Chiamata internazionale per un Vertice Mondiale Climatico della Madre Terra
Il Patto Ecosociale e Interculturale del Sud chiede al governo colombiano di convocare, organizzare e realizzare un Vertice Climatico Mondiale della Madre Terra, nell’ anno 2023 in Colombia.
A più di due anni dall’inizio della pandemia di Covid-19, a quello che si sommano le catastrofiche conseguenze dell’invasione russa in Ucraina, vediamo sorgere una “nuova normalità” che è ancora più inquietante. Questo nuovo Status Quo globale riflette un peggioramento delle crisi multiple: sociale, economica, politica, ecologica, sanitaria e geopolitica. È una crisi totale di un modo di esistere.
Il collasso ambientale si avvicina e la vita quotidiana, a livello globale, si militarizza sempre di più. L’accesso ad alimenti di qualità, acqua potabile e un attenzione medica conveniente è diventato sempre più ristretto. Sono sempre di più i governi che sono diventati autocratici; i super ricchi sono diventati più ricchi e contaminanti, i potenti più potenti e la tecnologia non regolamentata ha accelerato questa tendenza distruttiva.
I motori di questo status quo ingiusto- il capitalismo, il patriarcato, il razzismo, il colonialismo, le relazioni predatorie verso la natura e diversi fondamentalismi e neofascismi- stanno aggravando la situazione, portandola a livelli altamente pericolosi. Necessitiamo di cambiamenti profondi, però essi non verranno dall’attuale architettura multilaterale. Le disuguaglianze sociali si sono esacerbate e le emissioni di CO2 continuano ad aumentare. In nome della “sicurezza energetica”, l’Unione Europea ha abilitato tutti i tipi di energie sporche, il che ha incoraggiato ancora di piangere i governi estrattivisi del Nord e del Sud a rendere più profondi i programmi di [malsviluppo], continuando così una carriera sicura verso l’ecocidio planetario.
Di fronte a questo scenario, dobbiamo urgentemente discutere e attuare nuove visioni che consentano transizioni eque e trasformazioni ecosociali rispetto al genere, che siano rigenerative e popolari, su scala locale, nazionale, regionale e internazionale. Inoltre, come abbiamo affermato nel Manifesto per una transizione energetica giusta e popolare dei popoli del Sud, i problemi dell’America Latina e del resto del Sud del mondo sono diversi da quelli del Nord del mondo e delle potenze emergenti come la Cina. Uno squilibrio di potere tra queste due sfere non solo persiste a causa di un retaggio coloniale, ma è stato approfondito da un’economia globale neocoloniale.
Di fronte al cambiamento climatico, alla crescente domanda di energia e alla perdita di biodiversità, i centri capitalisti hanno aumentato la pressione per estrarre ricchezza naturale e dipendono dalla manodopera a basso costo dei paesi periferici. Non solo vige ancora il noto paradigma estrattivo, ma aumenta il debito ecologico del Nord verso il Sud. Così, quella che oggi viene chiamata transizione verde dalle istanze dominanti non è altro che una transizione corporativa e coloniale che comporta un aumento delle disuguaglianze geopolitiche tra il Nord e il Sud globali -come vediamo con il legno di balsa, nei territori del litio e con il altri cosiddetti minerali per la transizione. Questo processo di decarbonizzazione orientato all’esportazione, guidato dalle grandi multinazionali, apre una nuova fase di spoliazione ambientale del Sud del mondo che influenzerà ulteriormente la vita di milioni di donne, uomini e bambini e la vita non umana. In questo modo, il Sud del mondo è tornato ad essere una zona di sacrificio, un magazzino di risorse presumibilmente inesauribili, per i paesi del Nord, ora sotto una nuova retorica “verde”.
Né possiamo riporre le nostre speranze in conferenze multilaterali come le COP sul clima. La COP27, recentemente tenutasi in Egitto, non solo ha dato scarsi risultati in termini di politiche globali, ma si è rivelata uno spazio cooptato dalle potenze fossili. Alla conferenza in Egitto erano presenti 636 lobby dei combustibili fossili, il 25% in più rispetto a Glasgow, dove erano 503. Questa è attualmente, come hanno sottolineato ironicamente alcuni media internazionali, “la delegazione più numerosa della COP”.
Dobbiamo partire da questo riconoscimento della situazione e quindi offrire una controproposta creativa e trasformativa dei Popoli del Sud. Abbiamo un’enorme diversità di resistenze, territori e popoli in lotta che stanno costruendo esperienze concrete di transizione e trasformazione socio-ecologica. Abbiamo anche alleanze e articolazioni rilevanti su vari fronti. Mancano però spazi di convergenza più ampi, che ci permettano di confrontarci e agire insieme su una roadmap condivisa.
