturalistico.
La nuova Sen, insomma, non promette nulla di buono. Non prenderà le mosse dall’eliminazione (non meno doverosa che tardiva) di ogni forma di sussidio alle fonti fossili né dal sostanziale abbandono di ogni nuova concessione estrattiva di idrocarburi o dalla previsione di rigide scadenze per la chiusura degli impianti a carbone, e finirà con il configurarsi come un sostanziale tradimento degli impegni presi a Parigi.
Avevamo già avuto modo di denunciare l’incoerenza delle politiche energetiche del governo Renzi (di cui il governo Gentiloni si situa in assoluto continuità) nel dossier L’Italia Vista da Parigi pubblicato dal Centro Documentazione Conflitti Ambientali nel novembre scorso.
Una Sen coerente con tali impegni dovrebbe rafforzare gli obiettivi di riduzione nei settori non ETS tra cui trasporti, agricoltura, rifiuti, edilizia. L’Italia invece è fanalino di coda nelle negoziazioni europee sull’Effort Sharing Regulation e lavora anzi con l’obiettivo di rivederne al ribasso le ambizioni.
Investire in efficienza, bloccare da subito ogni nuovo progetto estrattivo utile solo a devastare i territori compromettendone le vocazioni economiche, promuovere la democrazia energetica incentivando il ruolo dei cittadini nella produzione e distribuzione di energia adeguando le reti elettriche alle tecnologie smart esistenti, smettere di progettare e realizzare infrastrutture che non siano in un’ottica low carbon e, ancor prima, farlo di concerto con gli enti locali, le comunità, le associazioni, i cittadini è l’unico modo per fare la nostra parte nella sfida globale contro il caos del clima.
C’è da scommettere, non senza amarezza, che di tutto ciò nella Sen che vedrà la luce nei prossimi giorni a Roma, a parte blande e vuote formule di rito, non vi sarà alcuna traccia.