La nuova frontiera della TAP: esiliati ambientali
Non sono bastati l’imposizione di un progetto calato dall’alto e i fenomeni di repressione di questa primavera. Non sono bastate neanche le multe di quest’estate. Sabato 18 novembre il conflitto TAP ha raggiunto un nuovo apice: la punta del ribrezzo. E’ arrivato il provvedimento di Daspo per un attivista ventenne No Tap: non potrà accedere nel Comune di Melendugno per tre – TRE – anni, se non con autorizzazioni. Le motivazioni? Aver ostacolato la realizzazione del gasdotto. Daspo. Letteralmente: Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive.
La partita che si sta giocando in Salento però non è su un campo da calcio ma su un campo fatto di ulivi e preziosità locali; e i giocatori, che indossano la maglietta del profitto e non quella del cuore, stanno facendo di tutto per segnare alla porta del marciume di un intero territorio. Altro che stadio: stavolta l’attivista ventenne di Carpignano Salentino, un paesino vicino Melendugno, non solo non potrà più accedere all’area di cantiere, non potrà neanche più entrare nel paese di Melendugno. Per tre anni niente più assemblee al presidio, niente più aperitivo al Belloco, niente più proiezioni al Nuovo Cinema Paradiso, niente più ritrovo in piazza, niente più bagni alla Marina, perché il provvedimento include anche la Marina e le spiagge di Melendugno, non solo il paese stesso. Esiliato dal suo territorio; quello che stava provando a difendere con passione e determinazione.
E mentre TAP, a suon di post su Facebook, rintrona il popolo dei social su quanto il processo di costituzione della TAP sia stato partecipativo; mentre provano a convincere il sindaco di Melendugno a fissare un incontro perché “il confronto fa bene alla democrazia”, mentre invitano la cittadinanza a fare tutte le domande che vuole chiamando il numero messo a disposizione, mentre rispondono per mezzo del loro social manager (bravissimo, tra l’altro) di volta in volta a tutti i commenti positivi e negativi circa la questione TAP, mentre, per il secondo anno consecutivo, TAP Italia finanzia il Master di Alta specializzazione per l’alimentazione, per sostenere le vocazioni del territorio provando in questo modo a mettere le pezze ai danni che potrebbe provocare con la costruzione del gasdotto, mentre tutto questo succede, è stato deciso che un ragazzo di 20 anni non può più entrare in una città perché ostacola i lavori per la costruzione della TAP; perchè non è d’accordo con l’idea che TAP ha del suo territorio; perché si è opposto; perché ha provato a dire che no, lui quel gasdotto non lo vuole; perchè ha usato il suo corpo come barriera, come protezione della sua terra; perché ha esplicitato un principio democratico.
E’ così, quindi, che si creano i processi partecipativi? Provando a convincere tutti e, nel momento in cui non ci si riesce, allontanando chi non è d’accordo? Quanto sono stati svuotati di significato i termini partecipazione e democrazia? Parole rinsecchite e bulimiche che vomitano anni e anni di studi urbanistici, antropologici e sociologici.
Un territorio, un intero territorio, fatto di cittadini, istituzioni locali, bambini, negozianti, ristoratori, sta dicendo che vorrebbe uno sviluppo diverso. Cosa ne faremo di queste istanze? Non ci hanno forse insegnato che è dalle istanze che nascono sui territori che si avviano i processi partecipativi? Partendo dalle progettualità latenti? Cosa ha di partecipativo un progetto tutto impacchettato anni e anni fa di cui si possono cambiare solo le minuzie? Si vocifera che questo è solo il primo dei tanti provvedimenti che arriveranno. Il Movimento No Tap è in allerta; e la solidarietà arrivata in questi giorni dai territori italiani (dai No Tav a No al Carbone Brindisi) fa sperare in una conclusione diversa. E’ necessario, soprattutto in questi momenti di difficoltà, unirsi, fare rete tra le tante battaglie territoriali esistenti. La questione gas, come la nuova Strategia Energetica Nazionale ci dice, sarà il tema caldo dei prossimi anni e il Salento non sarà l’unica area che subirà fenomeni repressivi di questa portata se saranno necessari a garantire gli interessi delle grandi imprese di questo Paese e gli accordi internazionali del nostro governo.
C’è bisogno di unire le forze e far sentire la nostra voce in maniera corale; perché sono quelli che guardano al capitale e non al capitale naturale che dovrebbero essere esiliati, non noi.