Non dobbiamo ricominciare da capo. Abbiamo una storia nella nostra regione. Nel 2010 si è tenuta in Bolivia la Conferenza Mondiale dei Popoli sui Cambiamenti Climatici e i Diritti della Madre Terra, o Vertice di Tiquipaya. Indubbiamente, l’esperienza e l’accumulo organizzativo del World Social Forum di Porto Alegre dal 2001, il trionfo del IV Vertice delle Americhe, tenutosi a Mar del Plata, nel 2005, che ha firmato il “No all’ALCA”, così come il fallimento della COP di Copenaghen nel 2009, ha contribuito a promuovere questa conferenza. Purtroppo le proposte e i programmi che uscirono da quel vertice non ebbero un impatto internazionale, non solo per asimmetrie geopolitiche, ma anche per una debolezza e caratteristica dei progressismi imperanti: la continuità e l’approfondimento delle politiche estrattiviste. Tutto ciò ci ha lasciato un enorme insegnamento, dal quale dobbiamo trarre le sue conseguenze: non è possibile predicare i diritti della Madre Terra a livello globale, se non sono difesi nel territorio stesso!
Allo stesso modo, accogliamo con favore e sosteniamo la possibilità di tenere un vertice di presidenti legati alla protezione dell’Amazzonia. In questo senso, riteniamo estremamente importante promuovere in questo spazio meccanismi che supportino le proposte che provengono dalle organizzazioni che si prendono cura dell’Amazzonia, in particolare le organizzazioni indigene e le articolazioni panamazzoniche, a favore di salvare questi territori per la vita.
Entreremo nel 2023 in tempi di sconto. La pandemia ci ha posto di fronte a nuovi dilemmi e la già citata guerra in Ucraina e i suoi impatti globali hanno ulteriormente accelerato la disputa civilizzatrice. Nella regione latinoamericana assistiamo a uno scenario complesso e ambivalente: mentre i progressismi di vecchia generazione scommettono su più estrattivismo, che riduce significativamente gli orizzonti della democrazia e di una vita dignitosa e sostenibile, i nuovi governi, come quello colombiano, rappresentano la speranza per il progressismo ambientale, dove la democrazia e le risposte alla crisi climatica dalla giustizia socio-ambientale potrebbero finalmente essere espresse a tutto campo in un programma di governo globale. A ciò si potrebbero aggiungere i venti favorevoli con il nuovo scenario del Brasile, dopo la decisiva vittoria di Lula da Silva, anche se resta da vedere dove si evolverà la promessa di fermare la deforestazione in Amazzonia, così come la possibilità di costruire un agenda regionale superiore rispetto ai progressismi di prima generazione.
Secondo i diversi movimenti per la giustizia climatica, “la transizione è inevitabile, ma la giustizia no”. Siamo ancora in tempo per avviare una transizione equa e democratica, che smantelli le relazioni (neo)coloniali tra il Nord e il Sud del mondo. Possiamo allontanarci dal sistema economico neoliberista in una direzione che sostenga la vita, combini la giustizia sociale con la giustizia ambientale invece di metterle l’una contro l’altra, riunisca valori egualitari e democratici con una politica sociale olistica e resiliente e ripristini un necessario equilibrio ecologico equilibrio per un pianeta sano. Ma per questo abbiamo bisogno di più immaginazione politica e visioni più utopistiche di un’altra società che sia socialmente giusta e rispettosa sia della diversità che della nostra comune casa planetaria. Occorre anche dialogare e collaborare a livello regionale e sovraregionale, per superare le vecchie differenze. È necessario stabilire nuovi blocchi regionali, che puntino alla produzione e all’autosufficienza (alimentare ed energetica), al di fuori dei circuiti globali, diminuendo la dipendenza e cercando di ridurre il divario del debito ecologico.
Il profondo cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno per favorire una vera trasformazione politica e generare nuovi consensi sociali e orizzonti per la transizione ecosociale è già in atto. Lo vediamo nelle nuove narrazioni relazionali (Good Living, Ubuntu, Rights of Nature, Climate Justice, Just Transition, the paradigm of Care). Anche nelle molteplici esperienze locali e lotte sociali ed eco-territoriali, legate a progetti energetici comunitari, agroecologia e pratiche di ripristino, in società sempre più colpite dall’estrattivismo e dalla crisi climatica.
Siamo di fronte alla possibilità di prendere una svolta politica socio-ambientale storica, guidata dall’accumulazione organica di lotte e resistenze eco-territoriali che dicono “basta essere zone di sacrificio” e aprono l’opportunità per un’ecogovernance più partecipativa. Come attivisti, intellettuali e organizzazioni di diversi paesi del Sud e della Nostra America, chiediamo agli agenti del cambiamento di diverse parti del mondo, e in particolare della regione latinoamericana, di impegnarsi per una transizione radicale, democratica, ecosociale, con giustizia globale , giustizia di genere, interculturale, rigenerativa, popolare e pluriversale che trasforma sia il settore energetico sia la sfera industriale e agricola, che dipendono da apporti energetici su larga scala.
Per questo motivo, dal Patto Ecosociale e Interculturale del Sud (PEIS) ci rivolgiamo all’attuale governo colombiano, guidato da Gustavo Petro e France Elena Márquez Mina, per chiedergli, con tutta l’autorità che ha in queste materie, di convocare e organizzare un Vertice mondiale sul clima della Madre Terra, da tenersi durante l’anno 2023 in Colombia, che si occupi urgentemente di tutte queste questioni e abbia la capacità e la volontà di riunire in detto paese, tutti i militanti attivi dei popoli, governi e società, impegnate in un giusto orizzonte di transizione ecosociale.
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