Biogas e biomasse: lo Stato incentiva l’avvelenamento “sostenibile”
[G. Dakli e L. Greyl per A Sud] Negli ultimi due anni gli impianti a biogas da biomasse in Italia si sono triplicati. All’inizio del 2013 se ne potevano contare già più di mille. È in atto oggi una corsa al biogas agricolo, dovuta in larga parte al dirottamento degli incentivi statali dalle fonti energetiche rinnovabili classiche – eolico e solare – a favore della produzione di biogas da biomasse. Il fenomeno è ulteriormente rafforzato dalle opportunità di profitto offerte dal business dei rifiuti in questo settore (intervista al Prof. Corti, Presidente di Terre Nostre).
Lo scorso sabato 25 maggio, A Sud ha partecipato alla Prima Marcia Nazionale contro Biogas e Biomasse, organizzata ad Assisi da Terre Nostre, il Coordinamento Nazionale dei Comitati No Biogas No Biomasse.
Alla giornata di mobilitazione, inaugurata in mattinata da un convegno molto partecipato e culminata in una marcia di 4 km dal comune di Santa Maria degli Angeli a Piazza San Francesco ad Assisi, hanno partecipato numerosi comitati di cittadini provenienti da tutta Italia (intervista a Luigino Ciotti, Comitato Umbro Terre Nostre).
Tutte le interviste alla 1a Marcia Nazionale No Biogas No Biomasse
(di L.Greyl per A Sud)
Quello che ha spinto la recente costituzione del Coordinamento Nazionale, nell’autunno del 2012, è la preoccupazione diffusa relativa agli impatti e ai rischi correlati alla proliferazione di tali impianti, spesso in aree non idonee (la testimonianza del comitato di Castiglione del Lago). Vista l’incertezza relativa alla gravità degli impatti che le attività di questi impianti possono provocare sulla salute dell’uomo e degli animali, ci si aspetterebbe che a monte di ogni valutazione sui nuovi progetti di centrali a biogas da biomasse e, in generale, nella pianificazione dei territori, venga applicato il principio di precauzione. Ma l’assenza di norme più definite e di efficaci sistemi di controllo fanno sì che si autorizzino in maniera indiscriminata e senza pianificazione territoriale adeguata impianti a fini speculativi, costruiti troppo vicini alle abitazioni.
Quello che è certo è che ogni impianto, oltre a produrre contaminazione atmosferica, emette nitrati, polveri sottili, provoca il cambiamento del Ph delle acque dei canali circondariali e rilascia nei campi circostanti dei residui finali, detti digestati, prodotti dalla fermentazione. I digestati distruggono l’humus del terreno per il loro alto contenuto di ammoniaca e possono veicolare pericolosi agenti microbici e patogeni, botulino in primis (il Prof. Corti sui rischi derivanti da biogas e biomasse).
A rafforzare questa mobilitazione su scala nazionale sono però anche considerazioni relative al consumo di suolo, alla gestione del ciclo dei rifiuti e, più in generale, al modello di produzione energetica e di pianificazione territoriale.
Le centrali a biogas da biomasse sfruttano liquami e sottoprodotti agricoli o anche prodotti appositamente coltivati. Ad alimentare la maggior parte delle centrali a biogas da biomasse è, infatti, il mais: per produrre 1 MW di energia è necessario sacrificare oltre 300 ettari di terra, coltivati a mais, 300 ettari che vengono così sottratti alle attività agricole locali tradizionali (intervista a Genuino Clandestino).
Sebbene la diffusione di nuovi impianti a biogas da biomasse stia crescendo ad un ritmo esponenziale in tutto il Paese, la manifestazione di Assisi dimostra come, al contempo, il vero volto della “green economy” si stia rivelando in modo sempre più chiaro ai comitati, alle associazioni di cittadini, ai coltivatori.
Impegnati a far pressione sui propri amministratori locali nella quotidiana battaglia contro le centrali sui propri territori, i comitati si sono già dati appuntamento all’anno prossimo per una mobilitazione destinata a crescere.
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Per approfondimenti relativi al Biogas e al volto sporco delle rinnovabili in Italia: www.greenlies.it