Come nasce lo scandalo dei rifiuti a Roma, e a chi conviene
1) C’era una volta la buca
Una volta io l’ho vista molto da vicino la discarica di Malagrotta. Era la primavera del 2003; mi misi a seguire un camion dalle parti dell’Aurelia, insieme a un mio amico entrai di straforo nel sito superando la vigilanza che sonnecchiava, e con l’auto mi addentrai in quello che sembrava un paesaggio marziano: enormi dune piatte giallognole composte di spazzatura e ricoperte di terra, illuminate da una grassa luce lunare. La puzza era letteralmente mortale.
Tra cartelli che dicevano “Pericolo non scendere dai veicoli”, i camion procedevano lenti ed ermetici come sabbipodi in Guerre stellari infilando bivi su bivi, lasciandosi ai lati terrapieni sempre più giganteschi. Era un labirinto senza indicazioni in mezzo a una landa che sembrava sconfinata: avevo chiuso oltre i finestrini anche i bocchettoni dell’auto, ma a un certo punto l’assedio di miasmi aggressivi era comunque penetrato dentro l’abitacolo fino praticamente a stordirmi, mi sentivo male da svenire, avevo le vertigini, e solo dopo almeno mezz’ora riuscii a fatica a riguadagnare l’entrata.
E lì ci trovammo davanti qualcosa a cui solo poco prima non avevo fatto caso. C’era uno slargo che si interrompeva su un burrone.
Questa fossa nella terra era la cava dove i camion senza interruzione si svuotavano della spazzatura raccolta. Era un abisso davvero mostruoso di cui a stento si riusciva a intuire il fondo. La Bibbia chiama l’inferno la Geenna – dal nome della buca dei rifiuti che era situata fuori Gerusalemme. Avevo visto l’inferno, e tornando verso Roma, all’alba, con i polmoni ancora oppressi, mi ricordo che ripresi a osservare la città in modo diverso come se solo adesso avessi scorto il peccato originale che occultamente si portava addosso.
I rifiuti, anche se non li vogliamo vedere, ci riguardano. Le questioni ambientali sono quella parte della politica che tocca più profondamente tutti noi; perché le nostre scelte avranno conseguenze per le generazioni successive, e in alcuni casi saranno permanenti, e irreversibili. L’avere sversato per decenni – precisamente dal 1974 al 2013 – i rifiuti di Roma nella buca di Malagrotta, la più grande d’Europa, non è solo un evento politico del passato.
Lo stato dell’aria, la potabilità dell’acqua, la filiera del cibo, lo smaltimento dei rifiuti: tutti noi respiriamo, beviamo, mangiamo, buttiamo le cose. Ma la questione dei rifiuti più di altre è un argomento pressante e complesso e – oltre a coinvolgere vari piani, uno industriale, uno sociale, uno ambientale – ci parla di qualcosa che è tolto dalla nostra vista, e di cui non fa piacere parlare. Che fine fa la roba che gettiamo via? Quanta di questa è veramente riciclata? E dove va a finire quella che non è riciclata? Ci lamentiamo perché le strade sono sporche o perché i cassonetti traboccano, ma in fondo speriamo che ci sia qualcuno che se ne occupi senza dovercene interessare troppo.
2) La cosiddetta emergenza rifiuti
Quest’anno, tra la metà di luglio e la prima settimana di agosto, come era prevedibile, a Roma si è ricominciato a parlare di “emergenza rifiuti”. La prima consistente grana per la nuova giunta dei cinquestelle si è incarnata nelle foto di topi in giro per le strade tra i turisti, cumuli di bustoni lasciati marcire al sole, e il rinnovarsi delle proteste dei cittadini di villa Spada che vivono accanto all’impianto di trattamento meccanico-biologico (tmb) e che dal 2011 devono sopportare una puzza atroce diventata ancora più pestilenziale dal maggio scorso.
I protagonisti di questo dramma estivo sono diversi, perché a decidere di rifiuti si deve essere in molti. I principali sono quattro: il comune di Roma, l’Azienda municipale ambiente (Ama spa), la regione Lazio, le aziende private.
Il comune gestisce la raccolta e il trattamento dei rifiuti, e nel caso di Roma ha un contratto di servizio (aggiornato al 2016-2018) con l’Ama, una società partecipata (cioè di proprietà pubblica); la regione pianifica e autorizza i siti dove va messa la spazzatura; le varie aziende private che possono intervenire in ciascuno dei diversi processi della filiera. Non in tutte le città italiane funziona così: per esempio a Milano l’Amsa, l’azienda che si occupa della raccolta, non è una municipalizzata … Continua a leggere su internazionale.it