Libero commercio e diritti dei popoli
Giuseppe De Marzo – A Sud [pubblicato su Carta.org] – L’impatto dell’accordo di libero scambio tra gli Usa e il Perù ha causato le proteste delle comunità amazzoniche. Le mobilitazioni e le repressioni avvenute negli ultimi mesi in Perù con protagonista il movimento indigeno amazzonico hanno molto a che vedere con la firma del Trattato di Libero Commercio siglato tra USA e Perù nel Febbraio 2009.
Attraverso questo TLC le imprese multinazionali hanno potuto aumentare esponenzialmente i profitti a causa dell’allargamento territoriale dei mercati e soprattutto per la mercificazione delle risorse naturali fondamentali per la vita come la biodiversità, l’acqua, i servizi sanitari e l’educazione. Il TLC ha sottratto ulteriormente e quasi del tutto alla sovranità peruviana il territorio nazionale.
Le mobilitazioni indigene nascono all’indomani dell’approvazione di una decina di decreti, varati con l’intento di dare seguito all’approvazione del TLC. Fra quei decreti ce n’era uno, detto Ley Forestal, che voleva mettere «ordine» nella proprietà delle terre e nelle concessioni dei diritti di sfruttamento delle loro risorse.
Questa e altre misure, chiaramente incostituzionali, dovevano servire a spianare la strada alle compagnie straniere per l’acquisto e lo sfruttamento delle terre appartenenti allo stato e alle comunità indigene.
Secondo le dichiarazioni di Alan Garcia pochi giorni prima dell’approvazione del TLC bisognava “aprire agli investimenti stranieri, a qualsiasi prezzo”, per creare ricchezza e poter poi distribuire qualche briciola a quel 50% di peruviani che vivono sono la soglia della povertà.
Il TLC con gli Usa (altri sono stati firmati con Cina, Giappone e Corea del sud) se ha aperto le porte del mercato nordamericano all’entrata senza tariffe doganali dei prodotti peruviani, obbliga il Perú a eliminare i suoi dazi sul 75% dei prodotti industriali e di consumo e eliminare qualsiasi ostacolo all’importazione di prodotti agricoli statunitensi. Quando il 14 dicembre 2007 Bush firmò il TLC, García disse che «era un gran giorno per il Perú» e che George Dabliu era «un vero alleato e amico del popolo peruviano».
Tra i settori inclusi nel TLC ritroviamo anche i servizi educativi: La mancanza di informazione e trasparenza, caratteristica di questi trattati, si accentua nel caso dei servizi educativi. Nel caso del Messico il TLC ha significato per l’educazione la trasformazione del servizio pubblico nazionale in merce sottomessa alle leggi di mercato.
All’interno di questo quadro è stata approvata una serie di regolamenti e leggi che puntano in un unica direzione, verso cioè l’internazionalizzazione delle gare d’appalto per acquisti statali; l’obbligo di dare trattamento nazionale ai fornitori stranieri di servizi educativi; l’appianamento della strada per il riconoscimento di titoli professionali stranieri; l’introduzione di esami unici di certificazione professionale; le agevolazioni per la creazione di associazioni di interessi tra istituzioni locali e straniere, etc.
Si nota, specialmente nell’educazione superiore, una stagnazione delle risorse pubbliche destinate all’educazione, un deterioramento della media della qualità educativa dovuto principalmente all’offerta incontrollata di titoli di studi comparati, una certa tendenza alla mercantilizzazione del servizio educativo, una minore attenzione alle necessità dell’ambiente locale tanto nella formazione di professionisti come nella definizione dei temi di ricerca, un minore interesse per l’incorporazione nell’insegnamento di saperi propri delle culture tradizionali.
Nel caso di Panama il TLC ha ridotto l’educazione in condizioni disastrose; anche le Università Colombiane riunite nella Associazione Colombiana delle Università (ASCUN) hanno mantenuto una posizione unita di contrarietà di fronte al TLC; il Consiglio Nazionale dei Rettori dell’ASCUN ha più volte ribadito che: “considerare l’educazione come una merce e sottometterla alle regole del commercio internazionale significa snaturare i suoi fondamenti e la sua funzione nella società”; parallelamente il Consiglio dei Rettori di Panama hanno richiesto che l’educazione superiore si escluda dalle negoziazioni del TLC.
L’educazione non può considerarsi semplice merce. È un veicolo insostituibile per lo sviluppo delle società. Le regole del libero commercio internazionale non tengono in conto le tradizioni culturali dei paesi.
Nel caso peruviano preoccupa che non si conoscano le implicazioni degli accordi per i servizi educativi. La “Ley de promoción de la inversión en la educación” peuviana approvata con il Decreto Legge n° 882 nel 1996 promuove di fatto la liberalizzazione dei servizi educativi facilitando l’investimento privato nel settore e ha reso possibile l’associazione tra istituzioni locali e consorzi di capitali per creare sistemi educativi misti pubblico-privati.
L’Università Peruviana di Scienze Applicate nel 2004 è entrata a far parte del consorzio Laureate Inc che ha interessi in vari paesi e in altri continenti. Le istituzioni che hanno approfittato del D.L. 882 sono libere di lavorare per moltiplicare l’offerta formativa attraverso l’apertura di filiali nel territorio nazionale e senza controllo alcuno della qualità e pertinenza di questi servizi. In tutto il mondo esistono organizzazioni e lotte contro questi trattati e questa idea di educazione delegata agli interessi economici.
Il 9 luglio migliaia di lavoratori hanno marciato in Perù per esigere un cambiamento nella politica economica del governo. In un momento in cui, secondo la Defensoria del Pueblo, esistono nel paese 226 conflitti sociali attivi, i trasportatori e i maestri hanno paralizzato Lima sommandosi in marcia con la Confederación General de Trabajadores de Perú (CGTP) – il maggior sindacato del paese. In totale 156 persone sono state arrestate a causa dei blocchi stradali a Lima ed in altre città. Le attività scolastiche si sono bloccate per uno sciopero di 24 ore indetto dal Sindicato Unico de Trabajadores de la Educación (Sutep). I manifestanti hanno bloccato le strade a Cusco, Puno, Arequipa, Ayacucho, Huancavelica e Apurímac, così come a Tumbes, Chiclayo, Huaraz e Pucallpa.
E mentre negli anni si sono varate leggi per aprire questi mercati agli interessi sopratutto statunitensi ed europei si approva una risoluzione che autorizza l’ingresso di unità militari straniere nel territorio peruviano.
Il “Programma delle attività delle Forze Armate del Perù con forze armate straniere 2009” permetterà alla IV flotta della Marina degli Stati Uniti di utilizzare i porti peruviani per meglio controllare le rotte pacifiche. Questa nuova norma genera preoccupazione anche perchè, dopo la forzata rinuncia alla base ecuadoriana di Manta, si creano le condizioni per istallare una base statunitense in territorio peruviano.
Giuseppe De Marzo – A Sud [pubblicato su Carta.org]